Per capire quanto tenga alla Pro Patria basta aprire il capitolo panchine biancoblu. Solo per i parziali, 114 complessive (101 in campionato), sesto record all time a 23 dal quinto Rigotti, 30 dal terzo Regalia e 58 dal primo, l’ungherese Bekey (esattamente 80 anni fa). Insomma, servirebbe un’altra stagione (questa volta completa) per salire sul podio tigrotto. Ma il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce. Sul tema, Ivan Javorcic non si trattiene: “Certo, è un argomento che mi interessa. Mi rende molto orgoglioso. Un traguardo così in una piazza come Busto che è ormai parte della mia storia. Con Brescia la tappa più importante della mia vita sportiva. Qui si sono creati legami molto forti“.

Tornando a Bomba, venerdì scorso su TuttoC.com Nicolò Schira l’ha individuata come uno dei 5 allenatori pronti per il salto in Serie B. Davvero così?
“Me l’hanno riferito. Posso solo dire che siamo in stand by. Onestamente non c’è ancora spazio per creare un pensiero sul futuro. Mi fa piacere che ci sia apprezzamento per il lavoro fatto. Ma è davvero prematuro parlare di questo”.

L’estate scorsa all’avvio della nuova stagione dichiarò: “Sono rimasto perché devo finire il lavoro”. Può ancora dire la stessa cosa?
“E’ sempre una questione di obiettivi. Si chiude una stagione e si gettano le basi per quella successiva. La Pro Patria è una società con obiettivi molto chiari. In quel senso, non è cambiato nulla”.

La ferma volontà della Lega Pro è quella di sospendere il campionato. Impossibile contemplare un’altra soluzione?
“Difficile avere dei pensieri articolati in questa fase. Bisogna capire come poter ripartire. E’ necessario fare un passo avanti. Come? Non è compito mio dirlo. Certo, nella comunicazione (a tutti i livelli) si sarebbe potuto fare meglio. Servono messaggi di speranza e di positività. E capacità di decidere. Facoltà che spetta alla classe dirigenziale. Mi auguro che abbia la forza per esercitarla”.

Il calcio non è una priorità. In momenti come questo non può essere messo al primo posto. Concetto ribadito l’altro giorno anche dal Ministro della Salute. Condivide?
“Avverto molta retorica su questo argomento. Mi spiego. Il calcio non è solo uno sport. E’ un’industria che sta cercando di ripartire. Ed è anche un veicolo di aggregazione con una precisa funzione sociale. Capisco che le priorità siano altre e che sia giusto parlarne con i toni corretti. Ma non vedo risposte alle legittime domande poste dal nostro settore. Bisognerebbe parlare il meno possibile. E dare messaggi chiari”.

Per i giocatori è previsto un programma individuale di allenamenti. Come impegna invece il suo tempo un allenatore?
“Beh, devo dire che sono più impegnato di prima. Con due figlie ancora piccole (Alessia di 6 anni e Livia di 3 mesi) è inevitabile. In realtà, stare di più in famiglia è una delle cose migliori di queste settimane. Dal punto di professionale, c’è più tempo per aggiornarsi. Durante il campionato, ci si prepara sulla propria squadra e sull’avversaria di turno. Ora ho avuto la possibilità di recuperare tante partite di B e di C. Diciamo che c’è più tempo farsi venire delle nuove idee. Anche sul piano tecnico”.

Significa che alla ripresa vedremo (sul campo) un calcio diverso?
“Tema interessante. Ma non credo che assisteremo a delle rivoluzioni. Ci sarà un adattamento alla situazione. Almeno all’inizio. Per dei veri cambiamenti bisognerà aspettare più in là”.

Parlando con Mastroianni è emerso il dispiacere per non poter chiudere l’annata tutti insieme. Come un gruppo. Pensando a chi magari l’anno prossimo sarà altrove…
“Sono d’accordo. Si chiudesse così la stagione resterebbe un senso di sospeso. Per la squadra, ma anche per chi ci segue. A partire dai nostri tifosi. Sarebbe un peccato”.

Giovanni Castiglioni