Il presente, si sa, è incerto e la frase più frequente che più si sente sussurrare in questo periodo “bastardo e sospeso” è: “Si naviga a vista”. Del domani, si sa pure questo, “non v’è certezza”. Così, di fatto, se vuoi argomentare di pallacanestro non ti rimane che il passato. Poi, siccome l’invito è “Restate a casa”, non resta altro da fare che provare a mettere un po’ d’ordine in un archivio sempre troppo incasinato. Dai cassetti e dagli scaffali saltano fuori libri, appunti, foto, ritagli di giornale e chi più ne ha, più ne metta.
Foto. Tante. Ognuna delle quali racconta una storia. Cristallizza un momento. Movimenta ricordi. Trascina emozioni. Innesca spunti di riflessione. E tanto, molto d’altro ancora.

La foto di oggi ritrae un importante giocatore della nostra zona, uno che alle spalle si è messo una carriera lunga, variegata, piena di esperienza positive e vincente, aspetto quest’ultimo che conta un bel po’. Questo personaggio è Geremia “Mimmo” Giroldi, varesino purosangue – “Sono nato in Piazza Monte Grappa” -, e varesotto da sempre – “Abito da tantissimi anni a Cunardo che è sempre stato il “buen ritiro” della mia famiglia -, che per una serie di giochi del destino non ha mai giocato a Varese.
“Mai indossata una canottiera varesina, nemmeno nelle categorie giovanili che – spiega Giroldi, classe 1954 -, ho cominciato a Milano, città in cui ci eravamo trasferiti per ragioni legate al lavoro di mio padre. Abitavamo in zona Piazzale Lotto ed io, in maniera del tutto casuale, seguendo il mio amico Angelo Gnocchi un bel giorno, anno domini 1967, mi sono ritrovato su un campo da pallacanestro in zona Melchiorre Gioia, ovvero dall’altro lato di Milano, per una “leva” organizzata dalla Social Osa per la classe 1953. Giocavo a calcio, ruolo terzino, e sul campo da basket sembravo un pesce fuor d’acqua perché una volta conquistata la palla per qualche lunghissimo secondo io restavo in difesa mentre i miei compagni, straniti, mi invitavano a correre con loro in attacco. Ovviamente non avevo idea di cosa fosse la pallacanestro però la struttura fisica c’era, così come l’atletismo, una certa coordinazione, un pizzico di talento e tanta voglia di imparare”.

Cosa succede dopo questo approccio così approssimativo?
“Succede che coach Giuliano Bandini, un vero “guru” del basket lombardo, uno che ha insegnato la pallacanestro ad intere generazioni, mi chiede di tornare in palestra “Per provare un po’ più seriamente”. Da quel momento scocca la “famosa” scintilla e la pallacanestro diventa la mia vita. In tempi rapidissimi mi metto un luce come uno dei migliori prospetti cittadini e coach Riccardo Sales mi chiede di trasferirmi all’All’Onestà, allora la seconda squadra di Milano dietro al Simmenthal. Nel 1970 coach Sales mi inserisce nella rosa della serie A e mi fa esordire nella massima serie. Nell’estate del 1971 Giancarlo Gualco, general manager dell’Ignis fa fuoco e fiamme per portarmi a Varese, ma mio padre, persona tutta di un pezzo, aveva giù dato la sua parola sia a Sales, sia ai dirigenti milanesi così rimango a Milano e, devo aggiungere, è stata la scelta più intelligente perché nella stagione 1971-1972 divento una pedina importante della squadra, gioco oltre 25 minuti a partita e metto via un’esperienza impagabile per un ragazzo di 18 anni. Invece, se avessi scelto di tornare a Varese in quello squadrone pieno zeppo di campioni non avrei trovato lo stesso spazio e mi sarei ritrovato a sventolare l’asciugamano”.

Come prosegue la tua avventura da giocatore?
“Resto altre sei stagioni alla Pallacanestro Milano, declinata MobilQuattro come nella foto, e Xerox, poi mi trasferisco al Brill Cagliari per due campionati, a Siena per un anno e per quattro stagioni a Livorno, una delle tappe più importanti a divertenti della mia carriera. A Livorno nel giro di due campionati facciamo il doppio salto vincendo di fila serie B e A2 con coach Benvenuti e in seguito Cardaioli. Ho la fortuna di giocare in una città in cui la gente ama visceralmente la pallacanestro e si consuma di passione anche nel derby contro la Pallacanestro Livorno. Nella stagione ’84-’85 torno in Lombardia, a Pavia per vincere un altro campionato di B e restare per tre anni in A2 con i colori Annabella Pavia e in compagnia di un personaggio “clamoroso” come Cedro Hordges, visto e apprezzato anche a Varese. Infine, calo l’ultimo poker del mio percorso cestistico firmando per Siena. Nella città del Palio vinco altri due campionati passando dalla B alla A2 e nel 1990-1991 dalla A2 alla A1, chiudendo la carriera al PalaVerde di Treviso non prima di aver fatto tremare tutti i tifosi della Benetton”.

In che senso?
“Nel senso che nel primo turno di playoff ci capita l’accoppiamento proprio contro Treviso, squadra davvero quotata che ha Del Negro, Minto, Villalta, Iacopini e soci.  Però, dicevo, nel primo turno costringiamo la Benetton alla bella e all’intervallo di gara-3 siamo avanti addirittura di 14 punti con Vinny Del Negro che fino a quel momento lì, ha messo insieme venti minuti indecenti. Insomma, la faccio breve: tutta Treviso se la sta facendo addosso e la tensione nell’impianto di Villorba si può “mangiare”. Quando dicono a Del Negro: “Ok Vinny, nel secondo tempo sarai in diretta televisiva nazionale”, il play americano si pettina, comincia a giocare sul serio, ci spara in faccia un canestro dietro l’altro – mi sembra di ricordare 38 punti alla fine -, e ci rimanda a casa”.

A carriera conclusa cosa fai?
“Inizio subito l’attività di general manager prima dando una mano al mio amico dottor Ordanini, poi comincio a girare toccando diverse piazze”.

Cinquant’anni di pallacanestro come giocatore e dirigente – in Robur Varese, a Vigevano, Borgomanero, Castelletto e Forlì -, ne avrai di storie da raccontare…
“Tra aneddoti, ricordi, momenti di basket giocato e amministrato ne avrei da riempire almeno tre volumi, specialmente alla voce personaggi. Così, d’acchito, tra la moltitudine di volti, scelgo quello di coach Dado Lombardi che è stato mio allenatore in diverse occasioni. Dado era un coach incredibile, un genio della panchina, capace di leggere le partite come pochi altri ma, come noto, aveva un carattere non esattamente tenero e da livornese incazzoso e polemico ogni tanto entrava in conflitto con “l’universo”. Però, ragazzi, quando c’era da gestire una gara importante lui era un numero 1 assoluto”.

Adesso, se sei d’accordo, è tempo delle tue classifiche “All-Time”. Ti va?
“Ok, giochino interessante, ci sto. Comincia pure”.

Il tuo quintetto italiano?
“Marzorati, Brumatti, Bariviera, Villalta, Dino Meneghin”.

Il quintetto straniero?
“Larry Wright, Bucci, Morse, Jura, Cosic”.

Il giocatore più forte CON cui hai giocato?
“Abdul Jeelani, ala, mio compagno a Livorno”.

Il giocatore più forte CONTRO cui hai giocato?
“Mirza Delibasic, fenomenale asso jugoslavo”.

La tua partita indimenticabile?
“45 punti segnati contro la Manner Novara, ma anche i 37 segnati contro Milano non sono male, a mio parere”.

La tua stagione da ricordare?
“Quelle delle doppia promozione conquistata a Livorno”. 

Il miglior coach?
“Giuliano Bandini per le categorie giovanili e Gianfranco Benvenuti per i senior”.

Oggi invece cosa fai?
“Sono sempre nel basket e lavoro con la Pallacanestro Luino Verbano del mio amico Matteo Minetti. A Luino faccio l’allenatore, ma solo ed esclusivamente di fasce basse – MiniBasket, Esordienti, U13, U14 e U15 -, dedicando gran parte del mio tempo in palestra ad un’arte antica e purtroppo desueta: l’insegnamento dei fondamentali. Intorno a me vedo tanti “stregoni” armati di lavagnetta, impegnati a ordinare “schemoni” e giochi con troppi pick and roll a ragazzini di 12-13 anni. E ovviamente mi chiedo che senso abbia tutto ciò. Così, facendo tutto il contrario, cerco di insegnare ai bambini solo le basi di palleggio, passaggio, tiro, 1 contro uno e gioco senza palla ricordando che se vuoi arrivare in cima prima devi “impazzire” con queste cose. Non è messaggio facile da far passare a ragazzi abituati al “tutto e subito” ma – conclude in tono sereno Mimmo -, ho grande pazienza e tanto, tanto tempo a disposizione”. 

Massimo Turconi