Quel gol all’ultimo secondo che regalò la C1 al suo Varese nel 2009, come dimenticarlo? Poi Livorno, Verona e infine Salerno: gli snodi principali di una carriera che ha sfiorato la propria vetta in una tournee estiva con la maglia della Juventus, esattamente un anno più tardi. Una carriera che ancora avrebbe avuto molto da dire. A trentatré anni, due dei quali, gli ultimi, passati a combattere contro gravi infortuni, l’ex difensore biancorosso, Alessandro Bernardini, ha detto basta al calcio giocato.

Riavvolgiamo il nastro fino al momento in cui tutto questo calvario è cominciato…
“Due anni fa sono stato operato al tendine d’Achille che poi mi ha causato uno scompenso alla gamba sinistra. L’anno scorso a Salerno, tornato dall’infortunio, vedevo che non riuscivo più ad essere di nuovo quello di prima, ma avevo sempre la speranza di rientrare in forma e giocavo sopra il dolore. Poi però la cosa si è trasformata da muscolare a neurologica ed è diventato un problema cronico che non riesco a risolvere. Non ho deciso io di smettere, volevo essere padrone di questa scelta, ma purtroppo le circostanze mi hanno costretto a ritirarmi”.

La tua carriera però non si può ridurre ai soli ultimi due anni. Hai attraversato tutto il panorama professionistico, dalla D alla A. Quanto sei cresciuto e che differenza c’è tra le categorie?
“Le categorie esistono per un motivo semplice: le differenze tra le squadre che incontri ci sono eccome. Penso che i passaggi di categoria siano stati paralleli alla mia crescita calcistica ma non solo. La Serie A poi è un altro mondo per pressioni, attenzione mediatica e se sei fuori luogo, te lo fanno capire subito. Nessuno ti fa sconti e se vuoi rimanerci lo impari”.

Livorno, Chievo Verona e Salernitana. Il ricordo più bello di quegli anni post-Varese?
“Sicuramente Livorno. Quando sono arrivato nel 2010 siamo retrocessi subito, ma poi mi sono ritrovato in B con giocatori di livello davvero altissimo, in molti avevano giocato in Serie A. Tre anni dopo abbiamo vinto i playoff, nel 2013, e siamo tornati in A. Si aveva la netta sensazione che fossimo una squadra forte, vincere era diventata un’abitudine per noi, e finalmente ho riassaporato quello che avevo provato a Varese”.

A Varese dire Alessandro Bernardini equivale quasi a dire quel gol all’ultimo istante contro il Sudtitrol il 10 maggio del 2009, che poi è valso la promozione in C1. Quanto ha significato per te quella rete?
“È stato il coronamento di una stagione senza precedenti, barcollavamo tra penultimo e ultimo posto in Serie C2, ma poi arrivò mister Sannino e con lui conquistammo 18 risultati utili consecutivi. Eravamo all’ultimo secondo della partita con il Sudtirol e l’Alessandria ci stava portando via il titolo. Quel mio gol, forse nella nostra partita peggiore, fu un momento determinante. Non posso dimenticarlo”. 

Pur quanto difficile in questo momento, cosa vedi nel tuo futuro?
“Mi sono trovato catapultato in un mondo nuovo e sono dovuto ripartire da zero. Ho rescisso il contratto con la Salernitana ed ora ho il patentino base da allenatore. Mi piacerebbe prima di tutto laurearmi alla LIUC in Ingegneria Gestionale, e poi provare quella strada. So che è un percorso tortuoso, anche perché la situazione corrente sta veramente cambiando molte cose, ma è anche molto stimolante”.

Ti sei mai definito un allenatore in campo? In panchina che tipo di allenatore saresti?
“Forse allenatore in campo no. Ma negli ultimi anni ero molto presente sul campo nella fase difensiva. Penso di aver aumentato le mie doti comunicative durante una partita. Il mio carattere mi porterebbe a seguire il modello di Ancelotti. Mi piace la serenità e la positività che trasmette ai giocatori, senza fare sceneggiate. Di sicuro servirà studiare molto, perché i tecnici di oggi sono preparatissimi”.

A proposito di allenatori, Beppe Sannino è un nome ricorrente nella tua carriera. Oltre a Varese, avete condiviso anche parte dell’avventura a Verona e Salerno. Che rapporto hai con lui?
“Sannino è la classica persona che sarò sempre contento di rivedere, anche se non ci sentiamo più spesso. È una persona vera che ci mette sempre la faccia. Dice quello che crede anche a costo di rimediare una brutta figura”.

Tu hai vissuto metà dell’annata che ha riportato il Varese in B, prima di trasferirti a Livorno nel mercato invernale. Tornando indietro ti sarebbe piaciuto esserci quel 13 giugno 2010 con la Cremonese?
“Per la verità io c’ero! Non in campo ovviamente, ero sugli spalti a tifare per i miei ex compagni, che quel giorno andarono a mille. L’avevano preparata benissimo, lo posso immaginare perché so quanto significasse quel traguardo per la squadra. Ma non mi pento delle scelte fatte. Quando chiama la Serie A è difficile dire di no”.

Quanto fa male sapere che quel Varese di cui tu hai fatto parte, quello che stava tornando grande, oggi non c’è più?
“I ricordi rimangono sicuramente, Varese è una piazza che merita qualcosa di importante. Giocare in una realtà del genere per me è stato bellissimo. Ho molti ricordi di quei tempi, ma quello cui sono più affezionato è la festa della promozione in C1. Quella è stata forse la prima volta in cui mi sono detto che quello del calciatore poteva essere il mio mestiere”.

Alessio Colombo