Ci sono interviste che rimangono a lungo nei cassetti perché, come si dice in gergo giornalistico, i contenuti “non scadono” e puoi proporli in qualsiasi momento della stagione. Esattamente quello che è successo alla chiacchierata fatta con Josh Mayo, brillante playmaker dell’Openjobmetis Varese, intorno alla metà febbraio, se non ricordo male. Comunque pochi giorni prima che il regista biancorosso facesse i bagagli e lasciasse la nostra città per far ritorno in Texas prima del totale lock-down.

Molte delle domande, di carattere generale, avevano lo scopo di conoscere meglio l’uomo-Mayo, il suo vissuto, i suoi pensieri, le ambizioni e le speranze di un personaggio interessante, che porta con sé valori profondi – fede, famiglia e lavoro – e lati davvero pregevoli. Insomma, tra considerazioni mooolto serie e altre decisamente più leggere, questa sembra essere una bella occasione per conoscere meglio uno dei leader del gruppo allenato da coach Attilio Caja.

Allora Josh, iniziamo con una domandina “da niente”: quale pensi sia il tratto più importante della tua personalità?
“L’equilibrio: come uomo e come giocatore. Se parliamo di quest’ultimo aspetto ti dico che ogni mio istante trascorso sul parquet è teso alla ricerca di equilibrio. Cerco di non farmi influenzare troppo da ciò che succede durante la partita. Così non voglio apparire troppo “in gas” se le cose vanno bene, né troppo depresso se la gara prende una brutta piega. Non posso permettermi atteggiamenti di questo tipo perché, da playmaker e guida, il mio compito è sempre quello di trasmettere serenità e fiducia ai miei compagni. E sempre, appunto, equilibrio”.    

Quali sono le qualità che apprezzi di più in una persona?
“Onestà di pensieri e comportamenti e nel mantenere la parola data, gli impegni. Dovessi esprimere il concetto con un’altra parola direi integrità”.

Qual è il difetto che ti viene rimproverato più più spesso come giocatore?
“Prima di diventare giocatore professionista i miei coach all’high school e al college mi raccomandavano continuamente di parlare di più con i compagni e usare molto di più la voce. In tutti questi anni penso di averlo fatto, magari non sono ancora perfetto, ma credo di essere migliorato tanto sotto questo punto di vista”.  

Come si esprime la tua idea di felicità?
“Trovo gioia nella fede e nella famiglia, pertanto la mia idea di felicità e nell’avere una famiglia in salute e forte spiritualmente”.

Hai qualche rammarico?
“Non ne ho, davvero. Dio ha benedetto me e i miei cari per Lui ho solo un sentimento di gratitudine”.

Il giorno più felice della tua vita?
“Tutti i giorni in cui alzandomi vedo la mia meravigliosa moglie e la mia famiglia”.

E il più triste?
“Finora nella mia vita ho perso poche persone, ma quelli sono stati indubbiamente i giorni più tristi”. 

 Se potessi riportare in vita qualcuno che hai perso, chi sarebbe?
“Mio fratello più piccolo, un cugino a cui ero davvero legato, i nonni, Kobe Bryant e tante altre persone”.

Il primo ricordo della tua infanzia?
“A 5 anni, in vacanza a Disney World”.

L’ultima volta che hai pianto?
“Una settimana fa, ma non ti dirò mai il motivo”.

Il momento che ha cambiato la tua vita?
“Avevo 12 anni, avevo appena giocato, e perso, una gara nella quale avevo giocato in modo terribilmente inconcludente. Sulla via del ritorno a casa mio padre mi disse tante cose, ma una in particolare scosse il mio animo cambiando radicalmente il mio modo di pensare la pallacanestro. “Josh – mi disse – devi deciderti: o fai il basket nella maniera migliore possibile per essere il migliore oppure è meglio che smetti. Piansi tutta la notte per quelle parole, ma quella lezione entrò dentro di me cambiando per sempre i miei orizzonti”.  

Hai un sogno ricorrente?
“Facile: vincere un campionato nazionale: speriamo con Varese”.  

Parliamo di scuola: la materia preferita? E ancora in cosa sei laureato?
“Amo i numeri e la matematica è la mia materia preferita. Sono laureato in Chinesiologia”.

La tua città preferita?
“Roma ha un posto special nel mio cuore: lì è nata mia figlia e la mia carriera da professionista del basket ha cominciato a funzionare nel migliore dei modi e siccome niente accade per caso…”.  

Se fossi miliardario cosa faresti?
“Aiuterei le persone senza casa e quelli che non possono permettersi un percorso di studi adeguato. Poi mi assicurerei che nessuno della mia famiglia debba lavorare per qualcun altro nel corso della sua vita”.

C’è un eroe, un personaggio simbolo nella tua vita?
“I miei genitori. Da quando anch’io ho una famiglia ho capito che essere genitore è il lavoro più importante, ma più duro e difficile che esista”.  

Il regalo più bello che hai mai ricevuto?
“Un trofeo con scritto: “Mio papà è il numero 1”. Il significato di questo oggetto supera di gran lunga tutti i doni materiali che ho ricevuto finora”.

Hai un motto?
“Fai sempre del tuo meglio, ma preparati al peggio. Poi abbia fiducia in Dio e lui ti guiderà alla vittoria”.

Pensi di aver raccolto per quanto meritato?
“Difficile rispondere a questa domanda perché nella vita vorresti sempre qualcosa di più o di meglio. Diciamo quindi che sono sereno e felice per quanto ho ricevuto finora”.

Se avessi fatto scelte diverse: quali?
“Avrei fatto il medico oppure, siccome mi piacciono i numeri, avrei trovato qualcosa che ha che fare con questa mia inclinazione”. 

Avevi l’idea di sfondare all’estero?
“Finito il College ho sempre avuto in mente di provare la carta “oltremare” e negli anni ci sono riuscito. In particolare quest’ultima stagione con Pallacanestro Varese è stata una delle migliori giocate fin qui e spero proprio che ne seguano altre, magari ancora più buone”. 

La rinuncia più importante fatta in questi anni?
“Lasciare mia moglie negli USA per un’intera stagione mentre mi trovavo all’estero a giocare è stato davvero un momento duro. Anche perché, lo si è capito, sono un “family man” e non mi piace vivere in solitudine”. 

Come ti vedi tra 20 anni?
“Spero di essere diventato milionario e di potermi dedicare ad opera filantropiche ma, sempre, circondato dalla mia famiglia”. 

Com’è stata la tua prima, seppur parziale, stagione a Varese?
“Sono stato benissimo in città perché Varese è piccola, ma ben curata e tranquilla come piace a me e ai miei bambini. Ma, nemmeno il caso di dirlo, ho avuto un grande feeling con tutti i compagni, il club, lo staff tecnico e i tifosi. Anzi, credo diu averlo già detto in altre interviste: Varese ha il miglior pubblico d’Italia ed è anche per questa ragione che in casa abbiamo avuto un rendimento eccellente. Giocare a Masnago, davanti alla nostra gente, è difficile per tutti gli avversari. Peccato solo che il coronavirus si sia messo di traverso perché, a mio parere, avremmo sicuramente raggiunto i playoff e da lì in poi ce la saremmo giocata alla pari contro tutti”.

Chiudiamo con una domanda indiscreta sullo spogliatoio: chi è il tuo compagno di squadra più divertente?
“Tutti i ragazzi sono davvero simpatici, però, se proprio devo sceglierne uno dico Jakovics. Anche se dall’esterno può sembrare freddo e controllato Ingus è tutto il contrario, sempre pronto allo scherzo e alle battute”.

Massimo Turconi

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