Il Coronavirus che provoca il Covid-19,l’attuale pandemia, malattia del nuovo secolo, ha “oscurato” tutte le altre patologie. Il virus che ha viaggiato da est a ovest mettendo in pausa l’intero mondo, bloccando milioni di attività, sembra al momento l’unica malattia esistente sulla faccia della terra.  Gli ospedali si sono attrezzati per curare questi malati, interi reparti si sono trasformati, ridimensionando le disponibilità per le altre patologie che ovviamente non sono sparite. Affrontiamo questo argomento con Cristiano Topi, il presidente di AIL Varese Onlus che ci racconta come il Covid abbia segnato anche l’attività dell’ associazione.

«Ci siamo allertati sin da subito, ossia da quando abbiamo avuto la  sensazione che si trattasse di qualcosa di più rispetto a una semplice influenza – dice – Prima del decreto del 9 marzo avevamo già deciso di sospendere la manifestazione della distribuzione delle nuova di Pasqua AIL che, come per le  stelle di Natale,  per noi assume un grande significato non solo economico ma soprattutto di visibilità e di contatto diretto con i nostri sostenitori. Abbiamo capito subito che realizzarla in questo periodo sarebbe stato  troppo rischioso per i nostri volontari, alcuni dei quali hanno un’età avanzata, inoltre volevamo rispettare per primi il principio di salvaguardare il benessere di tutti, essendo un’associazione che promuove la salute  e la ricerca. Si è trattato di una rinuncia non solo onerosa, ma che ha colpito anche le interazioni, visto che la distribuzione delle uova è un momento importante per farci conoscere. Tuttavia non ci siamo arresi e abbiamo individuato canali alternativi. Abbiamo detto “no” alla proposta della distribuzione tramite Glovo o altri rider perché ci sembrava inopportuna in un momento come questo, accettando invece le iniziative di tante sezioni degli Alpini che hanno recuperato le uova per donarle a medici e sanitari dell’ospedale di Varese, ma non solo. Alcune sono state portate al Niguarda di Milano, anche nel reparto Covid, con nostra grande soddisfazione. Inoltre ci siamo avvalsi della collaborazione di negozi alimentari aperti che si sono occupati della distribuzione e, infine, ci sono state aziende private che le hanno acquistate per regalarle ai dipendenti, ma con la chiusura delle aziende ci hanno invitato a donarle agli ospedali. Un’azienda in particolare ne ha donate 160. È stata quindi  una dimostrazione di grande solidarietà da parte di tutti. Generalmente in una nostra campagna distribuiamo 6 mila uova in tutta la provincia, quest’anno siamo comunque riusciti a recapitarne poco più di 3mila unità».

Tra coloro che hanno più risentito di questo momento rientrano sicuramente le persone più fragili colpite da altre patologie che magari non hanno potuto curarsi come avrebbero dovuto: «Assolutamente vero – commenta Topi –. Non ci si ammala solo di Coronavirus. Su questo versante siamo stati costretti, per motivi di sicurezza del malato e di chi lo trasporta, a interrompere il servizio di accompagnamento da casa in ospedale e viceversa per chi si sottopone alle terapie. Il nostro supporto alla ricerca ospedaliera e all’ematologia di Varese è invece rimasto costante, non si è fermato. Il reparto ha anche stabilito da subito nuovi protocolli sugli ingressi che sono stati presi come esempio da altri. In questo periodo di assoluta emergenza l’Ospedale di Varese si è distinto per tante iniziative».

Adesso si va verso un allentamento delle misure, un rischio oppure no? «Sicuramente sussiste anche la paura di un tracollo economico – risponde – , ma dobbiamo continuare ad agire con la massima prudenza. Dobbiamo muoverci socialmente con la massima attenzione e con tutti i dispositivi di sicurezza. Non sarà facile indossare mascherine e mantenere le distanze, ma se comprendiamo che ciò serve a proteggere noi stessi e soprattutto le persone più a rischio e più fragili non rappresenterà un grande sforzo, dobbiamo essere responsabili. Io ho continuato a lavorare e le città nei giorni di lockdown assomigliavano a scene di disastro post nucleare: nessuno in giro. Questo significa che le persone avevano compreso la gravità della situazione e messo in atto la massima prudenza per non vanificare gli sforzi compiuti da tutti».

L’AIL Varese Onlus non si ferma: «Economicamente siamo solidi, esistiamo dai primi anni duemila e possiamo fronteggiare gli impegni assunti con una gestione oculata delle risorse, ma, come tutte le associazioni, abbiamo bisogno di volontari. Chi vuole conoscerci meglio può visitare il nostro sito appena rinnovato, oppure contattarci sui social o chiamarci direttamente».

Elisa Cascioli

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