Uscire, o non uscire, questo è il dilemma. Almeno per un portiere. Eternamente sospeso nel dubbio che ha macerato generazioni di guardiani della rete. Combattute da un fondamentale in cui il tempismo fa la differenza tra andare a vuoto e colpire il bersaglio. Perchè tra figuraccia e figurone è davvero un attimo. Ma se si tratta di confini, per Giulio Mangano l’estate post Covid potrebbe suggerire di rimanere tra i pali: “Avevo prenotato un viaggio in Grecia. Ma ora, con quello che è successo, non so se sarà possibile farlo. Ho gli esami universitari di Scienze Politiche. In particolare uno in sociologia. Solo dopo vedrò cosa fare”. L’alternanza scuola lavoro riporta ai legni dello “Speroni”. Con un appuntamento forzatamente rimandato all’anno che verrà.            

Passiamo ai titoli di coda sulla stagione biancoblu. Davvero inevitabile rinunciare all’ipotesi playoff?    
“E’ stata una scelta logica. Impossibile fare altrimenti analizzando rischi e benefici. Non avevamo nessuna certezza di partecipare ai playoff. La soluzione migliore sarebbe stata quella di finire la stagione completando le giornate mancanti. Ma come abbiamo visto per molte società, i costi erano troppo elevati. Tornare a giocare? Chiaro che ci fosse tanta voglia di farlo. Ma siamo in uno scenario più grande delle nostre singole volontà”.

Secondo Turotti il prossimo raduno sarà fissato 50/55 giorni prima dell’avvio del campionato. E non i canonici 40. Necessario?
“Con il mio fisico qualche giorno in più sarà sicuramente utile. I primi 2 mesi chiusi in casa sono stati molto difficili. Era possibile fare solo qualche esercizio a corpo libero. Ora è diverso. Potendo uscire si può fare anche un po’ di bici. Certo, manca il campo. Non so proprio dire quale livello di forma ho mantenuto”.

Ancora 2 anni residui di contratto (dei 4 iniziali). Hai trascorso questi mesi senza assilli per il futuro?   
“Per la verità, vivendo in famiglia non ho particolari spese e non posso dire di aver sentito il problema. Anche se capisco il disagio del mondo del calcio”.

La porta tigrotta come la poltrona di John Landis. Una questione per 2. Pesa il dualismo con Tornaghi? 
“L’anno scorso è stato d’aiuto. Quando ho avuto qualche problema, Paolo era pronto. Quest’anno è stato diverso. Ho avuto l’handicap dell’infortunio all’inizio. Poi una volta recuperato, il principio era semplice: chi stava meglio giocava. Allo stop stavo giocando io. Per dirla tutta, anche per l’infortunio di Paolo”.

Nel turnover tra i pali, la stagione passata sei stato protagonista di quelle 5 sconfitte consecutive in trasferta (4 per 1-0) tra gennaio e marzo. A distanza di tempo hai metabolizzato?  
“Penso di aver fatto comunque delle buone prestazioni. Avevamo quasi raggiunto i playoff e c’è stato un piccolo calo. Non erano le partite migliori. Siamo andati su campi difficili come Piacenza o la stessa Arzachena. Contro squadre che avevano bisogno di punti”. 

Derubrichiamo a sfortuna, quindi?
“No, non parlerei di sfortuna. Quella gira sempre. Consideriamola un’esperienza. E’ servita anche quella”.

Si va verso un calcio senza pubblico. Almeno in una prima fase. Come te lo aspetti?
“Sarà un problema soprattutto per noi portieri. Ho letto in vari blog che potrebbe essere difficile mantenere lo stesso livello di attenzione per 90’ senza lo stimolo dei tifosi. Ci sarà sicuramente un impatto. Se me l’avessero chiesto qualche mese fa, non avrei voluto farne a meno. Ora, in astinenza da calcio, lo considero un sacrificio necessario“.

Il segreto di Javorcic, se ce n’è uno? 
“E’ stato bravo e fortunato a trovare un gruppo di ragazzi aperti e disponibili al lavoro. Così sono stati ottenuti buoni risultati”. 

Dici portiere e alla Pro Patria pensi al preparatore Augusto Rasori. Quanto gli devi?  
“Posso dire che ci è sempre stato vicino in questi mesi nonostante fosse molto impegnato con gli straordinari di Polizia causa pandemia. Attraverso messaggi e un supporto continuo. Siamo insieme a Busto da 3 anni. Ormai conosco il suo metodo di lavoro”.

Diverso da quello adottato nel settore giovanile dell’Inter? 
“Sostanzialmente sì. La principale differenza è che lavoriamo di più con la squadra. Sugli aspetti tecnici. All’Inter c’era maggiore separazione con il gruppo e si privilegiava il lavoro situazionale”.

Handanovic visto da vicino. Un punto di riferimento? 
“Beh, non posso certo dire che gli assomiglio. Diciamo che ho provato a prendere ispirazione. Soprattutto su alcuni aspetti su cui lui è molto forte e io devo migliorare. Come le uscite basse o i movimenti sulle diagonali. Ma se proprio devo fare il nome di un modello, dal punto di vista stilistico direi Oblak“.     

Giovanni Castiglioni

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