Una lunga, lunghissima storia d’amore. 34 anni vissuti intensamente con il gialloblu tatuato sulla pelle. Arrivato giovanissimo a Varese e accolto nella famiglia roburina, Giovanni Todisco ha rappresentato per molti anni uno dei volti più iconici della società di via Marzorati. Fino a pochi giorni quando gli è stato comunicato che non farà più parte dei piani tecnici della Robur.
“La mia prima reazione alla notizia è stata di pura sorpresa. Non mi attendevo minimamente una decisione del genere – afferma Todisco – E’ stato il classico fulmine a ciel sereno. Mi aspettavo un colloquio conoscitivo, ma non certo la fine di questa avventura. Ho sempre avuto molta fiducia nel lavoro svolto in Robur tanto che non mi sono stati contestati i risultati come motivazione. La mia forza è sempre stata quella di non tirarmi indietro e ho sempre pensato che certe cose venissero riconosciute. Ciò non cambia, comunque, l’amore che ho per una maglia che ho sempre sentito come la mia seconda pelle. L’affetto, le tante parole di conforto ricevute da tante persone nei giorni successivi mi hanno addolcito la situazione”.

Difficile condensare così tanti ricordi in poche righe. Partiamo dall’inizio.
“Quando sono arrivato giovanissimo in Robur c’era tanta professionalità con Gualco general manager, Chiapparo e Franco Passera come figure di riferimento e ho avuto subito l’occasione di lavorare nella B d’Eccellenza che era un super campionato ai tempi. Ho avuto un grande rapporto con Franco Passera: lui mi ha dato e insegnato tanto”.

Poi due anni a Luino col 7Laghi di Giroldi prima di tornare in Robur come responsabile minibasket e, penso, di cogliere i migliori ricordi col super gruppo ’89 che contava Martinoni e Padova.
“Ti dirò: sono i ricordi più belli perchè sono associati alle mie prime vittorie. Già dai primi tornei si capiva che quello sarebbe stato un grande gruppo: nel 2002 vincemmo il Garbosi contro la quotata Scavolini, nel 2003 vincemmo il titolo nazionale BAM con un oceanico +34 in finale sempre sulla Scavolini, fummo la squadra che vinse la prima edizione del Join The Game con Martinoni, Padova, Donati e Zanzi (attuale allenatore delle giovanili gialloblu “Gianmarco aveva grande grinta: ricordo come annullò Aradori in una partita tenendolo a soli 20 punti quando di solito viaggia a 50 di media”). Era un gruppo cosciente della sua forza: negli anni andammo anche a Kaunas a giocare un torneo”.

Negli anni, però, le cose cambiano. Hai notato cambiamenti nei ragazzi in tutti questi anni di panchine?
“Se paragoniamo gli ultimi 2005 rispetto agli ’89 sì, i ragazzi sono cambiati, ma anche il mio modo di allenare è diverso. E’ inevitabile: il mondo gira e cambia e così fanno anche i ragazzi. Il mio motto è sempre stato “restare giovane in mezzo ai giovani”. Però, la cosa importante è ciò che senti dentro quando devi allenare e che devi trasmettere ai ragazzi, ma anche devi credere nel rapporto coi ragazzi. Dev’essere un rapporto a 360 gradi: non c’è solo l’allenamento, ma bisogna saper entrare nella vita dei ragazzi. Mi ha fatto piacere vedere che i valori che ho sia riuscito in parte a trasmetterli ai ragazzi e vedere che loro mi reputano ancora importante nelle loro vite”.

Un’altra annata importante è il gruppo ’95 con Matteo Piccoli.
“Sono contento che Matteo sia riuscito a dimostrare di valere la A2, ma in quella squadra c’era anche Dejace che a talento non aveva confronti. Ci siamo divertiti molto anche coi ’97 di Moalli dove siamo usciti dalla corsa alle finali per mano della Stella Azzurra Roma dell’attuale canturino La Torre o i 2 anni fantastici coi 2003 dove siamo usciti sempre con la solita Stella Azzurro del talentuoso Spagnolo. E infine coi 2005 dove siamo riusciti, contro ogni pronostico, ad arrivare ai quarti di finale lo scorso anno uscendo con Desio”.

Parole, ma anche tanti dettagli difficile da riportare integralmente in quest’intervista che fanno trasparire quanto il coach ami il suo lavoro e, soprattutto, i suoi ragazzi. Infatti, non a caso, sono le prime persone che cita come più legate in questi lunghi anni a testimoniare quasi il concetto di famiglia:
“Ho tanto affetto per tutti i miei ragazzi e spero mi venga riconosciuto. Poi, Gualco e l’amicizia con Chiapparo e Passera. Poi non posso non citare il Dott. Cesare Corti che per me è come un secondo padre. Gli devo una gratitudine infinita: tanti consigli e anche qualche strigliata. Sono arrivato a Varese che ero un ragazzino e sono diventato un uomo col Dott. Corti come punto di riferimento. Poi ovviamente non posso non citare Gianni Asti: lui è stato il mio mentore e non potrò mai dimenticare gli insegnamenti e ciò che è stato per me Gianni”.

E nel tuo futuro cosa c’è?
“Do un fugace sguardo al passato dicendo che finire la carriera in Robur sarebbe stata la ciliegina sulla torta della mia carriera. Poi, beh, il Covid ci ha tenuto già lontano dal parquet per tanto tempo per cui non mi vedo per molto altro tempo lontano dal campo. Mi vedo in palestra con più entusiasmo e più voglia di prima. Se qualcuno vuole fare due chiacchiere e chiamarmi le faccio volentieri perchè per la pensione c’è ancora tempo: ho entusiasmo e voglia di trasmettere questi valori!”.

Matteo Gallo

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