C’è della poesia anche nel saper stare al fianco. Carpire le emozioni, leggere i momenti più complessi, accompagnare i successi. È quella sensazione di far parte di quello scheletro che dà il moto necessario agli ingranaggi di un meccanismo perfetto. Gigi Asnaghi, in trentacinque anni di calcio, ha fatto propria questa idea e ora è pronto ad una nuova avventura, quella dii preparatore atletico di un astro nascente della Serie D: la Castellanzese del suo ex giocatore, Achille Mazzoleni.

Benvenuto prof. Asnaghi. La sua è una di quelle carriere tutte da raccontare per longevità e prestigio. Come comincia la sua storia?
Ho fatto l’insegnante alle medie e liceo per quarant’anni. Ma ho capito subito dopo aver fatto l’ISEF che il mio pallino era quello della preparazione atletica. Uno dei miei professori, che era il preparatore dell’Olimpia Milano fino a qualche tempo fa, mi chiamò e mi disse che avevo fatto un buon lavoro per il suo esame. Così nel 1984 ho cominciato grazie anche a Favini che mi portò al Como. Lì ho conobbi Rino Marchesi. Si fece male un giocatore e io lo aiutai a recuperare. Alla fine dell’anno Angelo Sguattero, allora preparatore atletico del Como, andò al Milan. Si liberò un posto e pensarono a me. Dopo di che sono arrivate Monza per dieci anni, Meda, Chiasso, Legnano, Novara, Chievo Verona, Renate, Seregno…”.

E ora la Castellanzese… Cosa spera di poter dare ai neroverdi?
“Sono davvero convinto di poter dare un grande contributo nel segno del professionismo. La cosa che mi ha sorpreso di più di questa società è la positività dell’ambiente. C’è una grande organizzazione, una struttura dove per l’appunto si respira del professionismo. Una società che conosce la realtà della Serie D, senza fare voli pindarici. Questi sono aspetti fondamentali che fanno la differenza”.

Quando si ricomincerà a giocare saranno passati per lo meno sei mesi dal primo stop. Che lavoro imposterete per presentarvi al meglio al via del campionato?
“Nessuno di noi ha vissuto un’esperienza simile, nemmeno paragonabile ad uno che ha avuto un infortunio lungo. Dal punto di vista operativo sono sicuro che all’inizio ci sarà tanto entusiasmo e poi subentrerà un calo, bisognerà adattarsi. In linea di massima avranno problemi le squadre con giocatori più ‘anziani’. Noi faremo un approccio normale, ai giocatori darò un protocollo di pre-preparazione. Sarà un po’ più ampio del solito, ma le indicazioni che darò saranno quelle di far capire loro che la continuità dà dei benefici”.

Il suo nome è legato anche ad un grande ex Varese, Beppe Sannino. Che rapporto ha con lui?
“Beppe lo conosco da sempre, già dai tempi del Monza. Siamo diventati amici allora e io sono sempre rimasto in contatto con lui. Proprio pochi giorni fa ci siamo risentiti. In carriera ci siamo incontrati anche da avversari. Nel 2008 io ero a Novara in C e lui era stato preso al Varese, in grave difficoltà, e la prima partita che lui fece fu proprio contro la mia squadra in Coppa Italia. Mi promise che se fosse arrivato in Serie A mi avrebbe chiamato. Lo fece quando arrivò al Siena, io però rifiutai. Poi passò al Palermo e infine al Chievo. Arrivo di nuovo la proposta e non potei non accettare”.

Effettivamente sul campo avete condiviso solo, si fa per dire, l’esperienza al Chievo Verona. Come è stato lavorare al fianco di Sannino?
“Siamo stati insieme per soli sei mesi, anche se spesso su panchine diverse ci scambiavamo suggerimenti. Secondo me lui è un grande motivatore, aveva una grande capacità di caricare la squadra. I nostri rapporti sono stati ottimi dal punto di vista professionale, ci stimiamo e ci rispettiamo molto. Lui però mi ha sempre rimproverato di essere troppo morbido con i giocatori”.

È vero?
“Non sono uno di certo uno che ammazza i giocatori di lavoro. Preferisco allenarli alla prestazione, alla competizione di livello. Io sono convinto che la differenza in uno sport come il calcio, ma non solo, la faccia la continuità. Quello che dai al corpo, il corpo te lo restituisce”. 

Si parla poco di chi sta attorno all’allenatore, quali caratteristiche deve avere un buon preparatore atletico?
“Prima di tutto deve avere un’adeguata competenza professionale, questa viene con lo studio e con l’esperienza. Ma la vera differenza sta nella capacità di interagire con l’allenatore e con i giocatori. Loro devono avere fiducia in te e tu devi avere una giusta dose di autorevolezza in maniera quotidiana. Sono piccole cose che emergono soprattutto nei momenti difficili”.

Troppo spesso leghiamo i nostri successi al concreto dei risultati che otteniamo, ma esistono anche aspetti meno materiali. Quale reputa essere stato il suo successo nella sua carriera da preparatore?
Come mi è capitato in questi anni, ritrovare i propri giocatori da avversari che ti dicono che hanno imparato tanto da te. Oggi molti di loro sono diventati allenatori, come Oddo o De Zerbi che ho avuto al Monza. L’esempio più clamoroso è proprio con Achille Mazzoleni che è stato mio giocatore e ora mi ritrovo a collaborare con lui. Insomma, la metodologia oggi giorno è simile, ma le persone si ricordano di più come sei stato con loro e questa è la cosa più bella”.

Alessio Colombo 

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