Il colpo di mercato della neopromossa in Eccellenza Gavirate porta il nome di Maximiliano Pescara. Difensore centrale classe 1991 di origine argentina, dopo trascorsi importanti in Spagna e Venezuela approda in Italia nel 2018, sotto l’ala protettiva del presidente del Verbano Pietro Barbarito, per cui spende parole di profonda riconoscenza. Allegro, determinato e innamorato del nostro Paese, Maxi è pronto a iniziare questa nuova avventura, in un Gavirate che l’ha subito colpito per l’affiatamento dello spogliatoio e la concretezza della società.
Il pallone ti ha portato in giro per il mondo. Qual è stato il momento più emozionante?
“Il momento più emozionante della mia carriera è stata la partita Toledo-Atletico Madrid. Ricordo che si giocava di giovedì e il mercoledì sera il mister mi ha chiamato e mi ha detto che sarei sceso in campo. La prima cosa che ho fatto è stata pulire le scarpe e chiamare la mia famiglia in Argentina per dare loro la notizia. Ero molto giovane e sapendo che avrei affrontato giocatori come Simão, Diego Costa, Agüero e Forlán non vedevo l’ora che arrivasse il fischio d’inizio. È stata un’esperienza bellissima”.

Parlaci un po’ della tua carriera.
“Sono arrivato in Spagna a 16 anni e ho firmato un contratto con l’Hércules. Secondo il mister ero troppo forte per la squadra giovanile, l’equivalente della Primavera italiana, e anche per la prima squadra della Segunda División B. Così hanno iniziato a mandarmi in prestito in varie squadre della LigaPro. Essendo sudamericano, però, era difficile che mi acquistassero perché a quei tempi ogni squadra aveva solo due o tre posti per i non comunitari che usavano pergiocatori già noti e più esperti. Quando sono arrivato al Plus Ultra, in cui sono stato anche il capitano, essendo in prestito con l’opzione di acquisto mi hanno preso: sono stato lì per tre anni e mi sono trovato molto bene. È stata la mia ultima squadra spagnola prima di andare in Venezuela. Lì ho giocato nella loro serie A con i Mineros de Guayana, una squadra molto forte con una grande tifoseria, dove giocava un mio amico, Rafael Acosta, cresciuto nel settore giovanile del Cagliari, con cui avevo giocato insieme anche in Spagna. Quel periodo, però, è stato difficile perché non mi trovavo molto bene con la società e in Argentina è venuto a mancare mio fratello. Così sono tornato per un po’ a casa, in Patagonia, e ho giocato per la mia gente. Ho trascorso dei mesi molto belli che mi hanno dato la carica per tentare un’altra possibilità in Venezuela, questa volta in serie B con i Petroleros. È stato un campionato incredibile, sia per me che per il gruppo: abbiamo giocato la Copa Venezuela eliminando tante squadre di serie A e siamo arrivati fino alla finale dei playoff. Dopo quella stagione ho ricevuto alcune richieste da squadre della serie A venezuelana e sono approdato al Portuguesa. L’anno dopo avevo la possibilità di rinnovare il contratto o di cambiare squadra, ma la crisi economica nel Paese ha iniziato a peggiorare: la loro moneta, il bolivar, si svalutava sempre più e, per quanto amassi e ami tuttora il Venezuela, rimanere lì sarebbe stato un rischio. Così sono tornato a casa, dove ho continuato ad allenarmi in vista di altre opportunità, ed è stato in quel periodo che grazie al mio amico Miguel Magnoni sono arrivato fino a Pietro Barbarito”.

Era il 2018 quando sei arrivato al Verbano. Com’è stato l’approccio con il calcio italiano?
“Dopo le mie varie esperienze per il mondo, era la prima volta in cui non parlavo la lingua del posto, quindi mi sembrava tutto così nuovo. Ma a Besozzo ho avuto la fortuna di trovare persone incredibili, primo tra tutti il presidente Barbarito, che è stato come un padre per me. Tutti conoscono il suo lato calcistico ma io ho potuto conoscere anche quello più profondo e posso dire che di uomini come lui non ne esistono più. Mi ha aiutato molto sin dal primo momento, così tanto che, siccome per questioni legate al trasferimento non ho potuto disputare il girone di andata, mi spiaceva non poter contraccambiare questa sua cortesia in campo. Poi a gennaio ho potuto finalmente giocare e ho trovato il calcio italiano molto tattico. Lo avevo già capito durante gli allenamenti, con Mister Alessandro Marzio che è un grande professionista, proprio come lo era stato da giocatore, un vero uomo di calcio e un maestro di tattica. Con lui mi sono trovato benissimo ed ero molto felice perché mi rendevo conto che a 27 anni avevo ancora molto da imparare e potevo migliorarmi allenamento dopo allenamento. Un’altra cosa che mi ha colpito del calcio italiano è che i mister, quando trovano uno schema tattico che funziona, gli restano fedeli e adattano i nuovi giocatori a quel modulo, sia fisicamente che tatticamente”.

Nella scorsa, purtroppo breve, stagione ti sei diviso tra Vergiatese e Ardor Lazzate.
“Finita la stagione con il Verbano in teoria sarei dovuto andare al Como, ma quell’anno è passato in Lega Pro e diventava molto più difficile essere preso da una società del genere. Ho avuto la possibilità di andare a Vergiate, sempre sotto la guida di Mister Marzio, e poi a dicembre sono passato all’Ardor Lazzate, dove ho conosciuto Mister Bonazzi che è un altro grande professionista”.

Ora il Gavirate, che ha letteralmente dominato nel proprio girone. Cosa ha influito maggiormente sulla tua decisione e qual è stata la tua prima impressione della società?
“Quando il Gavirate mi ha chiamato avevo già ricevuto altre due o tre proposte e l’ho detto onestamente alla società. Sono andato a parlarci di persona per capire bene il progetto e l’impressione è stata positiva. Sapevo che è una società seria che vuole fare bene e avevo già conosciuto la squadra in un’amichevole giocata l’anno scorso. Lo stesso Marzio, a cui avevo chiesto un parere, mi ha consigliato il Gavirate e sono sicuro che è stata la scelta giusta. Il presidente Foghinazzi ha fatto crescere non solo la prima squadra ma anche il settore giovanile, facendolo diventare scuola Juve, Mister Caon mi ha convinto subito con la sua visione di gioco e mi ha fatto sentire importante e anche con i compagni mi trovo molto bene. Per noi sudamericani è fondamentale vivere lo spogliatoio e a Gavirate ho trovato quello che mi mancava: i ragazzi si trovano prima dell’allenamento e quando finisce restano a parlare e scherzare. Il primo giorno ero sorpreso perché non ero più abituato a vedere un ambiente così. C’è tanta armonia e rispetto per tutti, giovani e veterani, e mi hanno fatto sentire subito parte del gruppo. Quando sono arrivato si stavano allenando già da un mese con una voglia enorme e questa cosa mi ha riempito il vuoto che avevo nel cuore. Ero stanco di non vedere più questa fame, che è il tratto distintivo di noi giocatori sudamericani. Ora sto iniziando a conoscere Mister Caon e mi sembra dello stesso stile di Marzio e Bonazzi: un allenatore giovane della nuova scuola che chiede di giocare un calcio ad alta intensità, che è proprio quello che mi piace. Qui chi non corre resta fuori, indipendentemente da quanto sia bravo. Siamo in tanti, quindi il mister ha un’ampia scelta e io mi impegnerò per meritarmi la sua fiducia, così come quella del direttore e del presidente”.

Come hai affrontato il periodo di quarantena?
“È stato un periodo complicato, soprattutto per il fatto di essere lontano da casa. Per me vedere la mia famiglia è la benzina che mi dà la carica per tutto l’anno, da agosto a maggio, e il covid mi ha privato di questa possibilità. Era difficile allenarsi senza ispirazione, senza sapere se e quando avremmo ripreso, e con così tante incertezze economiche. Mi allenavo comunque tutti i giorni e per motivarmi mi ripetevo che saremmo tornati a giocare a calcio. Grazie a Dio ora possiamo di nuovo toccare il pallone e correre coi compagni. Piano piano ne stiamo uscendo ma dobbiamo capire la situazione mondiale ed essere consapevoli della problematica economica. Anche per questo motivo era difficile per me fare una proposta al presidente Foghinazzi. Analizzando le circostanze e venendoci incontro reciprocamente, abbiamo trovato un accordo e sono molto contento di essere al Gavirate”.

Cosa ti aspetti dalla prossima stagione? Quali gli obiettivi personali e di squadra? 
“Il mio obiettivo personale è di ripagare sul campo la società e di dimostrare a me stesso che non si smette mai di imparare, perché ogni giorno bisogna riuscire a fare meglio di quello prima. L’obiettivo di gruppo, essendo una squadra neopromossa, è di restare con i piedi per terra e lavorare duro. Noi dobbiamo pensare a correre e a giocare bene, poi se siamo bravi staremo nella prima metà della classifica, altrimenti nella seconda. L’importante è alzarsi la mattina con la gioia di poter giocare a calcio, poi tutto il resto è nelle mani di Dio”.

Silvia Alabardi

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