Nel girone A di Eccellenza il Verbano è stata una delle società che ha toccato con mano i problemi causati dalla convivenza con il Covid. Delle prime quattro giornate di campionato, i rossoneri hanno potuto disputarne solo due a causa di rinvii per sospetti casi di positività. Il direttore generale Marco Barbarito commenta il tentativo di ripresa durato dai primi di agosto all’interruzione decisa da Fontana lo scorso venerdì.

Come valuti questa sospensione? 
“Ho letto che ci sono state tante critiche per la decisione del presidente Fontana, però secondo me bisogna cercare di capire la situazione, che non è per niente rosea. C’erano già state difficoltà iniziali per poter applicare il protocollo, perché era necessario coinvolgere tante persone in più. Ad essere realisti, per me era una decisione che andava presa. Sicuramente si potrebbe non essere d’accordo in caso di una chiusura totale, ma il fatto è che per andare avanti bisognerebbe trovare una soluzione che al momento non c’è. I tamponi hanno i loro tempi e, dovendo aspettare giorni per avere i risultati, diventa difficile affrontare le partite. L’unico modo sarebbe di introdurre i test salivari per monitorare in tempo reale lo stato di salute dei giocatori e garantire la sicurezza al cento per cento, così da essere tranquilli di fare le cose per bene. Ai nostri livelli, però, non so quante società sarebbero disposte a fare questo investimento”.

Sono molte le società della provincia che hanno sottoscritto la lettera inviata a Fontana. Le ulteriori restrizioni introdotte in Lombardia in questi giorni, però, non lasciano ben sperare circa un’eventuale apertura nei confronti dello sport…
“Purtroppo siamo nel pieno di un’emergenza e paghiamo le conseguenze di quest’estate, quando in tanti hanno preso le cose alla leggera e i contagi hanno iniziato ad aumentare. Si sperava nel buon senso degli italiani, ma come c’era da aspettarsi non c’è stato, e ora la situazione è fuori controllo. Il problema che esiste adesso in Italia è che non vogliono ammettere la possibilità di un altro lockdown, perché lo Stato non avrebbe i fondi per permetterselo, quindi vengono prese decisioni discutibili e per molti la situazione non è gestita in modo corretto. Non essendoci una vera e propria soluzione al problema, sono costretti a fare queste limitazioni. Penso che la data del 6 novembre sia una misura preventiva, perché per adesso le terapie intensive sono quasi libere, ma potrebbero riempirsi per le influenze e non sarà un periodo facile”.

Vedi probabile una ripresa in primavera? Cosa dovrebbe cambiare?
“Se si riprende la stagione, si potrebbe pensare di fare come in Svizzera, dove iniziano il campionato in estate e per il momento stanno andando avanti senza particolari problemi. Con il protocollo che abbiamo adesso giocare è difficile, perché può capitare che un ragazzo venga messo in quarantena con tutta la classe e non sia a disposizione. Capisco che le società che hanno investito tanto siano contrariate, però andare avanti a singhiozzo è complicato. Per ogni raffreddore si vivrebbe con l’ansia del virus e bisognerebbe fare i tamponi. Le società sarebbero disposte a fare i tamponi ogni 4 giorni? Quando i tesserati sono tanti, è impossibile avere il pieno controllo. O si riescono a tutelare di più i giocatori, cosa che sarebbe fattibile solo a livello di prime squadre, altrimenti la situazione è quasi impossibile”.

Con due partite su quattro sospese, avete vissuto in prima persona i problemi della ripartenza. Com’era vivere il calcio in una situazione del genere?
“Già quest’estate eravamo partiti più tardi perché avevamo voluto fare i test a tutti prima di iniziare la preparazione. Dopo la prima partita col Club Milano i ragazzi avevano i crampi ed erano stremati. Giocando in questo modo c’è anche un maggior rischio di infortuni e la stagione diventa falsata. Il rischio era quello di giocare solo cinque partite in tutto il girone d’andata. Agli allenamenti vedevo negli occhi dei ragazzi e mentalmente non era facile andare avanti così, anche solo per il fatto di doversi togliere le scarpe prima di entrare negli spogliatoi o di dover sanificare continuamente gli ambienti. Domenica sarebbe stata la terza partita che saltavamo. Stare fermi per tante giornate e non poter fare neanche gli allenamenti non è facile. Giocare piace ma non capisco questo accanimento contro una decisione che da un lato può sembrare esagerata, ma dall’altro dipende dai numeri, che in Lombardia non sono belli. Solo nella nostra zona capitava che ogni domenica venissero sospese almeno venti partite. La mia speranza è che si torni a giocare e a vivere una vita normale il prima possibile, ma bisogna essere realisti”.

Silvia Alabardi

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