Continuano i commenti riguardo alla decisione di Fontana in merito alla sospensione degli sport di contatto fino al 6 novembre. Si sa, ognuno la pensa diversamente ma su una cosa tutti sembrano concordare: il fatto che in questo modo viene tolta, ancora una volta, la libertà di vivere normalmente non solo a noi “grandi” ma soprattuto ai bambini perché il calcio, come lo sport, non è un semplice passatempo ma un modo per instaurare rapporti e creare dei valori importanti per il loro sviluppo. Di questi temi e dell’impatto che avrà un ulteriore stop ce ne ha parlato Marco Tatti, presidente del Caravate
Prima di tutto ti chiedo che cosa ne pensi di questa situazione.
“Non so se era una decisione inevitabile, per me era più congruo tenere buono il decreto nazionale lasciando liberi gli allenamenti e le partite a carattere regionale. Ci sono delle discussioni a riguardo ma per il momento dobbiamo adeguarci”.

È un provvedimento che si prolungherà?
“Dipende da come e in che modo i casi aumenteranno, adesso ci sarà anche il lockdown notturno e si stanno accavallano varie decisioni che hanno come obiettivo farci spostare il meno possibile. Spero che la situazione migliori con la speranza che si applichi almeno il DPCM nazionale ma, vedendo i numeri, purtroppo sono pessimista”.

Parlando di quello che comporta questo stop, senza dubbio i più piccoli sono quelli che ne risentono maggiormente…
“Purtroppo sì. A fine agosto quando sono arrivati i bambini per riprendere gli allenamenti, la maggior parte era aumentata di peso in maniera considerevole. Sicuramente loro sono penalizzati perché non sanno gestire l’alimentazione e l’esercizio motorio a differenza di un ragazzo della prima squadra che sa come mangiare e svolgere l’allenamento. Poi non è da dimenticare il problema della socializzazione perché lo sport serve per ritrovarsi, stare insieme e giocare e se non fanno questo stanno ai videogiochi o al telefono ed è sbagliato per la loro crescita. Probabilmente il decreto nazionale è quello più corretto perché le società si sono adeguate per rispettare i protocolli, con uno sforzo a livello organizzativo da parte di tutti. Ad esso la cosa più auspicabile è che la Lombardia torni sui suoi passi, nei limiti concessi e così facendo non solo permetti di stare in movimento ma è anche la soluzione meno punitiva. Se i ragazzi vengono al campo con i giusti distanziamenti e con lo spazio grande che abbiamo a disposizione i rischi di contatto durante un allenamento sono pochi”.

Passando al campionato della prima squadra, se si dovesse continuare così diventerebbe dura poi…
“Per il campionato più si va in là con il tempo e più diventa difficile, già ora ci sono le partite che sono state rinviate per Covid da recuperare a cui si devono aggiungere quelle di queste settimane. Una possibile soluzione è permettere di proseguire pure a giugno, prolungando la chiusura del campionato o non fare i play-off e i play-out perché se si fanno i turni infrasettimanali chi non ha le luci, come noi, deve affittare i campi e sono costi ulteriori o in alternativa bisogna chiedere dei permessi dal lavoro per le partite al pomeriggio e non tutti possono prenderli. C’è da dire che se si gioca in inverno, sui campi ghiacciati, alla sera la qualità che i giocatori possono esprimere peggiora. Noi nel frattempo stiamo completando dei lavori alla struttura come l’impianto di irrigazione, ordine e pulizia dei locali, sistemazione di pratiche burocratiche e poi stiamo facendo delle riunioni con gli allenatori per capire come gestire l’eventuale blocco. La prima squadra ha già un programma stilato dal preparatore atletico e quindi loro sanno come comportarsi”.

Roberta Sgarriglia

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