A Tradate il ristorante Da Vincenzo è diventato un’istituzione. Non è solo la semplice frase di presentazione che leggiamo sul sito, ma un’assoluta verità: in oltre cinquant’anni di storia, Da Vincenzo si è costruito un nome e una reputazione di tutto rispetto nell’ambito della ristorazione grazie al duro lavoro della famiglia Vuolo. Lo sa bene, ad esempio, la Varesina dato che il patron Di Caro è un cliente abituale.
Dal 1969Vincenzo insieme a sua moglie Assunta, e successivamente i figli GennaroAlfonsoGaetano e Pietro hanno portato avanti l’attività di famiglia superando ogni problema, ma non si erano mai trovati davanti ad un anno come il 2020. Prima il Covid e il lockdown, poi la tanto agognata ripartenza e ora un nuovo stop imposto dal DPCM del 24 ottobre. “La situazione è un disastro – taglia corto Alfonso -. Mi viene da ridere perché all’improvviso, dal nulla, ci hanno tagliato le gambe e siamo costretti a ripartire da capo. Non siamo infuriati, di più”.

Qual è la cosa che ti fa arrabbiare di più?
“La poca chiarezza. Capisco che non sia facile gestire situazioni del genere, ma un protocollo deve essere fatto come si deve una volta per tutte e deve valere per tutti; invece ogni giorno cambiano le disposizioni e ogni ordinanza contraddice l’altra. Purtroppo l’Italia funziona così: lo Stato dice una cosa, le Regioni ne dicono un’altra e delegano le province, ma di fatto non si capiscono neanche tra di loro e quelli che ci rimettono siamo noi cittadini”. 

Come eravate usciti dal lockdown?
“A pezzi, perché di fatto abbiamo buttato via tre mesi. Anche dopo la riapertura di maggio non è stato facile, perché inevitabilmente la gente aveva paura di uscire e c’era bisogno di riprendere confidenza. Pensavamo di esserne usciti, e invece siamo punto e a capo. Se non peggio”. 

Come vi siete organizzati per tenere aperto a mezzogiorno?
“Spazio ne abbiamo, tra l’altro diviso in più sale, per cui il problema delle distanze non si pone, anche se chiaramente perdiamo della capienza perché non possiamo più fare le tavolate. Per il resto ci siamo uniformati, come chiunque altro, a tutte le normative a tutela della salute, mettendo a disposizione igienizzanti e sanificando regolarmente l’ambiente”.

Cosa comporta il restare chiusi la sera?
“L’80% in meno. Non ha senso dire a un ristorante di chiudere alle 18.00, tanto vale farlo smettere e basta: è una presa in giro per i ristoratori, perché il grosso del lavoro lo abbiamo la sera e dimezzarci la giornata significa ucciderci. Noi ogni sabato sera a pieno regime facevamo 240 coperti, tra agosto e settembre siamo riusciti a farne anche 160/170; sono numeri da dimenticare. E non oso immaginare quale sia la situazione dei bar che vivevano sugli aperitivi e sono costretti a chiudere alle 18.00. Piuttosto preferivo che si aumentasse la rigidità delle misure riducendo i posti, ma almeno l’attività andava avanti: anche con un centinaio di coperti la situazione cambia parecchio piuttosto che farne zero”.

Perché secondo te si è arrivati a questa decisione e non ad altre soluzioni?
“Perché non sanno che pesci pigliare. Io posso capire le difficoltà di marzo quando ci si trovava ad affrontare una situazione totalmente nuova, ma adesso non è più così. Per tutta l’estate ci hanno detto che nel momento in cui il virus fosse tornato in autunno sarebbero stati pronti, e invece non hanno fatto nulla per prepararsi. A pagarne le conseguenze poi siamo sempre noi, che dobbiamo sorbirci decisioni assurde: cosa cambia tra mezzogiorno e la sera? Chiaro che qui subentra anche un discorso di educazione civile, ma così come rispettiamo tutte le distanze e i protocolli per il pranzo li rispettiamo anche per la cena”.

Tra le decisioni assurde di cui parli rientra anche il fatto di “cambiare idea” a distanza di pochi giorni. Ripercorriamo proprio gli ultimi giorni: come vi siete mossi?
“Partiamo dal presupposto che abbiamo speso non poco per rispettare tutti i protocolli post lockdown, e questi investimenti pesano parecchio. Poi hanno deciso per il coprifuoco alle 23 e, neanche due giorni dopo, hanno imposto la chiusura… di questo passo torneremo al lockdown. Comunque, come in primavera, ci stiamo organizzando per lavorare d’asporto, ma questo ci aiuta solo in minima parte perché ristoranti come il nostro non possono vivere solo di takeaway: il primo lunedì dopo la chiusura abbiamo fatto quattro primi da portar via e una quarantina di pizze… poca, pochissima roba. E siamo solo all’inizio: all’epoca del lockdown uscivamo dall’inverno, ora ci stiamo entrando, e ci aspettano come minimo quattro mesi d’inferno…”.

Il Governo, alla luce delle misure anti-Covid, ha stabilito che ai ristoranti spetterà il 150% dei ristori, e ha garantito che il denaro arriverà entro il 15 novembre; sei fiducioso da questo punto di vista? Gli aiuti durante e post il lockdown sono arrivati?
“In primavera gli aiuti economici sono arrivati, e ovviamente adesso faremo richiesta; ci auguriamo che arrivino effettivamente entro il 15 novembre. Abbiamo sempre chiesto e preteso che ci venisse riconosciuto quel che ci spetta perché inevitabilmente dobbiamo pagare chi lavora e le spese fisse non si fermano. Faccio un esempio: solo ad aprile, mese in cui siamo stati totalmente chiusi, abbiamo pagato 2mila euro di utenza tra gas e luce, e ovviamente né accise né IVA sono state scalate. Però le tasse ce le chiedono lo stesso. Assurdo: non ci hanno protetto, non ci hanno messo in sicurezza perché siamo stati noi a farlo per conto nostro, e pretendono comunque di batter cassa”.

Quanti siete a lavorare qui e qual è la situazione a livello economico?
“Siamo in 9, con due part-time, e la situazione non è rosea perché se si continua così l’unica soluzione possibile si chiama cassa integrazione. In primavera ho pagato di tasca mia ferie e tutto il resto, ma posso farlo per un altro mese, due al massimo, e poi? Servirebbero delle tutele anche da questo punto di vista perché mi spiacerebbe arrivare alla cassa integrazione: anche e soprattutto per il dipendente è una bella seccatura perché lavorando si porterebbe a casa il doppio o il triplo dei 600/700€ che gli spettano”.

Hai detto che il futuro sarà duro; quanto?
“Non te lo so dire con certezza, ma sarà veramente difficile. Le lamentele che si sentono ogni giorno in televisione non sono campate per aria perché le imprese, soprattutto le categorie più colpite, sono a un passo dal fallimento. Chi ha aperto solo da qualche anno una nuova attività può aver superato in qualche modo la botta del lockdown, ma fronteggiare e sopravvivere a una seconda, al momento, crisi del genere sarà davvero complicato. Noi abbiamo la fortuna di essere qui da cinquant’anni, di essere conosciuti e di avere un locale nostro, per il quale non paghiamo l’affitto, altrimenti saremmo sull’orlo del baratro. La situazione in generale è drammatica e, andando avanti, così con un economia al collasso e le istituzioni lontane, sarà sempre peggio”. 

Matteo Carraro

1 commento

  1. Il concetto e’ chiaro, discutibilissimo ma ovviamente da rispettare,
    pero’ insomma…citare le province… c’e’ qualcosa che non “gira”.
    Ps.
    due cose: 1- probabilmente per poter dare delle direttive “univoche”, e una volta per tutte (un po’ come la ricetta della “margherita”), dovremmo avere TUTTI (a partire da scienziati e dintorni) una visione chiara, precisa, completa ed esaustiva del virus e soprattutto di come si comporta e (forse) si evolve. Purtroppo non e’ cosi, meno di un anno di “esperienza” e di questa pochi mesi in pratica di esperienza numerica sostanziosa non consente a chi giustamente dall’alto “ispira” direttive e comportamenti di stabilire prassi precise e magari addirittura sintetiche, e no… qualsiasi conclusione si ha giocoforza su base statistica e quando i dati, nonostante la grandiosita’ dei sistemi di gestione e trasmissione di dati in era moderna, sono quelli che si possono avere in cosi pochi mesi di esperienza vera sul campo, la faccenda diventa giocoforza una brutta faccenda, insomma IL PILOTA VA A BRACCIO, e noi passeggeri e’ bene che ci limitiamo ad allacciare le cinture, rompere il meno possibile “le palle” e confidare nell’atterraggio, stop.
    2 – chi chiude NON CHIUDE DA SOLO, i clienti non si perdono se si chiude TUTTI, compresi quelli che hanno aperto da poco, e se bastano due, quattro mesi di stop (con la concorrenza chiusa) per ribaltarsi… bhe’.. significa molto probabilmente che era gia’ destino che cosi doveva andare. Per chi e’ sul campo da qualche decennio… bhe’, un minimo di dignita’ su…. dai che ce la si fa… ce si fa…SON FERMI TUTTI, tranquilli…. Fermo restando che la logica impone che qualsiasi “dovuto” in fatto di tributi (stato) andrebbe assolutamente SOSPESO e non certo spostato nel tempo…. FORSE adesso servirebbe capire almeno quanto pretende che gli venga giustamente riconosciuto (al mese, al giorno, fate voi)…. e con la massima precisione, caso per caso, un ristoratore o un barista per dare con coscienza il proprio contributo alla salvezza della salute DI TUTTI, anche dei clienti storici o potenziali…… piuttosto che attendere piu’ o meno rabbiosamente l'”offerta” …. IO PER SOPRAVVIVERE DIGNITOSAMENTE A QUESTE CHIUSURE HO BISOGNO DI… TOT:
    Ovviamente e’ solo un suggerimento provocatorio… ci sarebbe da ridere fino al vaccino e il contesto suggerisce di lasciar perdere, pero’…..
    Auguri.

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