Tutto il mondo del basket delle “minors” è di nuovo bloccato. Di nuovo palestre chiuse. Di nuovo tutti a casa. Di nuovo tutti lì, cestisticamente parlando, a girare i pollici. Un po’ tutti speravamo che il famigerato coronavirus dopo il blocco totale del marzo scorso ci desse un po’ di tregua. Confidavamo che quella orribile pallina di colore rosso amaranto ci regalasse almeno il tempo, anche minimo, di vedere all’opera le squadre, i giocatori, le novità della stagione 2020-2021 in serie CGold, CSilver e D. Speravo di poter scrivere, molto, sul presente, sul “chi siamo” e un po’ meno sul passato, ovvero sul “chi siamo stati”. 
Ma, tant’è. Così, visto che il presente è bloccato, si torna a sfogliare le storie di ieri ripensando, con qualche chilo di nostalgia, a quando il pallone da basket rimbalzava sempre, senza soluzione di continuità per 365 giorni l’anno. Ripensando, semplicemente, a quando “giocare” rappresentava, soprattutto per i giovani qualcosa di più di un verbo. Quei giovani che oggi, senza il basket, privati dello sport preferito e della splendida, impagabile, unica socialità offerta dallo “spogliatoio” sono purtroppo i più colpiti da questa sciagura.

Così, da oggi, comincio un viaggio a ritroso nella storia del basket giovanile varesino. Ai vari, tanti, protagonisti chiederò di raccontare storie, vicende, aneddoti dei numerosi gruppi giovanili che, in tantissimi casi, hanno contribuito a rendere famoso il basket a Varese elevandolo al rango di “religione laica”.
Ecco dunque le avventure dei gruppi ’56-’57-’58 Ignis Varese, ’61-’62 MobilGirgi e Toiano, ’64-’65 Star e Ciao Crem, ’66-’67 Robur ABC, ’68-’69-’70 DiVarese, ’71-’72 Robur ABC, ’73-’74 Cagiva e così via. Il tutto seguendo un cammino lungo il quale incontrerò, incontreremo, personaggi la cui storia cestistica e umana, dopo la parentesi giovanile sotto il Sacro Monte, si è sviluppata altrove. Ma sempre col marchio “Made in Varese” attaccato alla pelle.
Si comincia da Gianluca Castaldini, ruolo ala grande, protagonista di rilievo di un gruppo, quello classe 1968, che ha prodotto alcuni giocatori da serie A e altri ottimi  interpreti della pallacanestro nelle serie minori.

GIANLUCA CASTALDINI

“Sono cresciuto cestisticamente a Castronno ma a 13 anni – racconta Castaldini -, dopo avermi visto in azione nel campionato Ragazzi il signor Salvetti, allora responsabile organizzativo del settore giovanile della Pallacanestro Varese, dopo aver parlato con i dirigenti castronnesi, si presenta a casa e convince i miei genitori ad accettare il trasferimento a Varese. Con la categoria Allievi conquistiamo la prima finale nazionale che giochiamo a Catanzaro senza però raccogliere risultati di rilievo. Intanto però i dirigenti varesini continuano un’opera di reclutamento che si concluderà nella categoria Cadetti e consentirà alla Pallacanestro Varese di mettere insieme una squadra dotata di un buonissimo tasso di fisicità, atletismo e in chiarissima crescita sotto il profilo tecnico”.

Il “mitico” gruppo 1968 composto dal famoso trio Brignoli-Castaldini-Rusconi e da altri ragazzi di talento come Nicora e Lozza.
“Esatto: un quintetto considerato già abbastanza completo in ogni ruolo cui si aggiungono man mano altri giocatori importanti, anche se più giovani, classi 1969 e ’70, come Sorrentino, Cantoni, Fabbrini, Edo Bulgheroni e altri ancora. Il gruppo in quegli anni migliora centrando il traguardo di altre finali nazionali a livello Cadetti e Juniores”.

Allenatori? Quali, quelli davvero significativi?
“Personalmente devo molto a Brunetto Brumana, che fu il primo ad accogliermi a Varese e, di fatto, mettermi il pallone fra le mani. Bruno era un tecnico di grande valore, molto bravo e paziente nel lavorare sui fondamentali, ma anche un uomo attento e disponibile lontano dal parquet. Però, dopo Brumana ho, o per meglio dire abbiamo avuto, la fortuna di essere allenati dai migliori tecnici presenti ai tempi sulla piazza varesina. Mi riferisco a Regni, Molina, Isaac e, in orbita prima squadra, anche Percudani, Sales e ovviamente ancora Joe Isaac”.

Grande gruppo, 3 di voi protagonisti per tanti anni in serie A1 e A2, ma alla fine lo “scudettino” non è mai arrivato fino a Masnago: come mai?
“Come ho detto prima eravamo fortissimi nei primi cinque-sei, ma molto giovani e un po’ meno efficaci nelle rotazioni. A gioco lungo abbiamo finito col pagare questo gap, specialmente in un torneo estenuante come le Finali Nazionali in cui ogni giorno si giocano partite sempre più difficili, dure e impegnative. Oltre a tutto questo c’è da dire che soprattutto nell’ultimo atto della Finale Nazionale giocata a Udine nel 1987 contro Treviso siamo incappati in un arbitraggio che definire casalingo è puro eufemismo. Contro la Benetton, comunque un’ottima squadra che schierava giocatori poi diventati importanti come Bortolon, Giò Savio, Vianini, Battistella, Mian, Cadorin perdemmo di un nulla (83-80) con Bortolon che ci spaccò in due segnandoci 24 punti in faccia. In realtà, il rammarico vero è quello legato alla finalissima giocata contro la Virtus Bologna a Trieste nel 1988. Noi eravamo più forti di quella formazione bolognese, ma purtroppo, dopo un girone di qualificazione davvero tosto, arrivammo alle gare decisive in avanzato stato di cottura e con qualche giocatore acciaccato perdemmo in modo netto”.

Oltre all’ovvio rimpianto per la gioventù ormai dietro le spalle, cosa ti rimane di quella stagione?
“Al di là dei risultati ottenuti credo sia rimasto in tutti noi l’orgoglio di aver disputato campionati giovanili molto competitivi e aver affrontato avversari – Coldebella, Pilutti, Pessina, Vidili, De Raffaele, Esposito, Tufano, Rizzo, Mian, Moretti, Pittis, Ambrassa, Cessel, Pol Bodetto, Dalla Mora, Foschini, Zorzolo – che in seguito sono diventati eccellenti giocatori professionisti. Però, più importante di tutto, è ancora  oggi il ricordo indelebile di anni stupendi trascorsi in compagnia di ragazzi coi quali si è condiviso tutto perchè allora si era compagni di squadra tutto il giorno e tutto l’anno. Si vivevano le emozioni legate al fare sport insieme, la passione vera per la pallacanestro, il piacere di frequentarsi anche fuori dal campo di gioco in un’atmosfera di grande amicizia. E’ difficile trasmettere a parole il clima di grande complicità e di protezione reciproca che caratterizzava il nostro gruppo, ma ti posso assicurare che ognuno di noi aspettava con impazienza il “rito” quotidiano dell’allenamento, così come attendevamo con frenesia le trasferte o i giorni da trascorrere lontano da Varese perché dedicati ai vari tornei, alle fasi interzonali o alle finali nazionali. In quei momenti il livello di coesione e di “protezione” reciproca tra noi raggiungeva il massimo. Ed è stato bellissimo vivere questi stati d’animo. Sensazioni rinforzate dalla presenza di adulti-guida come Silvano Donati o Sandrino Galleani. Donati, figura assolutamente fantastica, per noi rappresentava una sorta di fratello maggiore. Silvano, sempre disponibile H-24, era la persona da cui si andava per chiedere consigli tecnici; oppure un aiuto nei casi di “scazzi” con gli allenatori; o, ancora, una dritta su come comportarsi con le ragazze. Galleani, invece, era il classico “zio” buono, quello che dall’alto della sua incredibile esperienza e in virtù della sua grande umanità, era in grado di darti una mano per risolvere tutti i problemi. Insomma: in palestra si migliorava grazie alle attenzione degli allenatori, mentre fuori si cresceva grazie ai consigli di vita regalati da  adulti di riferimento”.

Tu, a differenza di Brignoli e Rusconi, la serie A in Pallacanestro Varese l’hai vista solo passare…
“E’ vero ma – ammette onestamente Gianluca -, Andreas e Stefano erano certamente più dotati e, particolare non trascurabile, io giocavo in ruolo in cui davanti avevo “giocatorelli” del calibro di Corny Thompson, Charlie Pittman e Ricky Caneva e lo stesso “Rusca”. Quindi, nessun lamento, anzi. Ho solo gratitudine per quei grandi campioni e ricordo con grandissimo piacere le sedute extra in allenamento in compagnia di Corny. “Ciccio”, ma anche Charlie e Riccardo mi prendevano da parte e con pazienza mi spiegavano gli aspetti del gioco intorno ai quali costruire qualcosa per migliorare. Tutte lezioni poi rivelatesi fondamentali per maturare tecnicamente e tatticamente”.  

Così, ormai maturo, dopo le giovanili hai potuto iniziare la tua lunghissima carriera.
“Ho giocato 22 anni filati, tre quarti dei quali in serie A2 girando praticamente l’Italia. Sono stato benissimo dappertutto, ricevendo molto e restituendo altrettanto in tutti i club per i quali ho avuto il privilegio di giocare. Eccellenti gli anni trascorsi a Cremona durante i quali ho imparato molto da coach Cabrini, un vero “mago” della difesa a zona, tecnico molto preparato, ricco di qualità umane e a mio parere non sufficientemente considerato. Bellissime però anche le stagioni passate a Udine, Sassari, Firenze, Ragusa, Trapani, Modena,  Porto Sant’Elpidio e Cagliari, la società con cui ho chiuso la mia avventura tra i professionisti. Però, sul finire della carriera, ho giocato a Boffalora e Cassano Magnago in C2. Ho chiuso a 42 anni mantenendo una promessa fatta con me stesso: giocare proprio a Castronno, la società nella quale avevo cominciato. Bello così. Giusto così”.

Adesso cosa fai? Ti cosa ti occupi?
“Faccio l’agente di commercio e vendo semilavorati metallici per conto di un’azienda bergamasca ma – confessa Gianluca -, il mio dopo-basket non è stato facile e trovare una dimensione lavorativa adeguata è stata un’impresa. Ho trascorso un paio d’anni molto duri perchè “reinventarsi” una vita a quasi 40 anni è un esercizio davvero complicato, ma alla fine, dopo aver cambiato diverse attività lavorative, ho imboccato finalmente la mia strada. Oggi, abbastanza serenamente, riesco a seguire i miei figli Andrea, 20 anni, e Marta, 19″.

E la pallacanestro? Non fa più parte della tua vita?
“Il basket è ancora un grande amore che, però, seguo solo da spettatore “divanizzato”. In verità, la pallacanestro che vedo alla TV non è esattamente trascinante e rispetto ad alcune problematiche ci sarebbero molte cose da dire. Ma questo – conclude ironico “Casta” – è un altro discorso, o no?”.

Massimo Turconi

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui