Torna la rubrica varesini all’estero e la protagonista di oggi è Elena Bernasconi, ragazza 23enne di Gallarate che si trova a Gand, in Belgio, ormai da un mese e mezzo presso la Ghent University per svolgere il primo semestre della magistrale in biochimica e biotecnologie. Un viaggio tanto importante quanto difficoltoso in questo periodo di Covid che ha colpito in maniera pesante il piccolo stato del nord Europa. La situazione da settembre ad oggi ha continuato a peggiorare, con l’aumento di contagi e di ricoveri.
Elena racconta come sta vivendo questa esperienza, nella speranza che la situazione sanitaria nazionale ed internazionale non muti al peggio e possa rientrare in Italia dalla sua famiglia e dai suoi affetti quanto meno per le feste natalizie.

Da quanto sei in Belgio e come si sta evolvendo la situazione epidemiologica?
“Sono arrivata il 15 settembre e già dai primi giorni ho dovuto subito tenere dritte le antenne in quanto il Belgio ha diviso l’Europa in 3 zone: gialla, arancione e rossa ed in base alla zona da cui provenivi eri obbligato a fare il tampone o la quarantena oppure no. Io, venendo dalla Lombardia, considerata nella fascia arancione, avevo la raccomandazione, ma non l’obbligo, di tampone e quarantena. L’università era già ben attrezzata ed io, alloggiando nel dormitorio, avevo a disposizione la possibilità di eseguire o meno il tampone in maniera gratuita ed in piena sicurezza. Col passare delle settimane, i casi però sono aumentati sempre di più e, con essi, anche le restrizioni”.

Proprio in riferimento a questo, quali misure sono state messe in atto?
“All’inizio l’unico obbligo era quello di mettere la mascherina, quasi tutte le lezioni erano in presenza, con qualche eccezione di didattica online. La situazione era molto tranquilla anche in ateneo, regolata dalle ormai note regole di distanziamento sociale. Con ottobre i casi sono saliti alle stelle e le misure si sono fatte sempre più rigide. E’ due settimane ormai che l’Università ci fa fare didattica esclusivamente online, bar e ristoranti sono chiusi, con la sola possibilità di prendere cibo take away anche a pranzo, musei e centri culturali sono chiusi e c’è il coprifuoco da mezzanotte alle cinque”.

Come stai vivendo la situazione?
“Nonostante queste restrizioni, almeno una volta alla settimana prendo il treno per andare a visitare qualche città con un gruppo di miei amici. Ci sono le forze dell’ordine che controllano che vengano rispettate le misure di prevenzione, ma non c’è una limitazione che non permetta di uscire dal proprio Comune, ad esempio. Ovviamente non si sa se questo possa cambiare perché la situazione peggiora sempre più e da venerdì scorso, ad esempio, anche i parrucchieri sono stati chiusi. Ufficialmente sono aperti solo supermercati, farmacie e ristoranti per il take away. Questo ci ha portato a poter guardare solo da fuori chiese, musei, attrazioni o luoghi culturali delle varie città che abbiamo visto”.

Per quanto riguarda la possibilità di ricevere visite, quali sono le norme in vigore ad oggi?
“I confini non sono chiusi. Ho preferito comunque dire ai miei familiari e al mio ragazzo di evitare di venire perché sarebbe stata solo una brutta esperienza raggiungermi in questo momento con tutte le pratiche e le misure restrittive in atto. Anche se ciò mi comporta un po’ di nostalgia”.

Avendo vissuto il lockdown qui in Italia, com’è la percezione di questa seconda ondata in Belgio?
“In Belgio secondo me solo ora stanno capendo la gravità di questa pandemia. La prima ondata non è stata così forte come questa. Faccio un semplice esempio di numeri: l’altro giorno qui si sono toccati i 25.000 contagi, numero mai raggiunto nella prima ondata di pandemia, cifra altissima per un Paese piccolo come il Belgio. I belgi ora sono più spaventati ma, non avendo mai avuto un lockdown ufficiale nemmeno nella prima ondata, non so se mai istituiranno una misura di questo tipo perché probabilmente non è nella loro concezione affrontare il problema in questa maniera”.

C’è rispetto delle regole in giro?
“Sì, tutti portano la mascherina. Devo dire che anche il sistema di delivery per i ristoranti funziona bene. Sono molto attenti al rispetto delle regole. Anche qui nello studentato dove sono io, ci sono regole precise per il numero di persone negli spazi comuni e tutto è controllato dalla security. C’è un controllo costante ma non così oppressivo da indurmi paura e farmi tornare a casa”.

Hai paura che con il peggiorare la situazione tu non possa tornare per Natale o essere costretta ad un rientro con quarantena ed isolamento?
“Sì, questa è certamente la mia preoccupazione più grande. Non mi sono ancora informata sulle modalità di rientro in Italia, anche perché ho paura di quello che potrei scoprire. Non so in questi mesi come si evolverà la situazione sanitaria né qui in Belgio né a casa e sarebbe poco attendibile, secondo me, essere troppo ottimisti. Da quanto ho capito, se io oggi dovessi tornare in Italia dovrei solo fare il tampone senza quarantena, ma potrei sbagliarmi. Nel caso fosse così verrei a casa tranquillamente per una decina di giorni a Natale per poi tornare a Gand e terminare la sessione d’esame, anche se dovessi sottopormi a tampone e quarantena al rientro”.

Sei andata in Belgio con la prospettiva di poter anche giocare a basket nel tempo libero. Com’è la situazione sportiva ora nel paese?
“Gli sport sono fermi, al momento. Quando sono partita ho lasciato la Pro Patria per poter venire a giocare in una formazione belga allenata da Gabriele Bassi, coach che ho incontrato ai tempi della Pro in cui lui allenava la prima squadra ed io ero nelle giovanili. Purtroppo ho avuto la possibilità di fare solo un paio di allenamenti prima che le restrizioni diventassero forti anche a livello sportivo e bloccassero tutto. Un vero peccato”.

Alessandro Burin

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