Riesco a immaginarlo, persino a vederlo, Flavio Gadda, uno dei magnifici ragazzi del gruppo 1962 targato MobilGirgi Pallacanestro Varese, Campione d’Italia Allievi nella stagione 1976-1977. 
Lo vedo quando, infilando sulla spalla destra il borsone MobilGirgi, si sciroppa un viaggio su e giù per la Valle Olona e per tutta Varese: Fagnano-Tradate in pullman, Tradate-Varese con le Ferrovie Nord; Varese-Masnago con il mitico autobus “E”, capolinea Avigno. Lo vedo quando, inconsapevolmente, interpreta alla perfezione “And I believe in a promised land”, “Glory days”; “Everybody got a hungry heart” e, ovviamente, chiude con “Baby we were born to run”.

Gadda, allora, vestiva i panni di un ragazzino ancora musicalmente agnostico perché Bruce Springsteen, quello voluto, desiderato, ricercato, verrà. Dopo. Più avanti. Prima del Boss c’è però una storia di pallacanestro e amicizia tutta da raccontare.
“Il mio cammino cestistico inizia con i corsi minibasket organizzati presso le scuole Tommaseo dall’Antoniana Busto Arsizio e – ricorda Flavio -, prosegue a Fagnano, la cittadina in cui sono cresciuto e tuttora risiedo. In Virtus Fagnano, con la guida di coach Roberto Putignano, prende il via con i crismi della serietà la mia vita agonistica con la partecipazione ai campionati Ragazzi e Allievi giocando sia con la squadra dei nati nel ’61, sia con i miei pari-età. Nel corso di questi campionati affrontiamo diverse volte la Ignis Varese e in tutte le occasioni, contro i varesini, riesco a mettere insieme delle buone partite, aspetto che attira le attenzioni dei tecnici della Pallacanestro Varese. Così, alla fine del campionato del campionato Allievi, il signor Salvetti dopo aver parlato con la mia famiglia e con i dirigenti fagnanesi raggiunge un accordo per il mio trasferimento alla MobilGirgi”.

Sensazioni in quel momento?
“Toccare il cielo con un dito – continua Flavio – è dire poco e solo l’idea di poter indossare la canottiera della squadra che insieme a mio zio seguo ogni domenica dalle tribune del PalaOldrini e rappresenta la mia grande passione, mi procura i brividi. Però, allo stesso tempo, mi bastano pochi allenamenti pre-stagionali per capire che un simile privilegio va conquistato e mantenuto ogni giorno perché il clima competitivo è altissimo e, per dirla in termini chiari, fuori dalla porta c’è una coda di ragazzi che pagherebbero di tasca loro per essere parte del gruppo”.

Quando entri in pieno nelle prospettive e nel clima della squadra?
“Tutto il mese di settembre 1976, vissuto da “pendolare” sulla tratta Fagnano-Varese, corre via abbastanza facile, ma è agli inizi di ottobre, quando mi stabilisco al Convitto De Filippi insieme a Caneva, Pozzati, Marangoni e Rossetti che avverto un netto cambio di passo entrando definitivamente nella dimensione, sicuramente privilegiata, di studente-giocatore. La mia vita, molto, molto regolata, segue ritmi ben definiti: al mattino frequento il liceo scientifico, nel primo pomeriggio studio e faccio i compiti e, a seguire, allenamento. A volte anche doppio. Un itinerario che, per diversi anni, sarà fisso e immutabile e, del resto, se vuoi fare davvero bene queste due attività, studiare e giocare a pallacanestro, non ti rimane del tempo per fare altre cose”.

Percepisci subito la sensazione di forza di quel gruppo?
“In tutta sincerità, durante i primi giorni di allenamento non so proprio cosa aspettarmi. Del resto, io arrivo da una squadra, la Virtus Fagnano, di valore decisamente inferiore e, di fatto, mi mancano i riferimenti tecnici e fisici e le prospettive. Per quanto mi riguarda sono già contento di essere approdato alla Girgi e non mi preoccupo granchè di risultati, vittorie e avversari. Poi, particolare non di poco conto, provenendo da un piccolo club, dentro non ho ancora la “fissa” di vincere che invece, giustamente, anima i miei compagni. Buzzi Reschini, Collitorti, Zanzi e compagnia hanno già disputato, e perso, un paio di finali nazionali e, comprensibilmente, covano dentro di loro il sacro fuoco della rivincita. I miei compagni in spogliatoio parlano spesso delle finali di Forlì e Porto San Giorgio. Però, pian piano, un giorno dopo l’altro le loro considerazioni trasmettono un “fuoco” di ideali e motivazioni che si propaga anche a quelli, tra i quali il sottoscritto, che sono nuovi del gruppo. Dirigenti e staff tecnico ci iscrivono a due campionati: Allievi e Promozione ed proprio il giocare in quest’ultima categoria, che come tutti sanno è piena di giocatori senior esperti e buonissimi, che mi fa intuire le grandi qualità della nostra squadra. Le partite del campionato di Promozione, tutti durissime e impegnative, rappresentano infatti la vera palestra che ci aiuta a tenere sempre alto il tono agonistico perchè il campionato Allievi, almeno nella prima fase, quella provinciale, si riduce come sempre a due gare: quelle contro la Robur et Fides che superiamo abbastanza agevolmente. Poi, a confermare le crescenti buone sensazioni arriva l’interzona di Torino. Nel capoluogo piemontese affrontiamo la Cinzano Milano di Lamperti e Innocenti, mentre noi ci presentiamo addirittura privi di Diego Tosarini che, caduto in moto pochi giorni prima dell’appuntamento torinese, è assente dalla gara a causa di una brutta ferita al ginocchio. Però, la defezione forzata di “Dieguito” non ci affossa. Anzi, dà carica a tutti, in particolare a me che mi ritrovo in quintetto e con la totale fiducia di coach Carlo Colombo. Contro Milano, mettendo in scena un vero capolavoro di forza, mentalità e gioco di squadra vinciamo 69-66 dopo essere stati comunque avanti per gran parte del match, e conquistiamo le finali nazionali. E dopo aver battuto la Cinzano, una delle squadre più forti d’Italia, inizia ad affiorare in tutti noi l’idea di poter vincere lo scudetto. Un’idea che nessuno, forse per scaramanzia ha il coraggio di manifestare”.  

E finalmente arriva il grande momento tanto atteso: le finali nazionali di Pescara.
“Al di là dei giustificati timori e del “rispetto” iniziale, le finali in realtà si trasformano in una sorta di festosa passerella perchè, a parte la gara d’esordio, piuttosto tirata ma alla fine contro Reggio Emilia, le restanti gare vanno via facilmente. Anche la finalissima contro la Lazio Roma, l’avversaria che l’anno prima, nel 1976, aveva battuto i miei compagni. Questa volta però tocca noi e anche la Lazio si “becca” il suo bel ventello e noi festeggiamo lo scudetto Allievi, il secondo titolo giovanile nella storia gloriosa della Pallacanestro Varese. Uno scudetto che al di là delle nostre prestazione porterà sempre impresso, scolpito nella roccia, il nome di coach Carlo Colombo, una persona cui tutti dobbiamo qualcosa sotto il profilo tecnico, ma soprattutto umano. Carlo, con quel suo “mix” perfetto tra pallacanestro e qualità umane, ci ha aiutato a crescere e questo, dal mio e nostro punto di vista, ha avuto un’enorme importanza nella vita di tutti noi”.  

Quel fantastico tricolore rimane tuttavia l’unico grande exploit del gruppo 1962.
“Beh, se parliamo di titoli assoluti è vero, ma dal punto di vita tecnico io piazzo lo scudetto allo stesso livello della fase interzonale conquistato l’anno dopo, 1977-1978, con il gruppo Cadetti 1961-’62. In quella stagione, praticamente con la stessa squadra, più Marco Dellacà unico ’61, ci togliamo lo sfizio di eliminare nientemeno che la Gabetti Cantù della coppia Riva-Innocentin al Pianella di Cantù rimontando con una difesa pazzesca dal -15 nei 7 minuti finali. Insomma, quell’anno a mio parere compiamo una vera impresa”.

Hai ricordi di altri momenti “epici”?
“Ho un episodio, nella stagione 1979-1980 col gruppo juniores, in cui si associano eroismo e rabbia. Eroismo perchè, da squadra pochissimo considerata conquistiamo le finali nazionali juniores a Capo D’Orlando e una dopo l’altra battiamo tutte le favorite, compresa Roma di Sbarra e Lorenzon, unanimemente giudicata al grande favorita. Rabbia perchè nella finalissima giocata contro Mestre subiamo un classico “furto con destrezza” perchè il coach dei mestrini, personaggio influente, indirizza l’arbitraggio fin dal salto a due a due. I “fischietti”, con rigore scientifico, fanno fuori prima coach Passera, espulso dopo 5 minuti, poi caricano di falli Caneva e Bergonzoni. A quel punto, ecco la rabbia, tutti realizziamo che quella partita lì non l’avremmo mai vinta. Per me, una rabbia decuplicata perchè a Capo d’Orlando cala anche il sipario sulla mia carriera giovanile a Varese. L’anno dopo infatti, le scelte societarie della Pallacanestro Varese, chiuderanno la “storia” del mitico gruppo ’62 che in larga misura, Buzzi, Caneva, Zanzi e Pagani, passerà alla Robur per giocare l’ultimo anno Junior e iniziare l’esperienza da senior in serie B, mentre Tosarini finisce all’Omega Busto Arsizio”.

E tu?
“Un po’ a malincuore torno a Fagnano per giocare in Promozione e vi resto per 3 campionati. Poi, per una stagione gioco al Ceves Vedano e in seguito a Gorla Maggiore, in C chiamato da coach Passera, mio grande estimatore. In quella Gorlese dei tempi d’oro ritrovo diversi miei ex-compagni di Varese – Buzzi Reschini, Dellacà, Pozzati -, e altri giocatori importanti come i due Galmarini, Angelo e “Lupo”, ma con il cambio di allenatore, coach Cerioni al posto di Franco Passera, non vedo più il campo. Di fatto, con quell’annata chiudo col basket ad un certo livello e gli ultimi due anni, di nuovo a Fagnano in Prima Divisione, sono solo per divertimento”.

Che giudizio dai della tua carriera tra i senior?
“Premessa necessaria: Caneva, Buzzi Reschini, Pagani e Zanzi sono stati giocatori di livello decisamente superiore al mio e, non a caso, la loro lunga e importante vicenda agonistica lo dimostra. A questo però aggiungo che dopo le giovanili non sono stato esattamente fortunato e nella consueta logica del “treno”, posso tranquillamente affermare che per me il treno, quello giusto, non è mai passato. Inoltre, dopo aver aperto una mia attività – una palestra nella quale mi occupo in particolare di riabilitazione post-infortuni e recupero fisioterapico -, ho appeso forse troppo presto le scarpe al chiodo”.

Insomma: lunga e tirata la tua storia sembra fare da sfondo ideale ad una delle canzoni del tuo amatissimo “Boss” Bruce Springsteen.
“Probabilmente ci sarebbero tutti gli elementi per… In ogni caso, non sarebbe difficile anche perchè il “Boss”, mia passione assoluta, ha comunque una canzone per tutti gli stati d’animo e per tutte le situazioni della vita. Una passione che ho felicemente e orgogliosamente trasmesso a mia moglie Maria Grazia e ai miei figli Filippo, 24 anni e Angela, 21. I miei ragazzi mi seguono e appena possibile insieme andiamo ai concerti di Bruce”.

Che ne è stato invece della prima passione, la pallacanestro?
“Ovviamente, seguo le vicende di Pallacanestro Varese anche se con questo basket, completamente totalmente, assurdamente diverso rispetto a quello che conoscevo, non è proprio semplice costruire un “feeling”. Così la pallacanestro, con un pizzico di nostalgia che pervade un po’ tutti, è ancora, o sempre di più, quella delle cene e dei ritrovi tra noi della classe 1962. Quel gruppo non solo è ancora vivissimo, ma negli anni è stato capace di superare la barriera del tempo e costruire un rapporto di amicizia e solidarietà davvero incredibile. Siamo ancora tutti amici e proprio da miei ex-compagni, in un momento complicato della mia vita, ho ricevuto una mano e tanto, tanto aiuto. Esattamente, come quando eravamo in campo e le chiusure difensive, e una mano a rimbalzo, e un cinque alto per un buon tiro, non mancavano mai. Anche oggi – conclude Gadda -, è bello sapere che ci sono”.    

In chiusura ti propongo i “soliti” due quintetti. Quello dei tuoi giocatori preferiti e, non può mancare, il “quintetto” delle tue canzoni preferite di Bruce.
“Il quintetto cestistico, tutto della mia epoca è composto da Marzorati, Yelverton, Morse, Meneghin e Jim Mc Daniels, mentre scegliere solo 5 canzoni, tra le centinaia, per me tutte bellissime, scritte da Springsteen è un esercizio abbastanza difficile. Comunque, di getto e senza pensarci troppo ti rispondo così: New York City Serenade; The Promise; Racing in the street; Jungleland e Reason to believe. Ma, se posso, ti chiederei due “tempi supplementari”.

Ok, accordati, vai pure.
“Allora chiudo definitivamente il capitolo Springsteen con Ghosts e I’ll see you in my dreams. E, in effetti, nei miei sogni, sempre più frequentemente, vedo i miei compagni di allora e, insieme a loro, mi accorgo che coccoliamo quella stessa, magnifica, avventura”.

Massimo Turconi

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