E’ gia passato un anno esatto dal terribile schianto che ha portato via Kobe Bryant con la piccola figlia Gianna e le altre sette persone presenti sul suo elicottero, nello schianto di Calabasas in California. Una notizia che si stagliò come un fulmine a ciel sereno in un inizio di 2020 che ancora non conosceva il covid-19, ma che da quel momento ha reso tutto il mondo dello sport un po’ più buio.

Sì, perché Kobe era una luce nel mondo del basket per tutti quei bambini che sono nati nel segno della sua pallacanestro, che hanno amato due colori come il giallo ed il viola solo perchè erano quelli che Black Mamba, così era soprannominato, ha portato sulle spalle per 20 anni nella sua unica squadra, la sua vita, i Los Angeles Lakers.
E’ impossibile trovare un bambino amante del basket del nuovo millennio che nella letterina a Babbo Natale non abbia chiesto almeno una volta la sua maglietta, così come è impossibile dimenticare le sue giocate, il suo fade-away, che mandava completamente fuori giri gli avversari, un movimento che si è sublimato nelle sue sapienti mani, la sua capacità di rimanere in aria per tanti secondi che ai più grandi ricordava un certo Micheal Jordan, suo grande amico, del quale Kobe ha preso il testimone senza se e senza ma.

Un grandissimo giocatore ma anche una persona umile, gentile e sempre solare, come molti dei suoi ex compagni lo hanno definito nella cerimonia di commiato svoltasi allo Staples Center, la sua vera casa. Un leader carismatico che ha condotto una carriera dai pochi eguali, con un titolo MVP nella regular season NBA e due dei playoff, due ori olimpici e ben 5 anelli di campione del campionato più bello del mondo e tanti altri successi che elencare uno ad uno riempirebbero tutta la pagina.

Kobe portava con sé anche un pezzo di Italia grazie al padre Joe che ha giocato per anni nel nostro Paese, in particolare in quella Reggio Emilia, città nella quale Kobe si è formato, è cresciuto e che gli aperto le porte verso quello sport che lo avrebbe consacrato nella leggenda e che da poco gli ha intitolato una piazza.

La morte di Kobe ha aperto un anno nefasto per tutti, con la pandemia che imperversa tutt’ora e che nel marzo dello scorso anno è si è abbattuta come un’onda d’urto irrefrenabile. La pandemia che ha fermato tutto il mondo dello sport e anche la pallacanestro, come a voler significare un minuto di silenzio simbolico, assordante, durato per ben un anno e che proprio in questi giorni pare ripartire. Sembra che quel filo che si è interrotto il 26 gennaio di un anno fa e che ha creato un vuoto incolmabile per tutti coloro che di Kobe ne hanno fatto la leggenda vivente, adesso possa ricucirsi.

Alessandro Burin

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