Non c’è nemmeno il tempo di prendere fiato. Oltre a fare i conti con il recupero di una forma fisica quanto mai approssimativa a causa del focolaio di covid-19 che si è sviluppato nelle scorse settimane, una Openjobmetis in piena emergenza sanitaria deve anche far fronte ad un calendario che la vede protagonista in campo ogni 3 giorni.
Domani è il turno del recupero della sfida contro il grande ex Frank Vitucci, allenatore dei biancorossi nell’anno degli Indimenticabili e che al suo addio ha lasciato più di una scoria, e contro la sua Happy Casa Brindisi, una delle più belle sorprese di questo campionato. La partita, che si gioca alle 17.30 all’Enerxenia Arena, è la ghiotta occasione per Varese per rifarsi della brutta sconfitta nel derby contro Cantù e riaprire il discorso salvezza, fattosi veramente complicato.

Proprio una delle note più positive della trasferta al PalaDesio di domenica è stato Ingus Jakovics, varesino ormai quasi di adozione che, al rientro in campo dopo più di un mese di positività al Coronavirus, ha tirato fuori una buona prestazione, fatta di tanta energia e qualità. E Ingus racconta quanto sia stato difficile questo periodo e quanto gli manchi il calore del pubblico di Masnago, per lui cresciuto in un piccolo paesino del nord sotto il segno di Dirk Nowitzki e con un grande amore per questo sport e la maglia biancorossa. 

Quando hai iniziato a giocare a basket?
“E’ stato molto tempo fa, ormai. Penso di aver avuto più o meno otto anni quando ho cominciato. Vengo da una piccola città dove c’era una sola palestra dove poter giocare a basket. Era molto bello per me poter andare lì anche perché era l’unica possibilità che avessi di praticare lo sport che amo. Andavo in palestra ogni giorno ad allenarmi e giocare e per me era un divertimento unico”.

Quale giocatore era il tuo idolo da piccolo?
“Dirk Nowitzki. Amavo la sua tecnica di tiro e la capacità con la quale riusciva a fare canestro. Un giocatore europeo così forte che è riuscito ad imporsi in questa maniera in NBA era fonte di ispirazione continua per fare meglio e migliorarmi sempre più per raggiungere il suo livello e diventare magari come lui un giorno. Purtroppo non sono riuscito ad emularlo, anche perché lui era veramente alto mentre io sono un po’ più basso e questo mi ha portato a diventare, per forza di cose, un altro tipo di giocatore. Mi ricordo che amavo vedere i suoi video e passare del tempo a studiare i suoi movimenti, oltre che essere un suo grandissimo tifoso”.

Cos’è per te Varese?
“Varese è un posto unico per me, io amo questa città e questa squadra. È la più importante nella quale abbia giocato finora nella mia carriera e ne sono davvero affezionato. Amo tutto di Varese, dalla città in sé per sé, alle persone al paesaggio, è veramente bello essere qui. In questi due anni in biancorosso crescendo molto come giocatore grazie anche ai compagni ed agli allenatori che ho avuto e sto avendo. Qui a Varese vincere è una sensazione particolare. Quando c’era il pubblico al palazzetto, la carica che riusciva ad imprimerti era unica. Non avevo mai provato delle emozioni così forti come quelle e spero, io come tutti i miei compagni, di tornarle a vivere presto con tutti i nostri tifosi”.

Quali differenze ci sono tra coach Caja e coach Bulleri?
“Coach Caja è sicuramente un grande allenatore. Una persona che ama molto il lavoro quotidiano e vuole che ogni suo giocatore tiri fuori il meglio di sé in ogni istante, in partita come in allenamento. Fa un lavoro molto duro ma questo poi è importante in gara per performare al meglio. Coach Bulleri, o meglio il Bullo, oltre a essere stato un grande giocatore è veramente un bravo tecnico. Sa parlare molto con noi giocatori, vuole sempre sapere come stiamo e quali sono le nostre sensazioni per metterci nelle condizioni migliori per fare bene. È nuovo come allenatore ma studia veramente moltissimo, non solo per se stesso ma anche per noi. Penso abbia davvero tutte le qualità per diventare un grande coach. Sono sicuramente due allenatori con i quali mi piace lavorare anche se sono veramente molto diversi”.

Com’è stata la tua esperienza di positività al covid-19?
“E’ stata veramente dura, in particolare i primi giorni. E’ stata una positività lunga per me che sono rimasto positivo per più di 20 giorni e stare chiuso in casa per tutto questo tempo non è stato affatto facile. Per di più dopo soli tre giorni dal rientro agli allenamenti, affrontare subito una partita è sempre complicato perché la condizione fisica non è la migliore. E’ stata sicuramente un’esperienza brutta e molto dura, ma come noi anche altre squadre sono state colpite, purtroppo, ed è veramente difficile per tutti”.

Vuoi lasciare un messaggio ai tifosi in questo momento complicato?
“Ai tifosi voglio dire che è dura giocare senza il loro magnifico supporto e noi vogliamo che tornino il prima possibile al palazzetto per farci sentire tutto il loro supporto ed il loro calore. Sono i migliori tifosi che io abbia mai avuto, non ho mai avuto una tifoseria così bella ed appassionata. La stagione è ancora lunga e tutto può succedere. Noi non dobbiamo fare altro che allenarci forte, giocare al massimo e dare ancora di più di quanto fatto e dato finora e poi vedremo alla fine quale sarà il risultato”.

Alessandro Burin

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