La Busto Arsizio che ama il basket si sta attrezzando. Dopo il primo monumento, quello “invocato” per Claudio Lesica, ecco che, per ora solo in forma virtuale, i bustocchi sono già al lavoro per progettare il secondo. Quello che giustamente e meritatamente celebrerà le imprese di Alfredo “Freddy” Bessi, altro giocatore che, per i tifosi della Cestistica Bustese dei tempi d’oro, è fatto oggetto di pura e costante venerazione. 
Bessi, però, prima di spiegare pallacanestro per il team di Busto, ha fatto parte dell’altrettanto venerata classe 1956, quella protagonista del primo scudetto giovanile conquistato in casa Pallacanestro Varese. “Ovviamente – esordisce con una battuta Bessi – sono anch’io un “figlio” della Rainoldi, la mitica palestrina in cui si sono formate intere generazioni di cestisti varesini. Però, prima della Rainoldi, ho fatto sport alla Scuola Europea, solo che era lo sport sbagliato, ovvero la pallavolo. Con il volley la nostra classe, rappresentando la città di Varese, arriva addirittura alle Finali Nazionali del Giochi della Gioventù a Roma e, comunque, devo dire grazie alla pallavolo per avermi fornito nell’età giusta, reattività di piedi, elasticità e capacità di salto, tutte qualità che, più tardi, nella pallacanestro mi saranno utilissime”. 

Quando passi dal volley alla pallacanestro?
“Avrò avuto 11-12 anni quando, insieme a Maurizio Gualco, Giorgio Lepori, Franco Martinoni e altri che fanno parte dello storico gruppo degli “Original ‘56ers”, passiamo dalle interminabili partitelle all’oratorio di San Vittore alla Rainoldi per affrontare il basket in modo più “serio” e strutturato. Ricordo anche il primo provino agli ordini di coach Bruno Brumana, vissuto in un misto tra emozione e la paura di essere scartati. Un timore legato soprattutto al non poter essere più parte integrante di un gruppo con cui si divideva ogni momento della giornata. Invece, il provino va alla grande e ancora tutti insieme iniziamo la nostra bellissima avventura con la pallacanestro”.

Ragazzi destinati, l’ho già ricordato più volte, a scrivere pagine di storia nell’albo d’oro della Pallacanestro Varese.
“In quegli anni in città si parlava delle vittorie ottenute della grande Ignis campione d’Italia, d’Europa e del Mondo e, giustamente, si tessevano le lodi per le imprese compiute dalla Robur et Fides a livello giovanile. Con queste premesse, e a distanza di tanti anni, è motivo d’orgoglio sapere di essere stati i primi a conquistare un titolo assoluto giovanile e, quindi, ad essere accostati nell’impresa ai “ragazzi più grandi”, ai vari Raga, Meneghin, Bisson, Zanatta, Ossola, Morse e via discorrendo”.    

Come arrivate alle famose finali nazionali Cadetti di Roseto 1973?
“Si approda in Abruzzo dopo essersi lasciati alle spalle diversi stati d’animo e in un crescendo di emozioni. Infatti, la noiosissima e stucchevole fase provinciale è riscaldata solo dai derby contro la Robur che battiamo sia all’andata che al ritorno al termine di due gare accese e combattute. Così, senza avere idea del nostro reale valore, viaggiamo un po’ inconsapevoli e comunque leggeri di testa verso la fase interzonale. A Brescia affrontiamo l’Olimpia Milano, squadra che tutti reputano la favorita, o una delle favorite, per la vittoria finale. Invece, tra la sorpresa generale, la nostra pallacanestro atipica imbriglia e stordisce i milanesi che, davvero, non sanno da che parte prenderci. Insomma: contro Milano vinciamo abbastanza bene, ma evidentemente questo successo non basta per guadagnare credito presso gli avversari che avremmo trovato a Roseto”.

Perché fai questa considerazione?
“Semplicemente perché anche alle finali nazionali non ci considera nessuno e i favoriti sono altri: prima di tutto Cantù, poi Roma e Bologna. Alla fine, meglio così perché noi, senza pressione, e “nel buio”, riusciamo ancora a sorprendere tutti mettendo insieme un filotto iniziale che ci permette di conquistare lo scudetto con una giornata d’anticipo, lasciando la classica vittoria “contuntubo” a Cantù proprio nell’ultima giornata. E, anche a Roseto, tutti si scervellano per cercare di capire come ca…spita giochiamo e impazziscono per trovare le mosse adeguate. Che, però, non ci sono perché, lo dico con esibito orgoglio, quella Ignis Cadetti è una squadra di grande talento tecnico, dotata di buonissimo “passo” fisico e atletico, nella quale tutti possono giocare in tutti i ruoli ma, soprattutto, anche se noi non lo sapevamo, era una formazione tatticamente moderna, capace cioè di cambiare faccia in ogni momento della partita con quintetti piccoli che si alternano a quelli con quattro falsi lunghi e nessun centro di ruolo. Insomma: un meccanismo praticamente perfetto”.

Il meccanismo perfetto si inceppa però a livello juniores.
“Quando ci presentiamo alle finali nazionali di Reggio Emilia 1975 siamo la squadra più chiacchierata e in vista del momento. La nostra Ignis è segnalata come grandissima favorita non fosse altro perché, appena un mese prima delle finali, Sergione Rizzi aveva stupito l’Europa mettendo in scena il clamoroso partitone di Anversa che vale la conquista di un’altra Coppa dei Campioni e, giustamente, Rizzi gioca con noi. Oltre a Sergio abbiamo in squadra anche Enzo Carraria, arrivato da Udine l’anno prima e, senza troppi giri di parole, sulla carta la coppia di lunghi più forte l’abbiamo noi. Invece, nella partita chiave contro Milano, siamo costretti a fare a meno di Salvaneschi e Gualco, febbricitanti. Così, sfumata la possibilità di cambiare la strategia tattica delle partite grazie alla nostra “rumba” tra giocatori esterni e interni, diventiamo una squadra normale, ancorchè prevedibile. Inoltre, il povero Rizzi, a causa delle assenze di Mauro e Maurizio e nonostante il grandissimo impegno, sente il peso delle responsabilità, finisce per strafare e gioca una partitaccia beccandosi oltretutto un cazziatone gigante da coach Sandro Gamba, ovviamente presente alle finali: ‘Giovanotto – gli dice Gamba -, non funziona così e se tu, dopo Anversa, pensi di essere già arrivato in cima, vedrai che io il prossimo anno ti faccio venire il culo a strisce a furia di stare in panchina!’ Insomma: alla fine Milano ci batte eliminandoci dalla competizione e in quella sera reggiana non ce ne va bene nemmeno una”.

Finita con un briciolo d’amaro in bocca la carriera giovanile cosa succede?
“Durante l’estate la favola delle giovanili, perché alla fine di questo si tratta: una straordinaria favola che sarebbe bello rivivere ogni giorno, finisce e il mitico gruppo ’56, come da prassi si sfalda. Mentre Carraria, Gualco e Salvaneschi rimangono in serie A, tutti gli altri cominciano la loro avventura nelle serie minori. Io e Giorgio Lepori finiamo in serie C alla Pallacanestro Legnano e, in tutta sincerità, devo dire che le diffidenze iniziali sono immediatamente cancellate dalla realtà perché quella trascorsa a Legnano sarà una della stagioni più belle e umanamente ricchi di tutta la mia carriera. In biancorosso troviamo un ambiente fantastico e, personalmente, alla prima esperienza tra i senior non avrei potuto chiedere di più anche dal punto di vista tecnico”.

L’anno dopo ti trasferisci all’Omega Bilance Busto Arsizio, un club per il quale hai scritto interi capitoli di storia cestistica e conquistato ogni record possibile e immaginabile: più presenze, più punti segnati, più minuti giocati, più campionati disputati consecutivamente ad alto livello e altre decine di voci.
“Se Pallacanestro Varese, come ricordo, rappresenta il sogno a livello giovanile, Busto Arsizio costituisce la splendida realtà della vita adulta. Al PalaAriosto ho vissuto 12 stagioni agonistiche tutte tra serie B e C. Ovviamente non posso passare al setaccio ogni annata e, a margine, non ho nemmeno ricordi così vividi. Per questa ragione mi limito a sottolineare un aspetto determinante: ho avuto l’enorme privilegio di giocare insieme a compagni di squadra dal grande curriculum e in possesso di talento sopraffino. Essere in squadra insieme a loro è stato gratificante e, per quel che vedo e sento tuttora, credo che stima e affetto siano ricambiati”.

Non mi regali nemmeno un aneddoto? 
“Beh, potrei raccontare di quella volta che, primo anno a Busto, dobbiamo affrontare il CMB Rho in un drammatico spareggio: chi vince sale in serie B. Nei giorni precedenti lo spareggio da studente ISEF mi capita di arbitrare, insieme a Pietro Tallone, la finalissima del torneo scolastico di Varese: Liceo Classico contro Scientifico che si gioca al palazzetto a Masnago, presenti almeno quattromila ragazzi. “Fischio” molto bene, tanto che alla fine Tallone stesso si complimenta con me per la prontezza e la precisione delle chiamate. La domenica successiva siamo alla “Cambini” di Milano, pronti per giocarcela contro gli acerrimi rivali rhodensi e, guarda caso, per arbitrare lo spareggio viene designato proprio Tallone in coppia con un suo collega milanese. 
Senza darlo a vedere penso: “Ragazzi, è fatta, oggi si vince facile. Vorrai mica dire che Tallone dopo gli elogi che mi ha fatto nei giorni precedenti fischi sbagliato? Invece, succede proprio quello che non mi aspetto e non avrei mai previsto. Succede che dopo una gara tutta punto a punto, il buon Pietro Tallone ‘canna’ completamente l’ultimo fischio, il più importante della partita. Pietro infatti non fischia una ‘martellata’ pazzesca tiratami da un giocatore del CMB sull’ultimo tiro, Rho vince così di 1 e sale in B. Penso che se dai miei occhi fossero usciti fulmini anziché degli sguardi, il buon Tallone sarebbe cenere da tantissimi anni”.

Tra l’altro, nel mondo del basket circolano “leggende” sul tuo rapporto con gli arbitri.
“Poche leggende e tanta verità perché – ammette il brillante play-guardia varesino -, tra me e i direttori di gara ci sono state più scintille che mazzi di rose. Un po’ perché io non stavo mai zitto, specialmente quando avevo ragione. Un po’ perché molti di loro, notoriamente permalosi, se la legavano al dito. Però, alla fine, a parte qualche “vaffa”, non c’è mai stato nulla di che”.

Il “vaffa” più grosso?
“Beh, risposta facile: Busto è di scena a Livorno contro la Libertas e in palio c’è nientemeno che la promozione in A2. Il palazzetto dell’Ardenza è stracolmo, dentro ci saranno quattromila spettatori e il pubblico livornese è noto per il suo, chiamiamolo così, “calore”. A pochi minuti dalla sirena conclusiva, giocando una partita di grande sostanza tecnica e lucidità, siamo ancora avanti, anche se di pochi punti e tutto sembra girare a nostro favore. Però, negli ultimi 90 secondi la pressione dei tifosi livornesi si fa sentire, gli arbitri perdono completamente il controllo della situazione e una chiamata dietro l’altra ci sbarrano la strada lanciando in avanti Livorno che a 3 secondi dalla fine, grazie all’ennesimo fischio a favore, vanno a +4 e chiudono i conti. Beh, dopo quella “carognata” con i miei, anzi, i nostri “vaffa” avremmo riempito un’enciclopedia”.

Che anni sono stati quelli di Busto?
“Dovessi scegliere un aggettivo direi: eroici. Per un lungo periodo in provincia, dopo Pallacanestro Varese, noi della Cestistica Bustese abbiamo rappresentato la vetta cestistica più elevata e, comunque, abbiamo acceso passione e interesse per la pallacanestro un territorio. Poi, è storia, non tutte le annate sono uscite col buco e un paio di stagioni assolutamente deludenti hanno certamente lasciato il segno. Tuttavia, per me che sono stato l’unico testimone sempre presente in tutta la vicenda cestistica di Busto ad alto livello, restano dentro solo orgoglio, tanti buoni ricordi e innumerevoli amicizie”.

Lasciata Busto, dove giochi?
“Quando chiudo con Busto, la pallacanestro diventa solo divertimento anche se a Buguggiate, in compagnia di tanti buoni ex-giocatori – Piccinotti, Balanzoni, Bernasconi e altri -, vinciamo un paio di campionati minori battendo Malnate e prendendo in giro Guidali e Veronesi, miei ex-compagni alla Bustese. Comunque, dopo alcuni anni nelle minori, lo stop definitivo arriva nel 1992 quando, sciando, mi “salta” il crociato e a quel punto realizzo che, con la pallacanestro, è meglio piantarla lì”.

Quando sfogli il tuo album fotografico cosa provi?
“Riguardare la strepitosa bellezza delle foto in bianco e nero in maglia Ignis in mezzo ai miei campioni mi regala serenità e mi ricorda tutta la piacevolezza insita nell’aver fatto parte della più grande squadra di pallacanestro europea di tutti i tempi. Rivedermi ragazzino quasi abbracciato alla Coppa dei Campioni conquistata ad Anversa mi fa urlare ancora “Presente!” e, del resto, basta dare un occhio al sorriso di Mauro Salvaneschi, “benedetto” da Marino Zanatta, per capire le emozioni, la gioia e quanta incomparabile soddisfazione abbiamo avuto la fortuna di vivere”.

Oggi cos’è per te la pallacanestro?
“E’ sempre amore per la Pallacanestro Varese che, covid-19 permettendo, continuo a seguire anche a Masnago, ma anche la passione di seguire i miei figli Federico, classe 1994, e Lorenzo, classe 2001. Sono entrambi cresciuti in Robur et Fides e hanno avuto un buon percorso giovanile. Federico ha giocato per qualche anno nelle serie minori, ma dopo la laurea in economia si sta dedicando al lavoro, mentre Lorenzo, come tutti i giovani, sta solo aspettando che finisca il “disastro pandemico” per riprendere a giocare. Speriamo presto, aggiungo io, perché questi ragazzi hanno già buttato al vento un paio di stagioni”.

In chiusura, come di consueto, i tuoi quintetti e le dediche: quintetto giovanile?
“Scelgo, senza esitazione, tutta la nostra squadra del ’56. In quegli anni abbiamo messo insieme qualcosa di importante a livello sportivo ma, di più, abbiamo costruito un rapporto di amicizia che resiste dopo cinquant’anni. Forte, no?”.

Quintetto senior?
“Citare solo cinque giocatori è impossibile e ingiusto. Quindi, come hanno già fatto altri che mi hanno preceduto ti segnalo la mia squadra “allargata”: Lana, Beppe Gergati, Maccheroni, Guidali, Veronesi, Lesica, Rossetti, Mottini, Anchisi, Dosseni, Sergione Crespi, Canavesi”. 

Avversari più rognosi?
“”Stringa” Arrigoni, talento fenomenale del CMB Rho, Claudio Crippa quando giocava a Desio, Vincenzo Crocetti da avversario a Legnano e Cedro Galli nei derby contro la Robur”.

Allenatori?
“Bruno Brumana per le giovanili. Franco Passera, Silvio Bertacchi e Carlo Colombo per le categorie senior. Poi, ho una citazione speciale per Aza Nikolic e Sandro Gamba per la serie A”.

Massimo Turconi

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui