Lo chiami per parlare del suo passato e lui ti piazza il contropiede in faccia coniugando la chiacchierata al futuro. Diavolo di un capitano! All’alba dei 39 anni (tagliando in scadenza il prossimo primo dicembre), l’hardware di Riccardo Colombo andrebbe sottoposto a formattazione. A partire dal suo primo gol in carriera. Segnato in Coppa Italia nel 2003. A chi? Beh, ovviamente all’AlbinoLeffe. Prossimo avversario biancoblu e squadra che lo ha consacrato al calcio che conta.
Sull’episodio in questione, la memoria del fagnanese ha cestinato il file: “Tu te lo ricordi? Io sinceramente no. Non sono fatto per queste cose. Se mi chiedi dell’esordio in Serie A ce l’ho presente (2 febbraio 2008, sconfitta 3-1 a Napoli con l’Udinese, ndr). Già con quello in B faccio più fatica. Parliamo della partita di domenica?“.
Ecco, appunto. Insomma, quando ci sarà da organizzare le lunghe serate con i nipotini, alla fantasia toccherà andare dritta al potere. Quanto alla militanza con i seriani però, il ricordo si fa decisamente più vivido: “Ambiente familiare. Con il gruppo dei bergamaschi che faceva da nucleo storico. Garlini, Poloni, Bonazzi, Del Prato… e poi tanti giovani. Un’esperienza che mi ha formato. D’altra parte, è il club con cui ho disputato più partite”.

In realtà, era. Perché con la Pro Patria sei arrivato a 159 in tutte le competizioni, 2 in più rispetto alle presenze con la Celeste…
“Ah, vedi? Mi ero perso questa cosa. Ma ho già superato quota 150 qui? Accidenti, come passa il tempo”.

L’intervista dell’ex è un classicone. Una tassa da pagare. Cominciamo andando a ritroso. All’AlbinoLeffe hai incrociato per la prima volta Sandro Turotti. Cambiato parecchio da quegli anni?   
“Guarda, era un bell’osso allora ed è rimasto un osso anche oggi (ride). Ma ormai avete imparato a conoscerlo anche qui. A quei tempi, giravano più soldi e loro hanno sempre monetizzato sui giovani. Ma c’era un preciso diktat della proprietà: o arriva l’offerta giusta, o non cediamo nessuno. L’anno prima di andare al Torino, c’era stata un’offerta importante dell’Atalanta. Evidentemente però, non abbastanza importante. Nonostante gli sforzi del mio procuratore di allora, Turotti non fece una piega. Il direttore è sempre stato un maestro nello scovare dei prospetti, farli crescere e poi lanciarli. Come Federico Marchetti, ad esempio”.

Domenica ritrovi Marco Zaffaroni. Il tuo primo capitano. Quale impronta ha lasciato nella tua carriera?                                
“Quando immagino un capitano penso a lui. Un esempio per tutti. Trasmetteva carisma, saggezza, calma, esperienza. Dava sempre buoni consigli. Poche parole, sempre mirate. Mai un atteggiamento sbagliato. Per noi giovani avere dietro due come lui e Salvalaggio garantiva grande sicurezza. Nel gruppo, non ci sono mai stati problemi. Da allenatore sta facendo davvero molto bene. Noi, per dire, ci troviamo sempre in difficoltà a giocare contro le sue squadre”.

L’esempio corregge meglio del rimprovero, diceva il Manzoni. Nel merito, e tornando allo Zaffa capitano, per te che porti la fascia, il suo rappresenta uno standard valido ancora oggi?
“A quei tempi gli organici erano composti da 23 giocatori esperti e 2 giovani. O qualcosa del genere. Oggi, praticamente, le parti si sono invertite. I veri protagonisti, anche nell’ottica societaria, sono proprio i giovani. E’ cambiato tutto. Quando ho cominciato io volavano anche rimproveri forti, a male parole. Oggi c’è molta più attenzione ai percorsi di crescita. Su questo Javorcic è attentissimo. Alla Pro Patria poi, non servono sgridate. Abbiamo un grande gruppo. Non c’è davvero nessuno fuori dalle righe”.       

E se per puro caso qualcuno si facesse biondo dall’oggi al domani?
“Kolaj? In spogliatoio l’hanno massacrato. Simpaticamente, è chiaro. E magari, sul piano estetico, hanno anche ragione. Io però l’ho difeso. Mi è sembrato un gesto di grande personalità. Gli ho detto: vedrai che domenica ci farai vincere la partita. Mi ha dato ragione”.

Dando un’occhiata ai tuoi numeri personali, quest’anno hai giocato in media 54’ per ogni presenza, l’anno scorso 60, due anni fa al ritorno in C, poco meno di 52. In fondo per te, la clessidra del tempo sembra riempirsi all’inverso?  
“Va un po’ a momenti. Nelle stagioni passate ho avuto problemi alla caviglia. Ho giocato anche sopra gli infortuni. Stringendo i denti, quando mi veniva chiesto. Sono cose che magari da fuori non si vedono. Quest’anno, non lo dico a voce alta, non ho mai dovuto forzare. Ne parlavo anche l’altro giorno con il direttore. Mi diverto ancora. Soprattutto in settimana. Vado al campo e ho voglia di arrivare davanti a Latte Lath in allenamento. E’ cambiato il mio rapporto con il calcio. Non sento la tensione o la pesantezza dell’appuntamento agonistico. Anzi, non vedo l’ora che arrivino le partite”.

In cosa sei migliorato nel tuo Pro Patria Volume 2?
“Sul piano tattico credo di essere già stato sufficientemente pronto prima. E’ quello che mi ha fatto arrivare sin qui. Sul piano della relazione con i compagni, invece, penso si essere cresciuto molto. Grazie al mister che mi ha spronato subito a dare qualcosa in più agli altri. Ad essere di supporto con la mia esperienza. Non sono sempre stato così”.

A proposito di Javorcic, la sua differenza?
“E’ speciale nel preparare le partite. Quello che ci dice prima, poi si verifica puntualmente sul campo. E’ incredibile. Faccio un parallelo con un altro mio ex, Mondonico, che era invece un mago nel leggere le gare in corso. Faceva un cambio e quello che entrava segnava. Una specie di dono”.

Testa/Turotti/Javorcic, il segreto è nella ristretta linea di comando?
“Chiaramente tutto passa dalla società. Superfluo sottolinearlo. Ma ti potrei aggiungere anche il nostro massaggiatore Luca Bettinelli che è qui ormai da qualche anno. Se anche il più piccolo ingranaggio non funziona, l’intera macchina ne risente”.

Al tuo ritorno a Busto hai anche giocato da centrale difensivo. C’è ancora spazio per quel ruolo?
“Sinceramente? Non mi è mai piaciuto. Non mi sento a mio agio e non riesco a leggere il gioco da lì. Se serve, lo faccio. Ma sono un esterno. O una mezzala visto che ho cominciato con l’8 sulle spalle”.

Dove può arrivare questa Pro Patria?
“Se qualcuno mi avesse detto che alla 29^ avremmo avuto 49 punti, lo avrei preso per matto. Ora vedo grandi margini di miglioramento. Il nostro obiettivo? Essere davvero competitivi ai playoff. Nelle prossime 9 giornate ci attendono sfide molto calde. A Lecco so già che ci stanno aspettando. Un appuntamento che mi stimola e che stimola tantissimo tutta la squadra. Ma da qui alla fine, dobbiamo guadagnare il miglior piazzamento possibile per ridurre il numero delle partite della post season. Sarà fondamentale visto che poi si giocherà ogni 3 giorni. Giocare contro di noi è diventato molto difficile. Ormai per ragioni anagrafiche mi capita di parlare più spesso con gli allenatori che con i giocatori. E me lo ha recentemente confermato anche Canzi dell’Olbia. Un concetto che tra i giocatori mi ha invece ribadito settimana scorsa Franco della Pro Sesto”.

Come si diventa playoff contender? Cosa è cambiato rispetto agli ultimi 2 anni?
“Siamo nettamente più competitivi. Davanti abbiamo molte più opzioni. E dietro siamo la miglior difesa della C con il Padova. So che a questo il mister tiene tantissimo. La fiducia fa tanto. Ora giochiamo con molta più sicurezza da dietro dove c’è uno come Lombardoni che, resti fra noi (ride), ormai è diventato un top. C’è coraggio, si azzarda la giocata senza paura. L’aggressività è la matrice di questa stagione. Lo abbiamo visto con Bertoni. A centrocampo poi, Nicco ci ha dato tantissimo. E’ stato cruciale nella crescita di un reparto dove tutti sono migliorati in modo esponenziale”.

Chi vince il campionato?
“Voto Como. L’organico più profondo, molto compatti dietro. E con un giocatore di altra categoria come Max Gatto. Domenica con la Pro Vercelli sarà una bella sfida. I piemontesi sono una squadra davvero fastidiosa”.

Domanda scontata. Ma inevitabile. Porte chiuse (o socchiuse). Quanto cambia?
“L’altro giorno il Bruno (Chiericoni, ndr) mi ha fatto vedere un filmato sul telefonino. Credo fosse tratto da Bustocco.it. Era una partita di una ventina di anni fa con l’Alessandria. Mi sono detto: mamma mia quanta gente c’era… Senza tifosi è un altro sport. Poco da aggiungere. Sarebbe bello riaverli nei playoff. Ma credo sia difficile. Stiamo vivendo una pseudo normalità. Sono stato ad Olgiate ad assistere alla partita della Berretti di Andrea Vecchio. Vedere i genitori fuori per i protocolli costretti a sporgersi dalle reti per veder giocare i propri figli è stato davvero triste“.

Abbiamo provato ad aprire con il passato, chiudiamo con il futuro. Altra domanda banale. Traguardo dei 40 anni tagliato in campo?
“Sto bene. Ma ci sono ancora 2 mesi di stagione. E’ ancora presto. Ne parlerò con la società e troveremo la soluzione migliore. Sono pronto anche a smettere. Non è un argomento tabù. Senza problemi”.                                              

Giovanni Castiglioni

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