E’ una stagione davvero straordinaria quella che sta vivendo l’enfant prodige biancorosso Nicolò Virginio. Il giovane classe 2003 della Pallacanestro Varese sta conquistando settimana dopo settimana traguardi davvero eccezionali per un ragazzo di soli 18 anni. Dopo essere stato aggregato stabilmente alla prima squadra, la scorsa settimana Nicolò ha vissuto un momento veramente straordinario, volando a Istanbul con la Stella Azzurra per la Next Generation Cup, un’esperienza bellissima ed unica che lo ha lasciato davvero senza fiato.

La possibilità di vivere una realtà come quella della Next Gen è il sogno di tutti i ragazzi della sua età che hanno la possibilità di confrontarsi con un panorama tecnico assolutamente di primo livello. Questo è solo l’ultimo degli enormi passi che Nicolò sta facendo in questo 2021 ricco di soddisfazioni, come l’esordio in quintetto base in Serie A e la grande responsabilità di sopperire all’assenza di tanti suoi compagni della prima squadra al rientro post covid della Openjobmetis in campionato contro l’Allianz Trieste il 19 gennaio, riuscendo anche ad andare a referto con due punti.

Un percorso di crescita continuo che è solo all’inizio per un prospetto davvero eccezionale che continua a migliorare sotto l’egida ed il marchio di Varese Academy. Ti saresti aspettato la chiamata di Stella Azzurra per questa Next Generation Cup?
“Non mi aspettavo di poter essere chiamato, sinceramente. Sapevo che l’anno scorso la Stella Azzurra mi aveva cercato ma non avevano fatto in tempo ad inserirmi in lista e quando ho saputo che anche quest’anno avrebbero voluto farmi partecipare sono rimasto molto contento. Penso che questa sia una delle esperienze migliori che abbia fatto in tutta la mia vita sia a livello umano che a livello tecnico e competitivo. Giocare in una città come Istanbul che non avevo mai visto e che purtroppo ho potuto visitare ben poco è stata un’esperienza comunque nuova ed entusiasmante”.

A livello umano e tecnico cosa ti lascia la Next Generation Cup?
“Mi sono trovato benissimo con i miei compagni, hanno cercato di aiutarmi, di farmi entrare al meglio nel gruppo, così come hanno fatto gli allenatori e lo staff e mi porterò dietro per sempre questo ricordo. A livello puramente di gioco, per me la cosa più importante non è stato tanto andare e giocare 40 minuti tutte le partite, quanto acquisire tanti più insegnamenti possibili con i giocatori avversari, molto bravi a livello europeo, per valutare se ciò che faccio quotidianamente serve e dà risultati e per capire a che livello sono nel confronto con il basket europeo. Ecco, da questo punto di vista, l’esperienza fatta mi è servita molto perché mi ha confermato i pensieri che già avevo su cosa migliorare, ovvero a livello difensivo e fisico soprattutto, un punto sul quale sto aumentando i miei carichi di lavoro”.

Sei in pianta stabile con la prima squadra quest’anno, quanto stai imparando da questa situazione?
“Non pensavo, ma grazie alla possibilità di allenarmi quotidianamente con la prima squadra, ho scoperto quanto si possa imparare anche solo guardando i miei compagni. Rispetto al settore giovanile, cambia totalmente il modo di preparare la settimana, con lo studio dell’avversario della domenica e soprattutto a livello di serietà nell’approccio all’allenamento che è ovviamente massima. E’ un altro modo di vedere la pallacanestro rispetto al settore giovanile. Ho grandissimi esempi come Luis Scola, Toney Douglas che hanno fatto anni in NBA, ma in realtà tutti i compagni mi danno grandi consigli su come crescere e fin da subito hanno cercato di farmi migliorare, spronarmi e qualche volta anche sgridarmi per farmi capire dove avevo sbagliato e fare meglio. Sono tutte cose che fanno molto piacere”.

Quest’anno per te è un’annata davvero importante e hai esordito in prima squadra in un momento difficile dove era importante anche assumersi delle responsabilità. Come hai gestito e vissuto quella situazione così bella quanto complicata allo stesso tempo?
“L’esordio non è stato facile in quanto era più di un anno che non giocavo una partita di basket a causa del covid e infatti ho pagato l’approccio iniziale, non solo a livello tecnico ma soprattutto psicologico quando ho saputo che sarei partito in quintetto base. Ho fatto fatica nei primi minuti ad ambientarmi e a prendere quel ritmo di gioco che mi mancava molto. Poi, una volta rientrato, sono riuscito a dimostrare ciò che volevo e son rimasto soddisfatto. Sono state emozioni molto forti sicuramente”.

Pesa di più la palla quando si è in serie A?
“Per certi versi sì. Diciamo però che più che altro la cosa che davvero condiziona all’inizio è il fatto di focalizzarsi completamente solo su ciò che non devi sbagliare assolutamente, perdendoti qualcosa dietro e non è semplice. Cerchi di dare il massimo ma delle volte rischi di fare degli errori, ma penso che ciò sia normale. Ho cercato di interpretare al meglio il match e quando ho avuto l’occasione di tirare l’ho fatto senza pensarci, anche perché sono dell’idea che se la squadra costruisce un tiro pulito e la palla arriva a me per quel tiro io lo debba prendere, indipendentemente che sia all’esordio o meno. Poi se il tiro entra o no è un altro discorso e si lavora in settimana per farlo entrare”.

Cosa ti sta lasciando il Bulleri allenatore a te che sei un ragazzo giovanissimo, anche rispetto al rapporto che hai avuto con coach Caja?
“E’ la prima esperienza per coach Bulleri in panchina e non penso nemmeno per lui sia stato facile approcciarsi a questa nuova realtà. Fa un lavoro in palestra importante che ora, dopo qualche mese, sta dando i suoi frutti con i primi risultati importanti. Con coach Caja avevo meno rapporto ma anche perché ho lavorato di meno, però anche con lui avevo fiducia in allenamento e mi ha dato l’opportunità di giocare, quindi ho un ricordo positivo”.

Alessandro Burin

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui