La stagione della Openjobmetis Varese si è conclusa con l’obiettivo minimo stagionale, la salvezza, divenuto traguardo preziosissimo viste le difficoltà incontrate lungo il cammino stagionale. Un percorso che si porta dietro tante note positive, come la riuscita del progetto italiano in squadra che ha dato il suo imprinting decisivo per tenere unito il gruppo nel momento più cupo della stagione quando, a gennaio, l’ultima posizione in classifica e il covid permettevano solo di pensare la peggio.
In questo processo di unione e forza un uomo su tutti ha fatto la differenza, quel Niccolò De Vico messo ai margini nel momento migliore della squadra, ma che con grande professionalità e spirito di gruppo, ha sempre lavorato in palestra con il sorriso e con intensità, per mantenere alto il morale della squadra ed il ritmo degli allenamenti.

Una figura determinante a livello di squadra che però, a livello personale, ha dovuto gestire la non facile situazione in cui si è ritrovato, passando da caposaldo a ultima riserva del gruppo, senza contare i giovani ovviamente. Una situazione davvero difficile che Niccolò ha saputo controllare al meglio, concentrato solo sull’obiettivo di squadra. Ora che l’annata è finita è tempo di bilanci e di decisioni da prendere, anche se De Vico ha ben in testa il suo futuro, che vuole essere nella Città Giardino.

Partiamo dalla salvezza conquistata, che giudizio dai sulla stagione di Varese?
“E’ stata una stagione stranissima. Tosta, perché è stata davvero lunga, noi siamo qui da luglio, ed è successo di tutto tra infortuni, covid, cambi di giocatori e cambi di allenatore. E’ stata un’annata difficile, però ci siamo salvati, era l’obiettivo primario e penso che abbiamo dimostrato anche un certo potenziale. Abbiamo fatto ottime partite e vinto con squadre sicuramente più forti di noi e un po’ mi rimane l’amaro in bocca perché credo che senza le mille sciagure che ci hanno toccato avremmo potuto fare qualcosa di più. Con i se e con i ma non si fa nulla, ma secondo me qualcosina lo abbiamo dimostrato”.

Qual è stata la partita chiave della salvezza, se ce n’è stata una?
“Non credo che ce ne sia stata una in particolare. Sicuramente nella seconda parte di stagione abbiamo trovato più costanza e quella è stata la chiave di volta. Ad inizio avevamo vinto le prime due gare e poi ne avevamo perse sette di fila e, anche quando eravamo in vantaggio facendo una partita di un certo livello, poi buttavamo tutto alle ortiche. Abbiamo perso con Cantù nel finale, con Treviso sempre negli ultimi minuti, con Reggio Emilia all’andata eravamo avanti di molto ma poi ci siamo sciolti. Sicuramente mi sento di dire che siamo stati un gruppo incredibile e quello ci ha permesso di uscire dal momento di difficoltà, perché davvero è complicato avere in un’intera squadra, persone e professionisti come quelli che ho trovato quest’anno. Nessuno ha mai perso la testa, e in quei momenti è un attimo farlo, e questo ci ha aiutato ad uscirne”.

Hai parlato del grande gruppo che si è creato e parlando con altre persone interne allo staff, in dirigenza, l’allenatore, tutti fanno il tuo nome come figura determinante. Per te è stata sicuramente un’annata particolare, tra infortuni e questioni di campo che ti hanno relegato in panchina. Come hai gestito tutto questo riuscendo ad andare sempre in palestra con il sorriso e allenandoti e comportandoti da vero professionista? Come hai vissuto tutto questo?
“Mi fa piacere che si dica questo di ma, ma ovviamente non è stato facile. Mi sono ritrovato dall’essere titolare o comunque avere un ruolo importante al non entrare neanche in campo. Sicuramente mi ha fatto male perché pensavo di non meritarlo ed è stato complicato. Le strade erano due, o impazzivo e facevo la guerra, o continuavo a dare il massimo, allenandomi forte e rimanendo positivo. Ho preso quest’ultima strada per il mio bene, ma penso che sia stato importante anche per il bene della squadra. Ho sempre cercato di spingere in settimana per alzare il livello di allenamento e di essere disponibile anche la domenica quando, purtroppo, dovevo fare 40 minuti di panchina. Mi fa piacere che se ne siano resi conto e di aver dato una mano ai compagni. A prescindere, io non sono il tipo di giocatore che se non gioca ma la squadra vince tiene il broncio o fa problemi; no, il gruppo vince e questo conta, però chiaramente è stato pesante”.

Sei legato a Varese anche per il prossimo anno dal contratto. Se in panchina dovesse rimanere Bulleri e se questa dovesse essere l’impostazione anche per il prossimo anno, quali sono le tue intenzioni?
“Dico la mia posizione, che ovviamente poi andrà messa a confronto con quello che allenatore e società sceglieranno. Ho un altro anno di contratto, lo voglio rispettare perché sono venuto a Varese per il club, la società, la piazza, la storia e necessito di giocare davanti ai tifosi di Varese. Voglio rimanere qui, penso di aver dimostrato di meritarmelo: dopo il covid ho fatto due ottime gare a Trieste e contro Cantù e poi dal nulla non ho più giocato. Avevo recuperato bene dall’infortunio, credo di aver dimostrato più di una volta di poter essere un giocatore importante, quindi la mia intenzione è quella di rimanere e di rigiocarmi le mie carte. Poi, naturalmente, va capita la scelta dell’allenatore e se le nostre volontà coincideranno”.

Alessandro Burin

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