Dopo le due splendide vittorie di inizio campionato, sabato 15 maggio alle ore 18.30 gli Skorpions Varese saranno di nuovo in scena al “Franco Ossola” per ospitare i Frogs Legnano e cercare il terzo successo consecutivo. Il segreto dei grigiorossi si chiama sicuramente Nick Holt: il coach americano è approdato a Varese con passione ed umiltà, mettendo tutta la sua immensa esperienza al servizio della squadra. Il suo impegno sarebbe però nullo senza la collaborazione e dedizione di tutto il coaching staff che ogni giorno lavora sodo per portare gli Skorpions a scrivere nuove importanti pagine di storia. Ieri abbiamo cominciato a conoscere alcuni protagonisti e oggi concludiamo con gli altri quattro.

LEONARDO POZZATO – Offensive Line Coach

Scalata dalla C alla A con i Lancieri Novara, vittoria del Superbowl con i Pharaones Milano nel ’92 ed esperienza con i Giaguari Torino. È questo il palmares di tutto rispetto di chi sa come si vince a football e di chi vuole contribuire a portare gli Skorpions in alto. È il profilo di Leonardo Pozzato (nella foto a destra) che, dopo aver allenato gli U16 dei Pharaones ed esser tornato nella sua Novara, ha accettato la chiamata degli Skorpions. “Da ormai sette campionati sono a Varese: alcuni ragazzi che allenavo a Novara erano venuti a giocare qui e mi avevano chiesto di seguirli. L’ho fatto è ho avuto la fortuna di incontrare una dirigenza seria e disponibile con cui sono subito entrato in sintonia: non mi farei un’ora di macchina andata e ritorno se non mi trovassi bene”.

Nel football è più importante la fase difensiva o quella offensiva?
“Di sicuro Pacio e gli altri ti avranno risposto con quella difensiva, per cui io ti dico quella offensiva (ride). Scherzi a parte si parla pur sempre di una squadra e solitamente le due fasi sono sullo stesso livello, anche se purtroppo non tutti riconoscono il lavoro sporco della linea offensiva. Parliamo di ragazzi che, se non in rari casi, non possono toccare il pallone e raramente finiranno sotto i riflettori ma, essendo in cinque, costituiscono l’ossatura portante della squadra. Se loro non funzionano, la squadra non gira; per questo è fondamentale che ci sia un gran feeling tra di loro. In ogni caso se l’attacco va bene è merito del quarterback o dei ricevitori; se l’attacco va male è colpa della linea offensiva”.

Il primo obiettivo di una linea offensiva è difendere il quarterback: quanto è importante fargli guadagnare quanti più secondi possibili?
“Non è importante, è fondamentale. Più tempo il quarterback ha a disposizione più riuscirà a leggere il gioco e ad effettuare il lancio giusto. Riprendo le parole di un vecchio americano con cui ho avuto la fortuna di giocare: tu puoi avere il quarterback più forte ma, se non lo metti in condizione di prendere il tempo, anche il migliore del mondo fallirà. Le difese, al giorno d’oggi, si muovono molto per mettere in confusione l’attacco e quindi noi dobbiamo ragionare molto velocemente su cosa fare per sorprenderle. Il nostro lavoro è molto più difficile perché in difesa abbiamo 11 giocatori che corrono per fermare quello con la palla, mentre in attacco dieci giocatori devono collaborare alla perfezione per far arrivare la palla all’undicesimo; se un solo meccanismo s’inceppa, l’azione si perde nel nulla”.

Ti aspettavi due vittorie del genere contro Lions e Daemons?
“La prima mi ha colpito di più perché tanti addetti ai lavori individuavano i Lions come favoriti per la vittoria ai playoff, e invece è stata una partita a senso unico. Contro i Daemons abbiamo invece sfatato un tabù, dato che erano il nostro tallone d’Achille, e quando si sfideranno nel prossimo turno sarà interessante vedere chi la spunterà. Debutto all’Ossola? A calcio il Novara è caduto parecchie volte qui contro il Varese… ma a parte la deriva calcistica devo riconoscere che è uno stadio dall’impatto notevole: una città come Varese merita uno stadio del genere sempre pieno, a prescindere dalla competizione che ospita. Holt? Parliamo di uno abituato a giocare davanti a 70mila spettatori: era uno di quelle leggende inarrivabili che pensavi di poter vedere solo in tv, e invece conoscendolo ti rendi conto di avere a che fare con una persona normalissima, umile, ma che nel suo lavoro sa davvero tutto. Con lui ci stiamo preparando nel migliore dei modi alla sfida contro i Frogs: abbiamo preso una bella strada e non vogliamo scendere dal treno”.

CRISTIAN BIANCHI – Running Back Coach

Classe ’85, agli Skorpions da quando aveva 14 anni (eccezion fatta per un anno ai Rhinos in A1 e una stagione a Valencia), Cristian Bianchi (nella foto a sinistra) ha il grigiorosso tatuato addosso: “Sono nato e cresciuto in questa squadra, e ci rimarrò. Debuttare all’Ossola quest’anno per me ha avuto un sapore in più perché avevo già avuto la fortuna di giocarci una decina d’anni fa: rappresenta una cornice stupenda, in cu si respira la storia sia del calcio sia del football, ed è incredibile poter giocare in uno stadio così spettacolare”.

Come si studia una difesa avversaria prima di una partita e qual è il compito più importante di un running back?
“Io mi focalizzo sempre sui punti di forza degli avversari, in particolar modo sulla prima linea, ma sto molto attento al posizionamento dei linebacker, cercando di capire se sono più o meno veloci di noi. Quest’analisi è fondamentale perché il compito di un running back è quello di dare ritmo alla squadra con le corse e portare il pallone più avanti possibile. Io lavoro con quattro o cinque ragazzi, concentrandomi anche molto sull’aspetto atletico, e devo riconoscere che stanno crescendo davvero tanto”.

Quanta soddisfazione c’è stata nel vincere le prime due partite in quel modo? Chi temevi di più?
“Sulla carta la difesa dei Lions aveva più esperienza ma temevo di più quella dei Daemons perché li conosciamo bene e negli ultimi anni ci avevano sempre sconfitto. La soddisfazione nel battere entrambi è stata davvero tanta soprattutto per come si sono impegnati i ragazzi: Holt ci sta dando ritmi pazzeschi, senza mai farci rifiatare, e noi stiamo riversando in campo tutto ciò con ottimi risultati. Inoltre una squadra di football è una famiglia e tutti dobbiamo dare il nostro contributo”.

Cosa significa lavorare con Holt e cosa ti aspetti dalla prossima sfida?
“Allenare insieme ad Holt vuol dire avere un secondo lavoro a tutti gli effetti: si vede che è un professionista e che è qui ‘col freno a mano tirato’, ma pretende comunque un approccio che rasenta il professionismo. È la strada giusta per farci crescere e noi ci sacrifichiamo ben volentieri. La prossima sfida rappresenta un ulteriore step del nostro processo di crescita: i Frogs stanno attraversando una fase di rifondazione importante e al momento stanno faticando, ma affrontarci sarà per loro un grande stimolo. Noi dovremo essere compatti e maturi, mettendo in campo la nostra voglia di giocare, anche perché di questi tempi le partite di football sono davvero poche e dobbiamo sfruttare ogni occasione per divertirci e dare il masssimo”.

GIACOMO MICHELI – Quarterback Coach

È il più giovane del gruppo, classe ’95, ma se si trova lì un motivo c’è e Giacomo Micheli (nella foto a destra) non manca di dimostrarlo giorno dopo giorno affiancando gli studi universitari (ingegneria informatica) alla passione per il football. “Qui mi sento a casa e vorrei rimanerci a vita – esordisce senza troppi giri di parole -. Ho iniziato a giocare negli Skorpions nel 2010 ma a causa di qualche problema fisico ho chiuso la mia carriera da atleta due stagioni fa e da quest’anno affianco Holt allenando i quarterback. Sto imparando molto: da qualche anno noi Skorpions stiamo lavorando con coach americani e, dopo le fondamenta gettate da George Contreras, Holt sta costruendo qualcosa di importante. La serenità con cui abbiamo affrontato le prime due partite deriva dall’intensità con cui ci alleniamo”.

Anche chi non ha mai nemmeno lontanamente seguito il football conosce il ruolo del quarterback; cosa significa essere un quarterback?
“Significa ricoprire il ruolo più importante per l’attacco perché ogni azione, sia corsa sia passaggio, passa dalle sue mani: il quarterback è paragonabile al play di basket: quando il QB gioca bene fa risaltare ancor di più i suoi compagni. Il football ricorda un ballo perché tutto segue una specifica cadenza e, se qualcosa non funziona, tutto l’insieme ne risente; per questo durante gli allenamenti cerco di affinare la tecnica dei ragazzi, ma soprattutto lavoriamo sul timing per migliorare l’alchimia di squadra. Allenare è una bella sfida: quando giocavo avevo qualcuno che mi diceva cosa sbagliavo, mentre ora sono io a dover analizzare e correggere. Di conseguenza studio molto sia i nostri allenamenti sia gli avversari in modo da individuare gli aspetti e le situazioni su cui lavorare maggiormente”.

Quanto conta la condizione mentale per un quarterback?
“Pesa tantissimo perché un quarterback deve captare e metabolizzare una quantità incredibile di informazioni in quei tre o quattro secondi in cui ha il pallone in mano e, allo stesso tempo, capire come si muove la difesa per scegliere a chi passarla ed effettuare il lancio. Se non sei mentalmente lucido è finita. Un giudizio su Crosta? Mi ha davvero colpito per come ha condotto la partita contro i Lions, mentre contro i Daemons ha fatto un po’ più di fatica; è comunque un ragazzo ricettivo che fa tesoro dei consigli e sta confermando quanto di buono fatto vedere in Prima Divisione; se ho smesso di giocare è anche perché sapevo di lasciare la squadra in buone mani”.

Cosa vuol dire per gli Skorpions giocare all’Ossola?
“Significa rappresentare Varese. È stata un’emozione incredibile debuttarci anche perché il terreno era in perfette condizioni. La struttura fornisce una cornice fantastica, che nessuno ha in Seconda Divisione, e ci permette di dar seguito al progetto che vogliamo portare avanti. Non vedo l’ora di tornarci per sfidare i Frogs: malgrado il loro periodo di rifondazione restano una realtà del football italiano, un nome altisonante, e noi vogliamo batterli per continuare il nostro percorso di crescita”.

GIORGIO FONTI – Wide Receiver Coach

Passare dal calcio al football non è facile, ma è questo il percorso di Giorgio Fonti (nella foto a sinistra) che nel 96′ si è innamorato di questo sport approdando ai Kings Gallarate dopo una carriera calcistica a discreti livelli. “Da quel momento non sono più riuscito a fare a meno del football – ci racconta Fonti – e ho cominciato anche a fare esperienza allenando i Flag. Quando nel 2013 si è chiusa la mia carriera da giocatore ho così potuto continuare ad allenare i ricevitori, dando qualche nozione anche ai QB, e sono successivamente arrivato ai Rhinos. A Milano ho avuto la fortuna di conoscere Chris Ault, coach americano davvero esperto che mi ha fatto capire cosa significhi davvero praticare il football. Quell’esperienza mi ha aiutato a confrontarmi con Holt qui a Varese: ha una conoscenza spaventosa di questo sport e la sua impronta è già ben evidente in casa Skorpions, dato che anche noi allenatori dobbiamo seguire un programma ben preciso e strepitoso”.

Cosa significa per te allenare negli Skorpions al fianco di un coach come Holt?
“In realtà io fino a tre anni fa gli Skorpions li avevo sempre visti da avversari anche perché i miei figli giocano nei Seamen Milano e io facevo parte dei Blue Storms. Dopo essermene andato da Busto Arsizio ho incontrato la dirigenza grigiorossa e ho avuto modo di conoscere persone davvero in gamba e rispettabili: purtroppo per lavoro non posso sempre essere presente, ma da tre anni bazzico nel mondo Skorpions e, quando posso, cerco di dare il mio contributo. In questo periodo non ho trasferte lavorative e ne ho approfittato per conoscere da vicino Holt: non pensavo che in pochi mesi riuscisse a mettere in campo una squadra così ben affiatata e in grado di muoversi con questa naturalezza, ma i risultati non mentono. Per me è una gran bella soddisfazione essere qui”.

Quanto è difficile per un ricevitore farsi trovare completamente libero? E quanto è importante trovare nuove soluzioni ad ogni down?
“Dipende dalla bravura del cornerback che hai davanti: l’obiettivo principale di un ricevitore è fare in modo che la difesa avversaria non rovini la sua traccia. Il quarterback si fida ciecamente dei suoi ricevitori ed è compito di quest’ultimi farsi trovare esattamente dove arriva il lancio. In realtà non è necessario provare sempre uno schema diverso: se uno sa fare bene quella cosa la farà sempre anche se si trova davanti la difesa migliore del mondo. Il livello dei miei ricevitori? Già al mio arrivo c’erano ragazzi davvero promettenti: ora, malgrado la giovane età sono diventati uomini, anche se ci sono sempre margini di miglioramento, e qualcuno potrà fare davvero tanta strada”.

Ti aspettavi due vittorie del genere? Che effetto ti ha fatto giocare all’Ossola?
“Come ho detto prima non credevo che Holt riuscisse a plasmare la squadra così in fretta, ma sapevo qual era il livello dei giocatori ed ero certo che avrebbero venduto cara la pelle. I risultati vanno forse oltre le nostre aspettative ma rispecchiano appieno il potenziale di questa squadra: contro i Frogs scenderemo in campo con l’adrenalina di sempre per vincere ancora. Sull’Ossola posso solo dire che giocarci è tanta roba. Già ai miei tempi quando entravo in uno stadio del genere con un campo così perfetto si respirava un’atmosfera unica: anche senza pubblico giocare all’Ossola dà a tutti noi una carica in più”.

Matteo Carraro
(foto in alto da FB Down-Set-Hut Skorpions)

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