Il 27 luglio 2020 Giovanni Scampini era stato il primo acquisto del Città di Varese e, sulla carta, aveva il compito di guidare il centrocampo biancorosso di David Sassarini. Purtroppo la stagione non è andata come preventivato dal bustocco classe ’91 e una serie infinita di infortuni gli ha impedito di trovare la giusta continuità per contribuire alla causa bosina.

Oggi, a poco più di un anno di distanza, Giovanni Scampini non è più un giocatore del Città di Varese. Le scelte della società biancorossa per quanto riguarda la mediana non sono certo un mistero e Alessandro Merlin si è mosso sul mercato seguendo le attente direttive di mister Rossi; evidentemente nel Varese 2.0 non c’era spazio per Scampini che, al momento, non ha ancora sciolto le riserve sul suo futuro. A spiegarlo è proprio lui che dalla sua Busto Ariszio, con il solito genuino sorriso che l’ha sempre contraddistinto, risponde con entusiasmo alla nostra telefonata: “Finite le vacanze sono tornato a casa per stare sul pezzo e non perdermi nulla; attendo la giusta chiamata e posso garantire che, come ho sempre fatto per tutta la mia carriera, mi farò trovare pronto, motivato, determinato ed entusiasta”.

Inevitabile cominciare con un passo indietro: come mai è finita la tua avventura con il Varese?
“Non è stata una decisione mia. Il fatto di esser stato il primo acquisto del Città di Varese mi ha riempito di orgoglio, ma purtroppo non ci sono stati i presupposti per continuare insieme: la società ha fatto scelte diverse che accetto con il sorriso, nonostante mi sarebbe piaciuto davvero tanto continuare, perché tra le due parti c’è sempre stato profondo rispetto”.

La stagione non è certo andata come speravi e probabilmente detieni il record di infortuni… immagino che sognavi ben altra annata…
“Purtroppo, credo sia sotto gli occhi di tutti, sono stato molto sfortunato. Ho avuto parecchi problemi fin dall’inizio con un piccolo infortunio all’esordio, poi c’è stato il Covid e, al rientro, mi sono rotto una costola dopo un contrasto in allenamento. Sono rientrato contro la Sanremese disputando, malgrado la pesante sconfitta, una buona partita ma non ho comunque mai trovato la giusta continuità a causa di vari acciacchi. È stato davvero frustrante in certi momenti, però nella vita bisogna accettare sia le cose positive sia le cose negative e crescere di conseguenza”.

A livello di squadra eri uno degli uomini più esperti; cosa non ha funzionato?
“Partire da zero come ha fatto il Varese, mettendo insieme 25 persone che non si conoscono, non è mai facile. Per creare un gruppo e ottenere risultati ci vuole tempo, senza dimenticare che c’è anche stato l’avvicendamento in panchina con un conseguente cambio di idee di gioco. Soprattutto all’inizio mancavano i risultati e, siccome ci aspettavamo ben altro percorso, il morale era a terra e l’abbiamo pagato a caro prezzo. Poi, pian piano, si è creata una bella alchimia e abbiamo trovato continuità di prestazioni e di risultati: va detto che non siamo mai stati al completo, con la rosa dello scorso anno dovevamo fare meglio, ma in una situazione di classifica deficitaria non era facile uscirne come abbiamo fatto noi”.

Hai parlato del cambio in panchina con Rossi che ha sostituito Sassarini; come l’hai vissuto?
“Quando i risultati non arrivano il primo a pagare è sempre il mister. Dal canto mio, ho sempre pensato a dare il massimo in allenamento e in partita, poi fuori dal campo ognuno ha il suo carattere. In ogni caso ho imparato da entrambi. Sassarini è un grande esperto di calcio e, infatti, spronavo i giovani a recepire il più possibile i suoi consigli perché da lui avrebbero potuto imparare molto; con Rossi si è subito instaurato un bel rapporto di stima reciproca che si è sempre mantenuto. Io non mi sono mai fatto problemi a dire ciò che dovevo dire faccia a faccia: sicuramente mi aspettavo una chiamata, ma quando si prendono decisioni diverse è giusto che ognuno intraprenda la propria strada. Rimpianti? No perché ho dato tutto me stesso. Sicuramente avrei potuto dare il mio contributo anche l’anno prossimo ma, come ho già detto, le scelte vanno rispettate”.

Hai vissuto Varese in una stagione anomala sotto tutti i punti di vista; cosa ti ha lasciato questa esperienza?
“Il bilancio è superpositivo perché ho conosciuto persone straordinarie dentro e fuori dal campo. Basti pensare agli steward che erano a tutti gli effetti il cuore pulsante di quest’anno, persone che amano il Varese alla follia, e mi sarebbe piaciuto vedere lo stadio sempre pieno di tifosi per creare un’alchimia anche con loro. Sicuramente mi sono goduto piccoli gesti, come la folla che ci ha aspettato dopo il Pont Donnaz o l’entusiasmo post derby contro il Legnano, ma mi sarebbe piaciuto viverli all’ennesima potenza. Malgrado non avessimo obiettivi, nelle ultime due partite si è percepito il calore e la voglia di calcio del mondo biancorosso: se l’anno prossimo il Varese riuscirà a instaurare il giusto legame con il pubblico potrà fare grandi cose perché, in piazze del genere, i tifosi sono davvero il dodicesimo uomo in campo”.

Qual è stato il momento più bello della stagione per te?
“La vittoria di Vado è stato un crocevia importante perché in quel momento non arrivavano risultati, c’erano tanti infortunati e serviva una reazione. Dopo la sconfitta contro il Casale ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che la stagione dipendeva solo da noi: il calcio dà e toglie, a noi ha tolto molto, ma praticamente nessuno era riuscito a metterci sotto dal punto di vista del gioco. In quel momento si è innescato qualcosa di importante e anche solo la voglia di prevalere individualmente sugli avversari ruolo per ruolo ha significato molto. A livello personale non posso che essere contento di tutta la stagione perché ho conosciuto persone straordinarie con cui si è creato un grandissimo rapporto di amicizia; se devo fare un nome dico Dido (Donato Disabato, ndr) perché abbiamo più o meno la stessa età e caratterialmente ci assomigliamo”.

Anche se non sai ancora dove giocherai l’anno prossimo, cosa cerchi a livello di stimoli?
“C’è stato qualche contatto tra Eccellenza e Serie D. Non mi interessa la categoria perché sono del parere che siano le persone a fare la differenza: cerco un progetto ambizioso e una società seria che abbia voglia di fare le cose fatte bene”.

A livello personale cosa ti aspetti?
“Anche se ho avuto parecchi infortuni, so qual è il mio valore perché gioco ormai da tanti anni e credo che anche gli addetti ai lavori mi conoscano. Ho sempre dato il massimo e cerco una società che mi dia fiducia per ripagarla a suon di prestazioni sul campo”.

Dato che potresti restare in Serie D, cosa ne pensi del mercato che stiamo vivendo?
“A Varese è rimasta gente di valore assoluto dal punto di vista umano e calcistico: non conosco personalmente i nuovi arrivati, ma posso garantire che la squadra sarà protagonista. Anche il Legnano si è mosso al meglio, così come Sanremese e Bra; parliamo di gruppi che avevano già fatto bene l’anno scorso e che punteranno a migliorarsi. Ci sarà sicuramente un’outsider e, come ogni anno, qualcuno che deluderà le aspettative”.

Se dovessi tornare a Varese da avversario che emozioni proveresti?
“Sarà fantastico perché già solo il fatto di giocare all’Ossola rappresenta un’emozione unica. Se giochi con la maglia del Varese hai molte responsabilità e se non sei mentalmente forte puoi pagare la pressione; viceversa se la gestisci diventi uno schiacciasassi e intimidisci gli avversari già in partenza. Gli stimoli, però, ci sono anche dall’altra parte e quando giochi all’Ossola contro il Varese sei spronato a dare qualcosa in più. Qualora dovessi tornare da avversario, così come ho dato il massimo per il Varese darò il massimo darò tutto me stesso per la mia nuova squadra, senza dimenticare l’assoluto rispetto che provo per il mondo biancorosso”.

Matteo Carraro
(foto Mattia Martegani)

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