Ci sono storie che vale la pena raccontare, perché nella loro semplicità sono capaci di regalare emozioni e spunti di riflessione importanti ai quali si rischia di non dare nemmeno peso. Questo è il caso di una giovane ragazza di 15 anni, Greta Ramon, che ha realizzato domenica scorsa il suo sogno di esordire in Seria A di basket, dopo anni passati a crescere in mezzo a tanti maschietti con cui ha giocato fino all’under 13.

Allenamento, dedizione al lavoro e tanto talento, perché comunque ci vuole quel quid in più per una bambina che a 6 anni si approccia a questo sport e che si trova ad allenarsi e a giocare tendenzialmente con molti più maschi che ragazze, non sentendosi mai diversa o esclusa, ma parte integrante del gruppo e, anzi, eccellere perché lo sport è anche capace di fare questo, abbattere muri e barriere che non dovrebbe esistere e che invece nella quotidianità ci sono ancora.
Sicuramente precoce il suo percorso di crescita, tant’è che Greta, cresciuta nel mondo BBG Gallarate, è arrivata all’Allianz Geas Basket, società di Sesto San Giovanni, con cui ha coronato il sogno dell’esordio nella massima serie a soli 15 anni con l’obiettivo di diventare una grande playmaker, rimanendo con i piedi per terra e continuando nella sua crescita, sugli insegnamenti che i suoi allenatori le hanno sempre insegnato e che l’hanno portata fino a questo punto.

Che emozioni hai provato nell’esordire in Serie A?
“Sicuramente un’emozione fortissima. L’esordio è stata la realizzazione di un sogno che coltivo da quando ho 6 anni ed ho iniziato a giocare a basket. E’ come raggiungere l’arrivo alla fine di un percorso fatto di tanto sudore e tanta fatica e questo è molto gratificante. Nonostante tutte queste emozioni però, una volta che sono entrata in campo, ho scaricato la tensione e mi sono concentrata solo sul gioco e per fortuna è andato tutto bene”.

Quando nasce la tua passione per la pallacanestro?
“Quando ero piccolina dovevo scegliere uno sport e nella scuola a cui andavo c’era, tra le varie attività, il basket. Mi sono detta “proviamo e vediamo come va” ed è stata una scelta perfetta, direi. Sono 9 anni che gioco e ciò che più amo di questo sport è il sacrificio che ci devi mettere ogni volta che giochi, che sia allenamento o partita, e per arrivare in alto questa è una cosa fondamentale. A ciò aggiungo che parliamo di uno sport di squadra dove serve l’aiuto di tutti, ci vuole grande spirito di lavoro ed unione per raggiungere i risultati, perché anche se sei un grande campione ma non ti sacrifichi per la squadra non ottieni nulla”.

Tu sei cresciuta giocando in mezzo a tanti maschi, com’è stata come esperienza?
“Ho fatto tutto il minibasket e fino all’under 13 compresa a giocare con i maschi e devo dire che per me è stata un’esperienza bellissima. Quando sei piccolina gli allenatori ti trattano come la loro principessa e questo a me faceva molto piacere, a volte ero anche diciamo tutelata e i compagni maschi erano un po’ invidiosi. Ho avuto la fortuna di crescere giocando con bambini che erano miei amici anche al di fuori dello sport e quindi ho sempre vissuto in un bel clima ed un bel rapporto di amicizia. Per me è stato un percorso di crescita molto bello”.

Chi sono gli allenatori che ti sono rimasti più nel cuore finora e che hanno contribuito in maniera concreta a portarti dove sei oggi?
“Sicuramente il primo è il Marco Pirovano, che mi ha guidata in tutto il minibasket e mi ha trattato come fossi la sua principessa. Poi c’è stato Davide Cristallo che mi ha aiutato tantissimo nell’anno dell’under 13, quando ho iniziato a giocare realmente un po’ a basket. Infine Damiano di Toma, che ho conosciuto ad un camp. Una bellissima persona che mi ha aiutato molto. Una volta mi ha detto “comunque picchi forte” e io gli ho risposto “sì sì sono bella ma bulldozer”, questo ad 8 anni ed è solo un aneddoto del nostro rapporto”.

Tornando sul discorso Serie A, quanto è ampio ed in cosa il passaggio dai campionati Under a quello Senior?
“E’ un mondo completamente diverso. Io l’anno scorso ero fissa in under 18 e rispetto alla Serie A già solo la fisicità è un qualcosa di totalmente differente. In under ero una di taglia media come altezza, mentre in Serie A mi sono ritrovata ad essere molto piccola. Non cambia solo la struttura fisica di compagne ed avversarie ma anche propri il gioco in sé. Non è più un giocare d’istinto, ma c’è molta più logica dietro ogni azione che si fa. Ci vuole concentrazione massima su ogni palla, non ti puoi permettere di giocare con leggerezza. Cambia molto anche la velocità di gioco, la lettura delle azioni, devi fare il passaggio con il timing giusto, tirare nel momento corretto, perché basta un attimo e rischi di perdere la palla o il vantaggio in Serie A. A questo si aggiunge ovviamente la mole di lavoro settimanale a livello di allenamenti, molto più importante rispetto a prima”.

Un sogno lo hai raggiunto, qual è il tuo prossimo obiettivo e cosa devi fare secondo te per continuare su questa strada?
“Non devo montarmi la testa. Questo deve essere solo l’inizio della mia carriera che mi auguro mi porti a giocare con continuità e con un ruolo da titolare in Serie A e poi chissà, mi piacerebbe molto giocare in Eurolega”.

Alessandro Burin

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