Il calcio per passione ma anche per lavoro e per renderlo tale ci vuole impegno, dedizione, studio e tanta voglia di sacrificarsi. Questa è la storia di Mauro Apone, un ragazzo della provincia di Varese sbarcato ormai da sette anni nel mondo del Monza del pre e dell’odierno patron Silvio Berlusconi per fare ciò che ama e per cui si è speso tanto: il preparatore atletico.
La capacità di ritagliarsi un ruolo importante in un mondo del genere, pur non essendo giocatore, richiede ancora maggior competenza che del solo talento che spesso aiuta grandemente. Mauro ci ha messo tutto questo, rimanendo comunque legato ad un territorio che lo ha cresciuto e nel quale ha imparato ad amare il calcio. E’ una storia d’amore nata a 6 anni, proseguita nel mito di Ferguson e Wenger e sbocciata in quello che fa oggi.

Quando nasce il tuo amore per il calcio?
“Nasce da quando ero piccolino. Mio papà è sempre stato un grande appassionato ed ha trasmesso questa passione a me e mio fratello che lo abbiamo seguito fin da bambini. Ho iniziato a giocare a 6 anni alla Cedratese, spostandomi poi alla Gallaratese ed infine a Vanzaghello fino a 22 anni quando ho smesso perché ho iniziato a fare il preparatore atletico a Monza”.

Oltre che giocatore tu sei stato anche allenatore però
“Sì, ho iniziato quando avevo 16 anni all’Union Villa Cassano. Sinceramente non so cosa mi abbia spinto ad allenare, però è un qualcosa che mi aveva sempre affascinato. Sono partito come aiutante dei piccolini e dopo un paio d’anni ho avuto la mia squadra, sempre a livello di Pulcini. Ciò mi ha portato ad innamorarmi sempre di più dell’essere allenatore, tant’è che lo preferivo rispetto anche al giocare. E’ stato un percorso che mi ha portato anche a scegliere Scienze Motorie all’Università per cercare di costruirmi una figura professionale in questo mondo ed è andata bene”.

Come si gestisce il rapporto allenatore-giocatore quando si è entrambe le cose contemporaneamente?
“E’ sicuramente particolare e diverso. Allenando i bambini, l’approccio era diverso, molto più ludico e si cerca di fare loro apprendere il più possibile per farli crescere al meglio. Quando giocavo a Vanzaghello ogni tanto veniva di intromettermi, sempre con grande rispetto del mister e dei ruoli, in quelle che erano le scelte della mia squadra perché questo aspetto mi incuriosiva sempre più. Ho sempre ammirato la gestione manageriale che c’è nel calcio inglese, la figura dell’allenatore che gestisce non solo l’aspetto di campo ma ciò che c’è dietro la crescita del professionista e della persona”.

Eri forte come giocatore?
“No. Ero un terzino sinistro di quelli tutta corsa e piede sufficiente per la Prima Categoria”.

Prima hai parlato del tuo amore per la Premier League. C’era un allenatore che è stato il tuo esempio, quello che ammiravi maggiormente?
“Sicuramente Ferguson è stato quello che mi ha più ispirato. Anche Wenger era uno dei miei preferiti, più che come allenatore nel senso stretto del termine, come gestore. Mi ha sempre affascinato il fatto che sia rimasto tanti anni in una sola squadra, cosa che in Italia è rara”.

Nel tuo piccolo invece, chi è stato qui il tuo allenatore che ti ha fatto venire voglia di continuare a lavorare in questo mondo una volta appese le scarpe al chiodo?
“E’ stato l’allenatore che mi ha spinto ad iniziare ad allenare a Cassano Magnago, ovvero Nicola Gagliardi. Adesso non allena più, però è bravissimo nel rapporto con i bambini, in quello con i genitori e nell’allenamento in sé. E’ stato il mio riferimento all’inizio. Un’estate gli dissi che avrei voluto provare ad allenare, mi chiamò come suo assistente e chiaramente sono rimasto molto legato a lui”.

La tua carriera però ha preso una piega decisa, ovvero quella di preparatore atletico al Monza ormai da sette anni. Mi racconti l’ingresso in questa realtà in un momento comunque complicato?
“Sono arrivato al Monza dopo il fallimento che aveva fatto scendere la squadra dalla serie C alla D. Il tutto è arrivato in maniera improvvisa, portandomi così dall’allenare i Pulcini all’essere preparatore atletico di una squadra di Serie D. Il primo anno è stato abbastanza duro, più per l’aspetto relazionale che per altro. Non ero abituato ad avere a che fare con giocatori grandi, la cui gestione è diversa rispetto ai bambini o ragazzini. Mi è servito molto per capire come comportarmi, come poter stare in quell’ambiente. Non ero il primo preparatore, ne affiancavo un altro e ciò mi ha fatto crescere anche al di fuori del campo”.

Poi però tu e il Monza siete cresciuti assieme negli anni..
“Sì è stato inaspettato. Non si aspettava nessuno l’arrivo di Berlusconi a Monza anche perché è stato tenuto ben nascosto in società. Con lui è inutile dire che sia cambiato tutto, sia dal punto di vista economico che di visibilità. Sono cambiate le strutture, l’organizzazione, gli spettatori, tutto. E’ stato un passaggio incredibile. Negli anni sono passato dall’essere aiuto preparatore a preparatore della prima squadra e questo lavorare in tanti ambiti della mia professione mi ha consentito di ampliare le mie conoscenze e la fiducia in me stesso e nelle mie capacità”.

Ora che ruolo occupi?
“Sono coordinatore di tutti i preparatori del Settore Giovanile del Monza. L’anno scorso ho fatto il primo preparatore in Primavera e anche questo mi ha aiutato a capire come lavorare nel Settore Giovanile. Ora ho cominciato questa nuova esperienza, in un ruolo nuovo per me. Sta andando tutto abbastanza bene e spero continui così”.

Mi racconti un po’ della coppia Balotelli-Boateng al Monza?
“Li ho vissuti poco, devo dire, però sono due bravi ragazzi. Insieme magari sono un po’ particolari, ma presi singolarmente sono eccellenti, rispettosi dei ruoli e grandi lavoratori”.

Adesso bazzichi anche per l’Union Villa Cassano, visto che le due società sono affiliate. Com’è tornare a casa in questa veste di uomo del Monza? I bambini come ti vedono?
“E’ diverso rispetto a prima. Diciamo che prima dovevo alzare un po’ più la voce per farmi ascoltare, ora meno. Quando Cassano e Monza si sono affiliate, Gigi Buraschi ha chiesto di tornare a me e a Marco Esposito per allenare le giovani leve. Per me è stato un piacere innanzitutto per le persone che ci sono a Cassano, con cui mi sono sempre trovato bene. E’ bello vedere gli occhi con cui ti guardano i bambini, chiedono del Monza e tutto questo ti gratifica”.

Alessandro Burin

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