Emozionante. Sorprendente. Incredibile”. Sono queste le parole con cui Vito Romaniello commenta la serata per celebrare i 75 anni dell’USSI (Unione Stampa Sportiva Italiana, ndr), andata in scena nella suggestiva cornice offerta dalla nave da crociera MSC Seaview ancorata al porto di Genova, che lo ha visto ricevere il premio “Racconto dello Sport” direttamente dalle mani di Marcello Lippi.

Un premio, una garanzia, un nome che calza a pennello perché è difficile trovare qualcuno che sappia raccontare lo sport meglio di Vito Romaniello. Il “nostro” Vito ama vivere ciò che racconta e la sua travolgente passione non può che risultare contagiosa alle orecchie di chi lo ascolta: storie di calcio e di vita, più simili e vicine di quanto si possa pensare. Ce ne siamo resi conto lo scorso anno quando, nelle innumerevoli trasferte vissute insieme per seguire il Città di Varese sui campi di Serie D, abbiamo trascorso insieme ore ed ore a parlare di qualsiasi argomento; ma il calcio, o lo sport in generale, era sempre lì, a fare da collante, da sfondo, da protagonista attivo dei nostri racconti. Il ricordo, ad esempio, va alla trasferta di Vado Ligure con tappa in mattinata a Genova per incontrare Michele Sbravati (responsabile del settore giovanile rossoblù, ndr) e Carlo Taldo, indimenticato bomber del Varese negli anni ’90.

Il prestigioso riconoscimento da parte dell’USSI non può che gratificarlo e certificare la qualità professionale della sua lunga carriera. Ed è proprio Vito a raccontarcelo, a modo suo, tra una battuta e l’altra, a cominciare dal fatto che per una volta passa dall’intervistatore all’intervistato. Non cambia, però, la sostanza: è un altro capitolo della sua vita da raccontare.

Vito, innanzitutto congratulazioni; ci racconti com’è andata la serata?
“Appena salito a bordo della nave mi è sembrato di entrare a far parte di un film, una sensazione davvero unica e irripetibile. Già dalla sera prima è stato bello ritrovarsi a tavola con i colleghi, tra cui il Presidente USSI Gianfranco Coppola e il presidente del Gruppo Ligure Giornalisti Sportivi Michele Corti. Mi ha fatto un enorme piacere partecipare al compleanno dell’USSI in compagnia di chi ha scritto pagine importanti per lo sport italiano, tra cui l’allenatore dell’Italvolley Fefé De Giorgi e, soprattutto, ricevere il premio da Marcello Lippi. Proprio con lui ho avuto un bello scambio di battute, perché la sua Italia del 2006 incarna lo spirito di ciò che amo raccontare: quando parlo a Lippi di Grosso io ricordo il ragazzo che giocava al Chieti, quando faccio riferimento a Iaquinta mi viene in mente il giovane attaccante di Castel di Sangro… personaggi che sono partiti dalla Serie C per salire sul tetto del mondo”.

Cosa significa per te questo premio?
“Un bel riconoscimento perché lo sport deve essere proprio questo: un racconto. Purtroppo molti nostri colleghi fanno a gara a chi riceve più like, mentre io preferisco dare un taglio diverso al lavoro: voglio tirar fuori emozioni, sensazioni e ricordi. È quello che mi è successo in prima persona dopo il Covid perché mi sono riavvicinato con gioia allo sport: l’aver sentito la frase “è rinato Vito, è rinato il calcio a Varese” mi ha dato la voglia di ritornare alle origini. Io credo che nella professione del giornalista sportivo ci sia una piccola magia perché in primis c’è poca invidia tra colleghi. Anzi, da giornalista locale hai lo spirito di fare le trasferte in gruppo, quasi con una penna da tifoso. A livello nazionale puoi sfruttarle per ritrovare amici che vivono lontano. E tutto questo è legato ad una partita di pallone, un momento di gioia e condivisione. È ovvio, infine, che il premio sia una bella soddisfazione personale: lo reputo un riconoscimento per quello che ho fatto, al punto che sono stato presentato non solo come caporeddatore di LaPresse, ma anche e soprattutto come telecronista e autore di sei libri e 38 almanacchi di calcio tutti orientati all’unico scopo di scoprire oggi i campioni di domani”.

C’è qualcuno a cui vuoi dedicarlo?
“La dedica va a mia moglie Daniela. Mi ha sempre sostenuto, nonostante le mille difficoltà: ho iniziato a fare questo lavoro dal 1984 e, anche negli ultimi anni, non sono mancati investimenti pesanti per l’attrezzatura necessaria alle riprese video. Lei è sempre stata al mio fianco e lo ha fatto anche a Genova l’altra sera”.

Dopo la premiazione, riguardando anche le tappe della tua carriera, quale ritieni essere la somma del tuo percorso?
“Il pallone che rotola sempre e ancora. Il post di Simone Zaza, da buon lucano come me, che mi augurava pronta guarigione appena uscito dal coma ha scatenato tanti altri messaggi dal mondo del calcio… il calcio è nelle ossa, il calcio si tira al destino, il calcio è fatto di 90 minuti che possono diventare indimenticabili e sconvolgenti. La vita è come un campionato in cui alla fine tutto torna: io stesso sto ripartendo dalle origini e vado in giro a cercare storie. Il calcio è trovarsi davanti all’avversario e sfidarlo, esattamente ciò che ho fatto in quel letto di ospedale: probabilmente se non avessi avuto la cultura sportiva dell’accettare la sfida comunque vada, oggi non sarei qui. Per cui, se mi chiedi la summa di tutto questo, ti rispondo 90: la paura non fa più 90, perché 90 sono i minuti di una partita in cui sei padrone del tuo destino e, dulcis in fundo, il mio prossimo libro parlerà dei 90 anni della Serie A”.

A proposito, come procede il viaggio di Italia Foodball Club?
“Spero che il mio prossimo libro, Fattore Campo, possa uscire il prima possibile. Il nome si spiega da sé: quando giochi in casa c’è il fattore campo, il fattore è anche colui che coltiva i campi da cui nascono i prodotti unici della nostra Italia, il campo è dove giocano i bambini che sognano di fare i calciatori. In questo lungo, impegnativo e fantastico viaggio racconto le 137 città che hanno vissuto la Serie A e la Serie B, partendo proprio dalle origini della terra. Cibo e calcio sono sinonimo di convivialità e l’uscita del libro sarà un bel pretesto per riprendere a girare nelle regioni. Spero, infine, che con LaPresse questo libro possa ben presto diventare un format televisivo”.

Concludiamo con una riflessione: qual è il livello giornalistico italiano?
“Credo sia più che altro una questione di mestiere: abbiamo perso la capacità e l’umiltà nell’approccio alla professione. La conferma l’ho avuta dall’incontro inaugurale del Glocal e da un convegno con i vertici regionali del giornalismo. Sono sincero, non mi piace il nuovo andamento. Oggi tutti pensano al giornalismo del like, si è persa la cultura e la volontà della ricerca della notizia trovando rifugio nella comodità dei social. Se ci fosse un blackout adesso le news sarebbero difficili da trovare perché molti fanno fatica ad andare oltre il Web. Quando ho iniziato a metà degli anni ’80, invece, si cercavano costantemente facendo telefonate su telefonate e uscendo per vivere la realtà quotidiana”.

C’è la possibilità di invertire il trend o sarà sempre peggio?
“Mai rassegnarsi. Bisogna capire i nuovi mezzi e saperli sfruttare nel migliore dei modi. Il futuro è il giornalismo video online? Allora si dovrebbe pensare a cosa filmare, guardandosi intorno per costruire il racconto giornalistico in base a ciò che si vede. Oggi il giornalista tende ad essere provocatore e opinionista, dimenticandosi di essere prima di tutto un cronista”.

Matteo Carraro

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