Lo sport in ogni sua forma e percezione. Lo sport come passione ma anche come via lavorativa. Lo sport in mille e più salse, tutte accomunate da quel sentimento unico, insostituibile, inossidabile che solo lo sport sa dare. Questa è l’essenza della vita di Emanuele Bellini, 24 anni ragazzo di Gallarate, cresciuto con l’amore per il calcio, reso professione con la laurea in fisioterapia ed il conseguente impiego come fisioterapista nella squadra di basket di serie C Silver di Casorate Sempione.

Una passione profonda ed inossidabile per lo sport, che porta Emanuele a fare scelte importanti, sacrifici e sforzi per poter vivere ogni giorno in quel mondo che per lui è sempre coinciso con il sogno.

Come ti sei avvicinato al mondo dello sport e più in particolare del calcio?
“Ero bambino quando ho scoperto il calcio. Mio padre era un grande appassionato, giocava a Pro Evolution Soccer alla playstation, quindi questo sport era la base della mia infanzia. Ho iniziato nella squadra dell’oratorio del mio rione, Madonna in Campagna, prima di fare il grande salto alle medie in una società di alto livello come il Torino Club. Qui ho fatto gli anni più felici, con un bellissimo gruppo, in un’età spensierata in cui credi e speri ancora di poter diventare qualcuno. Sono stati 4 anni intensi passati lì, prima di giocare a Cassano, a Crenna ed infine ad Arnate dove gioco tutt’ora”.

Che giocatore eri al Torino Club e che giocatore sei ora ad Arnate?
“In fase di crescita ho spaziato in tutti i ruoli possibili ed immaginabili prima di trovare la mia posizione odierna di difensore centrale. In maglia granata ho vissuto anni bellissimi, tra i ritiri estivi, la squadra e tutto il contesto. Ad Arnate, ormai dopo 4 anni, mi trovo bene, siamo un bel gruppo affiatato fatto di giovani e vecchi amici. E’ un ambiente fatto sì di passione per il calcio ma anche di bei rapporti umani. Il fatto di andare al campo e trovare veri e propri amici è ciò che mi spinge ancora ad andare avanti a giocare”.

C’è un allenatore negli anni del Torino che ti ha aiutato maggiormente a crescere?
“Sinceramente tutti quelli che ho avuto sono stati a modo loro importanti. Al Torino Club ho vissuto gli anni dalla seconda media alla seconda superiore, forse l’età più difficili da gestire per un mister che un giorno si trova a parlare con dei bambini e quello dopo a rapportarsi con ragazzini terribili. Ora che sono grande capisco davvero quanto sia difficile la gestione di quell’età, però devo dire che per me sono stati anni fondamentali che mi hanno formato calcisticamente ma anche e soprattutto umanamente”.

Qual è l’annata calcistica che più ti è rimasta nel cuore?
“Senza dubbio quella 2013-2014 in maglia granata, quando facemmo più di 100 gol, tant’è che la società ci fece una maglia celebrativa per l’occasione. Siamo arrivati ai playoff del campionato vincendoli. Un’altra annata che mi ha dato grandi soddisfazione è stata quella passata in Juniores alla Crennese, quando abbiamo vinto il campionato provinciale. Arrivavo da un anno difficile a Cassano sia a livello sportivo che personale per il rapporto con i mister e per me quella vittoria fu un vero e proprio riscatto”.

E’ cambiata un po’ negli anni la tua prospettiva di vedere e vivere il calcio?
“In adolescenza avevo sempre l’obiettivo di riuscire a togliermi qualche soddisfazione, di raggiungere il livello più alto possibile. Il vero salto l’ho sentito passando da Cassano a Crenna, dal campionato regionale al provinciale. Erano cambiati il numero degli allenamenti, l’intensità, il livello degli avversari e questo mi ha portato ad adagiarmi un po’. Oggi comunque anche in Seconda Categoria con Arnate sono tra i più competitivi della squadra. Non mi piace mai perdere, sprono sempre i miei compagni, parlo con gli arbitri, vivo a pieno la partita, mentre a volte vedo gente che si sente come un po’ arrivata, diciamo così”.

Oltre al calcio però da poco ha iniziato a far parte della tua vita professionale anche il basket. Com’è nata la tua storia con Casorate come fisioterapista?
“Diciamo un po’ per caso o per fortuna, come spesso si suol dire in questi frangenti. Innanzitutto c’era la mia volontà di base di lavorare nell’ambito sportivo con la mia professione di fisioterapista. La scelta di entrare nel mondo della pallacanestro non è stata mia in prima persona. Mi è stata proposta dalla titolare del posto in cui lavoro che sapeva che la squadra aveva bisogno di un fisioterapista. Ho colto l’occasione al balzo e a posteriori sono veramente felice. Premetto che dopo mesi non so ancora tutto il regolamento, però il fatto di scoprire uno sport a cui non mi ero mai avvicinato è ancor più affascinante del mero lavoro in sé. L’ambiente a Casorate è molto bello, professionale, mi sento bene, amo sentirmi parte di uno staff e vivere il mio lavoro in questo contesto. Il livello è alto, la competitività molto importante, non si vuole perdere e a me stimola molto tutto questo anche per fare sempre meglio nel mio lavoro”.

C’è una sintomatologia particolare che hai incontrato più frequentemente finora?
“Penso che ogni giocatore di basket metta in conto di prendersi almeno una scavigliata in tutta la sua carriera. Poi sicuramente ciò a cui bisogna stare attenti sono le lesioni muscolari che possono verificarsi. C’è un importante lavoro da fare quotidianamente per gestire tutte queste situazioni e cercare di ridurre al minimo gli acciacchi. A tutto questo viene affiancato anche un lavoro di massaggio che aiuta per poi svolgere al meglio l’attività, rilassando il muscolo”.

Alessandro Burin

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