Volti cupi, poche chiacchiere e tanta concentrazione. È cominciata così la settimana del Città di Varese, con i biancorossi che si sono ritrovati sul sintetico delle Bustecche intorno alle ore 16.00 di lunedì. Giornata inusuale per gli allenamenti ma, dopo la sconfitta (nel risultato e nell’animo) di domenica al “Franco Ossola” contro il Pont Donnaz, il presidente Stefano Amirante ha deciso di cancellare il classico day-off: di nuovo in campo, a nemmeno 24h da uno dei ko più brutti della stagione, per preparare la prossima, importantissima, delicatissima e temutissima sfida al Derthona in programma per domenica 27 marzo.
Sì perché se fino a qualche settimana fa il terzo posto sembrava ormai una formalità (al contrario, si mirava alla seconda piazza della Sanremese e il sogno dell’aggancio al Novara non era ancora stato riposto nel cassetto), ora bisogna invece guardarsi indietro. Borgosesia e Derthona stanno arrivando: entrambe a -3, entrambe con una partita da recuperare (granata in campo oggi contro il Ligorna), entrambe con tanto entusiasmo e, soprattutto, senza le pressioni che una piazza come Varese comporta.
A proposito di pressioni. Il Varese festeggia quest’oggi i suoi 112 anni (nella foto a destra il post celebrativo della società) e di sicuro, viste le premesse, ci si poteva aspettare ben altro compleanno; doveroso, a questo punto, reagire proprio domenica contro il Derthona per trasformare quelle smorfie di rabbia in sorrisi degni di portare avanti la gloriosa storia biancorossa. Una storia fatta di traguardi straordinari ma anche, purtroppo, di clamorose debacle e scottanti fallimenti. Il fardello che il Città di Varese si trova a dover portare sulle spalle, nel bene o nel male, rappresenta in toto la storia di una società, di una città, di un popolo biancorosso che ha sempre fame di vittoria.
Sono stati proprio i tifosi a ricordarlo alla squadra al triplice fischio del direttore di gara. Otto punti in otto partite, media da playout, non da playoff (dieci gol fatti a fronte di undici subìti), e se in passato le prestazioni ci sono state, domenica è mancata pure quella. Anche Ezio Rossi, che ha sempre giustamente difeso la sua squadra (e continua a farlo), non ha potuto fare a meno riconoscerlo chiedendo scusa al pubblico: il tecnico non ha puntato il dito contro qualcuno in particolare, portando sul banco degli imputati l’atteggiamento di tutta la squadra.
L’analisi di Rossi è senz’altro corretta e comprensibile (ne siamo certi, le bacchettate individuali saranno senz’altro già arrivate lontane da occhi indiscreti) eppure sono proprio i singoli ad attirare l’attenzione. Sia negli elogi sia nelle critiche. L’esempio più lampante riguarda Kenneth Obinna Mamah (a precisa domanda anche Rossi si è esposto in merito) che nelle ultime uscite è apparso arrugginito e ben distante dal calciatore che aveva incantato tutti nel girone d’andata. Il pubblico non ha risparmiato nemmeno lui, perché Varese è questa: non importa quanto di buono tu abbia fatto, qui a Varese si dà sempre e comunque il massimo. Da qui a volerlo cacciar via, comunque, il passo è un po’ troppo lungo. Un errore lo si può perdonare a Trombini e al pacchetto difensivo che, tra squalifiche e infortuni, sembra aver perso un po’ della sua verve (e i due ingenui rigori concessi al Pont Donnaz lo dimostrano).
Agli under non si possono chiedere gli straordinari; il centrocampo tutto sommato gira (vedi Cantatore, beniamino del pubblico), ma l’elefante nella stanza è senz’altro l’attacco. Detto di Mamah, domenica doveva essere la grande occasione di Minaj: svincolato dal compito di fare la prima punta e con tutta la sua amata fascia a disposizione, l’attaccante classe ’01 aveva il compito di svoltare la partita. Il suo match, invece, si è concluso nell’anonimato a metà ripresa. Visto l’infortunio di Parpinel (e in virtù dei criteri di età imposti dalla LND), Minaj potrebbe avere altre occasioni ma spetta solo a lui scrollarsi di dosso l’etichetta dell’eterno incompiuto.
Che l’amore fra Di Renzo e i tifosi biancorossi non sia mai sbocciato non è un mistero. L’attaccante classe ’90 doveva portare a Masnago gol ed esperienza: le cinque reti messe a referto (una su rigore), qualche cartellino di troppo e prestazioni troppo spesso al di sotto della sufficienza non ripagano al momento quanto promesso. L’impegno c’è, sta mancando il riscontro. Come per Mamah, però, vale il discorso inverso: basterà inanellare un filotto di ottime partite e spedire il pallone in fondo al sacco quante più volte possibili per conquistare il pubblico e dimenticare la stagione vissuta fin qui. Lo stesso vale per Cappai, giustificato in parte dagli infortuni che, di fatto, non gli hanno tutt’ora permesso di raggiungere una condizione ottimale. Piraccini (anche lui bacchettato nel suo momento di flessione) rappresenta una garanzia mentre Pastore, al netto di un paio di uscite a vuoto, ha dimostrato di poter sempre scaldare i tifosi con la sua grinta e determinazione.
Fin qui abbiamo parlato di ingredienti. Toccherà ora al Città di Varese (da mister Rossi ai giocatori passando anche per la dirigenza) amalgamarli nel migliore dei modi per trovare la ricetta perfetta. In questo senso il processo di “ristrutturazione” (termine improprio, ma utile a far capire il concetto) è cominciato proprio ieri: riscaldamento, seduta di scarico per chi aveva giocato domenica, calcio-tennis per gli altri, lavoro a parte per i portieri e partitella finale sui trenta metri. Una sessione di allenamento defaticante condizionata da un umore ben lontano rispetto a quello percepito fino a qualche mese fa: la rabbia, però, rappresenta un sentimento positivo che i giocatori dovranno essere bravi a convertire nel migliore dei modi sul campo domenica prossima. Nel mezzo, una settimana di lavoro quotidiano che riprenderà oggi alle ore 15.00: nel giorno del compleanno del Varese, i biancorossi dovranno cominciare a costruire le basi per un finale di stagione da ricordare.
Matteo Carraro