Se ci basassimo solamente sui freddi numeri, questo articolo non avrebbe motivo di esistere. Perché parlare di un calciatore che nella sua brevissima esperienza all’ombra del Sacro Monte non ha collezionato alcuna presenza? Il motivo risiede nell’essenza stessa del calcio. Proprio perché questo sport non si compone unicamente di statistiche e record, vale la pena parlare di Edenilson Bergonsi. La storia di questo mediano sconosciuto ai più e probabilmente dimenticato anche dai tifosi più attenti, rappresenta infatti quanto la velocità d’azione abbia assunto un ruolo di primaria importanza nell’universo pallonaro.

Edenilson Bergonsi nasce il 13 settembre 1987 a Carlos Barbosa (Rio Grande Do Sul), comune brasiliano di forte matrice italiana fondato da emigrati nella seconda metà dell’800. Con quel cognome e quelle origini, l’Italia non può che essere nel suo destino. Da ragazzino entra nelle giovanili del prestigioso Gremio di Porto Alegre, prima di iniziare un lungo via vai che lo porterà a diventare un nomade del pallone. In soli due anni, dal 2007 al 2009, cambia casacca quattro volte prima di accasarsi alla Juventude.

Qui colleziona tre presenze in Serie C e undici nel Campionato Gaúcho ed è con queste premesse che arriva l’interesse del Varese, neopromosso in Serie B nell’estate 2010: una chiamata che può svoltare la sua carriera. Presente al raduno stagionale e aggregato in prima squadra, Edenilson deve ridimensionare in fretta le proprie aspettative. Mister Sannino non lo vede, mentre Devis Mangia lo terrà in considerazione per la sua Primavera in sole tre occasioni, nelle quali riesce a rimediare un cartellino giallo. Nell’anonimato generale durante la finestra di mercato invernale del 2011 viene ceduto al Brussels (seconda divisione belga) e qui riesce a riesce a trovare lo spazio che Varese gli ha negato.

Le undici presenze collezionate condite da due gol e due assist gli valgono una seconda chance da non sbagliare: lo Standard Liegi. In quegli anni la squadra della Vallonia è tra le più quotate in Belgio, nonché una presenza fissa nelle competizioni europee. La possibilità concessagli è quindi ghiotta, ma gli spettri del passato recente aleggiano sul brasiliano. Proprio come all’Ossola, il brasiliano non scenderà mai in campo, trascorrendo tutta la stagione 2011-2012 facendo la spola tra panchina e tribuna.

Ormai completamente disilluso, Bergonsi comincia un pellegrinaggio che lo porterà a vestire le maglie di tredici società differenti sparse in otto nazioni, tra cui Bulgaria, Kosovo, Spagna, Cipro, Brasile, nuovamente Italia (brevissime parentesi in Serie D con Luparense e Atletico Fiuggi), Lituania e infine Gibilterra. Oggi Edenilson ha 35 anni ed è svincolato, una condizione questa che ha contraddistinto la sua carriera. Sempre alla ricerca di un contratto, anche in capo al mondo pur di giocare o, almeno, per avere l’opportunità di provarci. Una storia la sua che mette in luce un aspetto talvolta trascurato: l’effimerità del calcio.

Con un’immediatezza ormai divenuta abitudinaria metabolizziamo repentini cambi d’allenatore, rose rivoluzionate da un mercato all’altro, fallimenti e mancate iscrizioni nei vari campionati nazionali e regionali. Si rafforza con enfasi l’opinione comune secondo cui “non esistono più bandiere”, e se ci sono, esse rappresentano rare eccezioni. Per i calciatori quindi, specie nel dilettantismo e più nello specifico in tornei quali Serie D ed Eccellenza, la stabilità diventa un concetto relativo.

Rimbalzando da una parte all’altra dello stivale sembrano avere le ore contate dovendo dimostrare in fretta di essere all’altezza della situazione: se per qualcuno la fiamma che arde di passione e volontà rimane vivida nonostante le avversità, per altri il fuoco diventa cenere. Stanchi di inseguire l’isola che non c’è, molti ragazzi staccano la spina nel pieno della loro maturità calcistica e cambiano strada drasticamente. Come successo al varesino Andrea Azzolin, che due anni fa raccontò a VareseSport la sua nuova vita negli Stati Uniti.

In uno scenario come quello descritto (o immaginato?), c’è una squadra che finora ha provato a modificarsi il meno possibile rispetto alla scorsa stagione: il Città di Varese. Confermando mister Porro, condottiero della vittoria ai playoff, e mantenendo in rosa ben quindici effettivi, i biancorossi sono ad oggi una delle società che ha cambiato meno nell’intera Serie D, integrando nuove leve dalla Juniores e puntando sulla varesinità dei componenti, come dimostrato dagli arrivi di Gianluca Piccoli e Filippo Boni.

Se la carriera di Edenilson Bergonsi mette in mostra la provvisorietà del calcio, il Città di Varese risponde con la continuità, dando un deciso segnale tanto ai suoi tifosi quanto al movimento stesso, dimostrando che perseguire la stabilità si può. Questa strategia porterà i frutti sperati? Lo scopriremo a fine stagione, ma almeno per adesso, il messaggio lanciato dai biancorossi passa forte e chiaro.

Dario Primerano

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