Tutti coloro che amano la pallacanestro, in modo particolare quella italiana, sanno perfettamente come una delle compagini più rivoluzionarie di fine anni Novanta siano stati i Roosters Varese. Contro qualsiasi pronostico, come ben sanno gli appassionati di un settore sempre più affidabile grazie a tutti i sistemi di pagamento sicuri disponibili nei casino online, la squadra varesina ha vinto lo scudetto, anche se purtroppo non è nato quel ciclo vincente che tutti, dopo il tricolore della stella, si aspettavano, anche per via di quella scintilla di magia che ben presto, negli anni successivi, si è spenta.

Uno stile all’americana

Nel 1998, la famiglia Bulgheroni decise di cambiare completamente approccio per poter cercare di costruire una nuova identità di squadra. Da qui arriva la scelta di evitare l’inserimento di un main-sponsor sulla maglietta, ottenendo in ogni caso i fondi per poter costruire la squadra tramite un pool di aziende.

Senza il main-sponsor, ecco apparire il logo, in pieno stile Nba. È da queste basi che nascono i Roosters Varese, ovvero i galletti da combattimento. E in effetti, il logo è piuttosto iconico e particolare: si tratta di un galletto, in pieno stile cartoon, che lo spazio sulla maglietta lo riempie quasi del tutto, sia nella parte frontale che sul retro.

Come si può facilmente intuire, all’epoca è stata presa come una novità molto simpatica e divertente, ma vuole anche essere una forte corrente innovativa rispetto alle tradizioni di squadre che, al termine di ogni stagione, vedono cambiare nome per via di un nuovo sponsor. Non è che uno dei tanti motivi per cui quelle magliette sono effettivamente andate a ruba.

Un basket innovativo e un po’ di sana follia

Durante la stagione estiva di basket-mercato del 1998, a Varese i cambiamenti sono tantissimi. Dalla rosa della stagione precedente escono Komazec, Petruska e Casoli e la compagine biancorossa punta forte sull’ala di origini croate Veljko Mrsic, che nella sua bacheca personale di trofei ha pure una Coppa dei Campioni, ma anche un giovanissimo prospetto da svezzare, ovvero il centro sudamericano Daniel Santiago. Riaccoglie Vescovi, che poi si confermerà come uno dei leader sotto tutti i punti di vista del gruppo grazie alla sua esperienza e anche Gek Galanda, in prestito dalla Fortitudo.

Una novità nel panorama cestistico nazionale, visto che Varese, che ora ha un allenatore americano, è una squadra costruita guardando a una carta d’identità molto giovane, con un nucleo di italiani importante e in cui non c’è nemmeno un giocatore USA. Anche in quell’epoca sembrava una vera e propria pazzia non affidarsi nemmeno a un giocatore statunitense.

Eppure, il basket sciorinato sul parquet dalla banda di Recalcati era già più avanti di quello tipico di quell’epoca. Recalcati, infatti, decide di puntare tutto su un gioco che fa della velocità d’esecuzione e della transizione i suoi punti di forza, con tanto contropiede e un uso importante del tiro dalla lunga distanza. D’altro canto, il fatto di avere una rosa particolarmente ricca di giocatori in grado di ricoprire più ruoli e con grande duttilità, come nel caso di Andrea Meneghin, Alessandro De Pol e Mrsic è un grande vantaggio. Recalcati punta tanto su Galanda, che lo ripaga con prestazioni notevoli, anche dal punto di vista balistico, dal momento che il buon Gek chiuderà la stagione con il 46% dall’arco dei tre punti, senza alcuna remora nel prendersi anche tiri importanti, vedasi gara-2 delle finali scudetto a Treviso.

Impossibile non citare anche il vero e proprio leader di quella sana follia che dovrebbe albergare in ogni squadra vincente. Stiamo facendo riferimento inevitabilmente a Gianmarco Pozzecco, che con le sue penetrazioni e i suoi assist spaccava in due non solo le difese avversarie, ma anche le partite.

Redazione

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