Che cos’è la distanza? Ponendo questa domanda su di un qualsiasi motore di ricerca, una delle risposte che vi si può trovare è la seguente: “Lo spazio che separa fra loro due luoghi, due oggetti, due persone”. È interessante la scelta del verbo separare, come se si volesse dare necessariamente un’accezione divisoria o di lontananza alla parola distanza. Offrendo però un’immagine a quei luoghi, quegli oggetti e quelle persone cui si fa riferimento nella definizione, è possibile accorgersi della forza insita nel suo esatto contrario: non più separazione, bensì connessione. Varese e Torino, ed in particolare il Varese Calcio e il Grande Torino, riescono a trovare un legame unico grazie alle figure indimenticabili di Franco Ossola e Pietro Maroso. Destini incrociati, seppur differenti, di due uomini divenuti eroi l’uno nella città dell’altro.  

Franco Ossola nacque il 23 agosto 1921, inevitabilmente a Varese. Già, perché quello è un cognome tipico in città e lo conoscono bene tanto gli appassionati di calcio quanto quelli di pallacanestro, grazie alle memorabili gesta dei suoi fratelli consanguinei Luigi e Aldo. Entrato molto presto nelle giovanili dei biancorossi, venne notato ancora minorenne dall’allenatore dell’epoca Antonio Janni, che si accorse in fretta delle sue qualità offensive, decidendo di proporlo subito al Torino, del quale era stato una bandiera negli anni precedenti. Nel 1939 passò quindi in granata, diventando di fatto il primo grande acquisto del presidente Ferruccio Novo e divenendo uno dei perni su cui poggiava la squadra che dominò la scena in Italia negli anni ’40.

A lui seguiranno gli arrivi di assoluti fenomeni quali Valentino Mazzola, Ezio Loik, Guglielmo Gabetto e un ragazzo che, come Ossola, entrò in prima squadra giovanissimo. Stiamo parlando di Virgilio Maroso, annoverato tra i migliori terzini della storia calcistica italiana nonostante la sua carriera sia durata appena cinque stagioni. Promosso in rosa nel ’45, divenne subito protagonista in quel Grande Torino che fece incetta di campionati e record, arrendendosi solo a una sorte avversa e crudele.

Il 4 maggio 1949 l’areo su cui viaggiavano i granata di ritorno da Lisbona (dove avevano disputato un’amichevole contro il Benfica) si schiantò nella nebbia contro il muraglione del terrapieno della Basilica di Superga: l’Italia pianse la tragica scomparsa della squadra che impressionò il mondo, talmente forte da decidere in totale autonomia quale fosse il momento giusto durante le partite per rimboccarsi le maniche e regalare agli spettatori il famigerato “Quarto d’ora granata”.

Quel giorno Pietro Maroso perse il fratello Virgilio e con lui la squadra che aveva ammirato fino ad allora, vedendo svanire in un attimo il sogno di poter giocare in quella fucina di campioni. Nato a Torino il 16 giugno 1934, il “Peo” farà il percorso inverso rispetto a Franco Ossola, diventando tout court uno dei simboli più acclamati del Varese Calcio. Giocatore prima, allenatore poi e infine dirigente: con Maroso il Varese ha vissuto molti dei suoi momenti più significativi e brillanti. Difensore titolare durante gli anni della prima promozione in Serie A, visse in prima persona giornate leggendarie, come quel roboante 5-0 rifilato alla Juventus il 4 febbraio 1968. In panchina guidò la squadra per un totale di nove stagioni, riuscendo a trionfare nel campionato di Serie B ’73-’74 e vincendo un campionato di Serie C2 nel 1990, ad appena due anni dal primo fallimento societario. Dopo aver chiuso l’esperienza da allenatore, dedicò anima e corpo al Varese entrando in dirigenza e divenendo presidente onorario, trasmettendo un senso di varesinità probabilmente irripetibile. Ci lasciò dieci anni fa esatti, il 16 settembre 2012, lasciando un vuoto incolmabile nei cuori biancorossi ma un ricordo indelebile delle sue imprese.

Franco Ossola e Pietro Maroso: così lontani, così vicini. Due storie diverse accomunate dai colori granata e biancorosso, le maglie cucite addosso a due veri Campioni. La città di Varese ha sempre riconosciuto e celebrato la loro importanza consacrandoli per sempre nell’élite calcistica varesina: a Franco Ossola è intitolato lo stadio, a Pietro Maroso la curva nord. Storie e valori da conservare nel tempo, un vero e proprio culto sportivo da tramandare alle generazioni future.

Dario Primerano

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