Essere varesino, nascere e crescere nel segno della Robur et Fides, tifando la Pallacanestro Varese. Due cuori e una capanna, verrebbe da dire, che si sono riuniti sotto un unico grande segno, quello della Varese Basketball, di cui è interprete e protagonista principale.

Si potrebbe riassumere così la vita cestistica e professionale di coach Gabriele Donati, allenatore del Campus, squadra che milita nel campionato di Serie B e che racconta ambizioni e prospettive dell’anno zero di questo nuovo grande progetto, capace di unire le due realtà storiche cestistiche della Città Giardino, di cui lui ha sempre fatto parte, come giocatore e tifoso prima e come allenatore poi.

Come lo definirebbe questo anno nuovo in tutto e per tutto?
“Sicuramente lo definirei un po’ come un anno zero. L’anno scorso, che doveva essere il vero anno di partenza, è stata un’annata molto positiva dove abbiamo fatto bene, mentre quest’anno poi le cose sono cambiate in maniera radicale e quindi di conseguenza possiamo definirlo come lo start di un progetto ambizioso che ha bisogno di tempo per essere attuato e per riuscire ad essere efficace. Le idee e i traguardi che questo progetto si pone sono molto interessanti, chiaro poi che a realtà che viviamo in questo momento fa più fatica ad accettare i cambiamenti radicali. Ci vorranno tempo e pazienza ma è un percorso davvero stimolante”.

Un anno zero per lei che ormai è un veterano del mondo Robur Et Fides..
“Sì ormai penso mi si possa definire tale. Io ho iniziato a giocare qui dal minibasket fino agli ultimi anni del settore giovanile, poi al momento del salto nel basket senior la Serie B di allora era per me un campionato fuori categoria, quindi mi sono spostato a fare altre esperienze, prima di iniziare il percorso di allenatore qui in Robur ormai una decina di anni fa. Ho iniziato dal basso, scalando le categorie, arrivando fino allo scorso anno in Serie B. La Robur Et Fides per me è sempre stata una seconda casa”.

Per una persona che è nata e cresciuta nel mondo gialloblu, com’è oggi trovarsi uniti a quella Pallacanestro Varese che è da sempre stata realtà “rivale”?
“Devo dire che io questa rivalità non l’ho mai sentita più di tanto, anche perché io sono sempre stato un grandissimo tifoso della Pallacanestro Varese, abbonato dall’anno prima della Stella e fino all’ultimo di Caja pre Covid.. E’ chiaro che poi, con il passare degli anni, il tifo è venuto un po’ calando perché allenando diventi il primo tifoso della squadra che guidi in panchina, però devo dire che non ho mai visto la Pallacanestro Varese come una rivale. Per qualcun altro può non essere così, però io devo dire che nemmeno in campo a livello giovanile abbia mai sentito questa rivalità. Io penso che per due realtà così importanti non solo per il basket locale, l’essersi uniti e lavorare a braccetto sia un passaggio fondamentale di un percorso che va valutato in ogni suo singolo sviluppo con molta attenzione e cura. Siamo partiti con il piede giusto, con tanto entusiasmo e voglia di fare, chiaramente poi ognuno cercherà di uscire dalla propria comfort zone per andare incontro alle richieste della società”.

Passando alla Serie B, quest’anno l’idea di gruppo è stata stravolta: tanti giovani, due soli senior e l’obiettivo che dai risultati si sposta alla crescita dei singoli. Come e se è cambiata la sua metodologia di lavoro in funzione di questa nuova impostazione, tecnica e di progresso?
“La crescita individuale è l’obiettivo principale del nostro gruppo, poi però è sempre il campo alla fine che ti dà una valutazione di quello che fai. Rispetto all’anno passato dove avevamo 7/8 senior e i giovani erano ragazzi abituati ad affrontare la categoria o comunque a stare in un contesto di squadra senior, come Librizzi e Virginio che sono stati due investimenti fatti principalmente da me e che si sono poi affermati a livelli più alti con i loro pregi e difetti, quest’anno invece si è deciso di costruire una squadra dove tutti questi aspetti venivano meno. Dei 14 giocatori che compongono il roster, tolti Trentini, Allegretti, Sorrentino e Macchi, tutti gli altri 10 sono completamente nuovi non solo alla categoria ma al mondo senior. Quello che ho chiesto ai ragazzi è di adattarsi al campionato nel minor tempo possibile. Diciamo che piano piano ci stiamo riuscendo, i risultati non sono arrivati ancora, abbiamo un po’ di recriminazioni per le due gare casalinghe ma la strada potrebbe essere quella giusta. Passando alla metodologia di lavoro, sicuramente è cambiata, si lavora meno a livello tattico e più tecnico, è chiaro che cambiano tante cose quando passi da un anno dove non devi retrocedere ad uno in cui, senza retrocessioni, puoi concentrarti su altri fattori. La pressione del risultato deve sempre esserci perché se no viene meno l’essenza stessa dell’agonismo sano, però ecco, lo si fa con meno pressioni che in questo momento per il nostro contesto potrebbero essere solo deleterie”.

Lei ha citato i senior che compongono la squadra, quanto è importante l’apporto di Allegretti e Trentini?
“Marco è un ragazzo, prima che un giocatore, squisito, con dei valori. Ha tanto da raccontare, da dire e forse qualche volta dovrebbe imporsi di più, sia in campo che fuori e penso possa essere un grande esempio per i ragazzi. E’ la roccia a cui ci aggrappiamo quando abbiamo dei problemi. I ragazzi si sono mostrati subito disponibili ad ascoltarlo ed è la persona giusta al posto giusto. Trentini è un finto senior, perché nelle altre squadre i 2001 fanno gli under mentre qui è un senior a tutti gli effetti. Ha una voglia e una fame diverse da quelle di Marco, è diametralmente opposto. Sprizza energia ed ha una voglia di arrivare altissima, sta bene in un gruppo dove si figura come il giusto raccordo tra Marco e i ragazzi più giovani”.

Tra le tante qualità su cui questo gruppo deve migliorare una sembra però chiara: ovvero la sfacciataggine con cui affrontate le partite. Può essere questo un primo punto di forza del gruppo?
“In questo momento io penso che la sfacciataggine mostrata nel pre campionato un pochino ci sta mancando. Vuoi perché non siamo ancora riusciti a sbloccarci, vuoi perché ci siamo confrontati su campi e con avversari di altissimo livello, soprattutto in trasferta, come Vigevano e Livorno, che un po’ ridimensionano ogni tipo di avversario una volta che passa dal loro parquet. Noi cerchiamo di giocare a mente libera, senza paura di sbagliare, facendo le cose che abbiamo preparato in allenamento. Poi quando vai a giocare contro campioni affermati, in ambienti di un certo tipo, caldi, abituati alla categoria, con situazioni tattiche di un certo tipo che ti mettono in difficoltà, minano un po’ le sicurezze che abbiamo e la voglia di affermarci e su questo dobbiamo fare un salto in avanti. Nessuno ci deve distogliere da quello che deve essere il nostro obiettivo. Ci manca qualcosina per essere competitivi nei 40’. Abbiamo grandi picchi sia positivi che negativi, com’è normale per una squadra così giovane, ma dobbiamo essere bravi a cercare di equilibrare e regolare questi momenti”.

Che obiettivo si pone di raggiungere in questa stagione?
“E’ chiaro che il primo obiettivo quest’anno deve essere la crescita e la formazione di quanti più giocatori possano poi essere pronti a diventare protagonisti in un campionato di livello come la B o altre categorie senior. Il mio primo grande obiettivo è vedere giocatori, come lo scorso anno Librizzi e Virginio, che vengono chiamati in Serie A per giocare tanti minuti importanti. Quello ti fa capire di aver lavorato bene. Per i risultati poi, ho imparato, soprattutto dall’anno scorso, che bisogna vivere molto alla giornata, affrontare partita per partita senza guardarsi ne indietro ne avanti ma tracciando un bilancio finale, cercando di capire se quanto fatto sia stato fatto bene o meno”.

Alessandro Burin
(Foto di Camilla Bettoni)

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