La mia banda suona il rock e tutto il resto all’occorrenza, sappiamo bene che da noi fare tutto è un’esigenza“. Cantava così Ivano Fossati nel 1979 ed è quantomeno particolare e suggestivo leggerci un abbinamento quanto mai vicino e corretto con la Pallacanestro Varese di oggi.

Si perché se quelle prime strofe le cantasse oggi coach Matt Brase, al di là di come possa essere la sua intonazione, non ci sarebbe nulla di male. La vittoria della Pallacanestro Varese, autorevole ed autoritaria, su un campo difficile come quello della Givova Scafati, ha messo ancor di più in luce una caratteristica che la squadra biancorossa aveva iniziato a mostrare in maniera forte dalla trasferta di Reggio Emilia, ovvero la capacità di sapersi adeguare e calare al meglio nel contesto tattico e di gioco che si viene a creare, per poi prendere le redini di ritmo e intensità e condurre le danze come meglio crede.

Danze che suonano ad un ritmo rock, appunto, perchè la Openjobmetis è squadra frizzante, che se costretta a giocare a chi ne fa uno più degli altri non si ritrae, ma mette in campo una delle proprie qualità, quella balistica, della ricerca rapida e costante del canestro nei primi secondi dell’azione, dei tantissimi possessi e dell’altissimo numero di conclusioni tentate e visti i 101 punti segnati, anche realizzate. Un rock che diventa hard, nel senso musicale del termine sia chiaro, nelle prestazioni di Markel Brown, giocatore fuori categoria e Caruso, che sentendo l’aria di casa si esalta diventanto vero e proprio totem dei biancorossi ma questa, oggi, non è nemmeno più una notizia.

Tutto il resto poi vien da sè, all’occorrenza. La bravura della squadra di non disunirsi e saper fronteggiare colpo su colpo la grande verve di una Scafati che fa di tutto per non mollare fino all’ultimo ed allora esce il lato operaio di questa Pallacanestro Varese, che si piega sulle gambe e lavora di fino per iniziare a scavare il solco che le permetterà poi di vincere la partita. L’occorrenza di tenere un Colbey Ross sempre più leader in panchina per tanti minuti a cavallo tra primo e secondo quarto per dare maggior consistenza e solidità in fase difensiva con De Nicolao, l’occorrenza, che poi diventa necessità, di trovare in Giancarlo Ferrero quella risorsa preziosa capace di sparigliare le carte in tavola di una Scafati che stava per giocarsi l’all-in decisivo a 7 minuti dalla fine.

L’occorrenza del momento che diventa esigenza per la vittoria, quando Willie Caruso ha tra le mani due triple che sì, sono nel suo repertorio, ma signori, per un lungo che ben poche volte si trova a tirarle, in quel momento, dopo 38′ di garra e stanchezza, segnarle e consegnare la vittoria ai suoi compagni, diventano l’esaltazione della versatilità di cui Arcieri e staff hanno parlato per tutta un’estate. Saper fare tutto e saperlo fare bene, per una squadra che non dà punti di riferimento, che riesce talmente bene a trovare inteprreti sempre diversi all’interno della stessa partita tanto da mascherare una prestazione da 19 in 26 minuti di Jaron Johnson, roba che spesso ti fa prendere il titolo di MVP.

Insomma, una banda che suona il rock, in cui cambiano gli strumenti in mano ai singoli intepreti ma la musica rimane la stessa, una melodia forte, suonata con enfasi, che vive di acuti sempre più frequenti in cui la ritmica è costante, tambureggiante, intensa, coinvolgente, di quelle che riascolti a ripetizione e che ti piace sempre più, come questa Pallacanestro Varese a cui chiediamo, come farebbe Ivano Fossati: “E non fermatevi, per favore no“.

Alessandro Burin

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