Continua il viaggio nel mondo della nuova Varese BasketBall e dopo essere passati dal Responsabile del progetto, Max Ferraiuolo e dal coach della squadra di Serie B, Gabriele Donati, è giunto il momento di andare a scoprire come lavorano nel concreto le squadre giovanili del nuovo settore congiunto Pallacanestro Varese-Robur Et Fides.

Ad aprirci la strada è coach Andrea Triacca che, con i suoi Under 19, impegnati nel campionato d’Eccellenza (girone Interregionale con l’Emilia Romagna), ha appena vissuto l’esperienza della Next Generation Cup LBA, torneo che raggruppa tutte le selezioni giovanili U19 dei club di Lega Basket, in una tappa di Pesaro che ha lasciato ottime indicazioni.

Coach, partiamo proprio dal concentramento di Pesaro. Al di là delle tre sconfitte in altrettante partite, le indicazioni che sono arrivate sembrano più che ottime, concorda?
“Assolutamente sì. Abbiamo giocato un torneo in costante crescendo, soprattutto in termini di continuità di prestazioni nel corso dei 40’. Da quest’anno l’obiettivo è chiarissimo, ovvero non tanto il risultato di squadra quanto quello di crescita dei singoli giocatori. Di conseguenza, una crescita individuale porta ad uno sviluppo anche della squadra. In questo noi partiamo con un gap maggiore rispetto ad altre realtà, perché abbiamo una squadra composta da giocatori che vengono da tante squadre diverse e che vanno amalgamati. Spesso questo ci porta a disunirci perché non siamo ancora una squadra, dobbiamo ancora trovare maggiore unione. Un’esperienza magnifica com’è stata la Next Gen ci serve soprattutto in funzione di questo”.

Come si mette insieme un gruppo composto da ragazzi che fino allo scorso anno avevano vissuto esperienze molto diverse tra loro?
“Da parte loro serve umiltà e sacrificio, da parte mia comunicazione. Parlare tanto, tantissimo con questi ragazzi. Quando sono in campo io voglio più bene a loro dei loro stessi genitori, perché è come affrontare ogni giorno una sfida diversa all’interno di un viaggio da fare tutt’insieme”.

Ha parlato della crescita individuale come obiettivo globale di quest’anno di lavoro. Ad inizio anno si è posto un risultato da voler raggiungere nello specifico?
“Singolarmente ci sono diverse individualità che sanno dove devono migliorare. Faccio un esempio, Kouassi sa che deve migliorare nella protezione del ferro e come lui, ognuno ha la sua strada da seguire. In relazione a questo è troppo importante il lavoro di fondamentali che stiamo facendo da inizio anno per andare ad accrescere ogni giocatore e colmare quelli che oggi possono essere dei loro punti deboli. Se poi si pensa che ad esempio proprio Kouassi ha modo di lavorare individualmente con Luis (Scola), beh si può capire tanto dell’impostazione di crescita individuale che possono avere questi ragazzi”.

In che cosa il nuovo progetto Varese BasketBall si differenzia dagli altri nel lavoro sul settore giovanile, in cosa consiste nel concreto quel player development che ci è stato raccontato fino ad oggi?
“Due anni fa qui c’era la concezione di squadra, mentre quest’anno l’impatto avuto è stato molto forte e totalmente differente, tant’è che anche io ho dovuto rivedere il mio modo di allenare. Player development vuol dire puntare tantissimo sul lavoro individuale del singolo in settimana. Noi facciamo, su quattro/cinque allenamenti settimanali, due solo di individuale, lavorando sui fondamentali”.

Più i ragazzi crescono solitamente meno hanno voglia di lavorare su palleggio, passaggio, tiro, preferiscono giocare durante gli allenamenti. Lei riscontra questo o li vede molto coinvolti invece?
“Li vedo molto coinvolti. Tutto parte da quest’estate, quando i ragazzi sono arrivati con grandissimo entusiasmo, contentissimi di poter lavorare insieme. Questo ha reso tutto più facile, poi è chiaro ci vogliono umiltà e sacrificio per fare la differenza. Loro sanno perfettamente, tramite i messaggi che tutti gli fanno arrivare ogni giorno, che il lavoro sui fondamentali è fondamentale, scusate il gioco di parole. Questo vale non solo in riferimento alla tecnica cestistica ma anche al lavoro con gli attrezzi che si fa in palestra per sviluppare il proprio fisico. La tappa di Next Gen in questo senso ci ha dato un ulteriore target di riferimento da cercare di raggiungere, perché abbiamo incontrato dei veri e propri colossi. Ci vuole tempo per crescere ma il lavoro che stiamo facendo anche grazie alla grande professionalità del nostro preparatore, Marcelo Lopez, è rivolta anche a questo tipo di crescita individuale”.

Pensa che affrontare fin dall’anno uno di questo nuovo progetto un campionato duro e tosto come quello d’Eccellenza, sia il modo migliore per affacciarsi alla realtà senior di cui voi siete il bacino principale?
“Sì, io penso assolutamente sì. Ma dirò di più, anche l’esperienza Next Gen in questo ha fatto molto. Sono stati 4 giorni vissuti come professionisti per i ragazzi. Colazione al mattino contenuta e controllata da Matteo Bianchi e Marcelo Lopez, a mezzogiorno si pranzava, poi riposo, dopodiché si andava in palestra un’ora e mezza prima della partita, si faceva tutto il lavoro d’attivazione muscolare, poi partita, post, doccia, letto e si ripartiva il giorno dopo. Una routine che quando poi arrivi a giocare a livello senior diventa quotidianità e penso che abituare questi ragazzi fin da subito a questo tipo di attività li aiuti non solo da un punto di vista fisico quanto mentale, di concentrazione e predisposizione. Capire che anche l’alimentazione è determinante nella vita di un atleta è importantissimo. Chi percepisce questo fa già un salto in avanti notevole”.

Alessandro Burin

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