In un momento in cui il Città di Varese fatica a trovare ritmo e continuità in Serie D, l’onore biancorosso è tenuto alto, altissimo, dalle ragazze guidate di Andrea Bottarelli che, nel campionato di Eccellenza femminile, stanno navigando ben al di sopra delle aspettative di inizio stagione.

Come già raccontato da Francesca Vaccaro la scorsa settimana, il Varese era partito con l’idea di doversi sudare la permanenza in categoria; dodici giornate dopo, invece, i 20 punti raccolti e l’ottavo posto (a -2 dal quarto) restituiscono l’immagine di una squadra solida e competitiva che se la può giocare con chiunque. Un gruppo che, inevitabilmente, ha incredibili margini di crescita in virtù soprattutto dell’invidiabile unione dello spogliatoio, ma anche delle indiscusse qualità delle singole interpreti.

Tra di loro spicca Alessia Bogni, saracinesca classe ’00, che è sbarcata nel mondo biancorosso in estate dopo esser già stata corteggiata a lungo anche lo scorso anno. Fenomenale nelle uscite, reattiva tra i pali e costante lungo i 90’: alla classifica del Varese ha contribuito anche lei in maniera sostanziale sia dentro sia fuori dal campo. Domenica scorsa, infatti, a causa di una contrattura, è stata costretta a restare ai box, ma non ha esitato a presenziare per dare tutto il suo supporto alle compagne di squadra nella vittoria in rimonta per 3-2 sul Brugherio.

“Stare fuori è stato complicato perché già di mio sono estremamente ansiosa – racconta con un sorriso la numero uno biancorossa – anche se sono rimasta entusiasta per il successo e, soprattutto, per aver rivisto in campo Alice Meloni ad oltre un anno di distanza dal suo infortunio: la sua prestazione, unita al suo sorriso, è stata la vittoria più grande. Domenica prossima? Non so se giocherò, ma per la mia ansia non cambierà molto…”.

Visto che siamo in tema campionato, qual è il bilancio della prima parte della stagione?
“Considerando che eravamo partite con l’idea di mantenere la categoria, non possiamo che essere soddisfatte dell’andamento stagionale fin qui. Spesso andiamo sotto nel punteggio, ma proprio perché siamo in grado di recuperare vuol dire che la squadra è più viva che mai; stiamo vivendo un buon momento e sono ottimista per le prossime sfide”.

Venendo a te, prima di parlare del Varese, ci sono state già tante esperienze nella tua carriera: ripercorriamo i tuoi primi passi nel mondo del calcio?
“Ho iniziato a giocare presto, fin da quando avevo cinque anni, per la squadra del mio paese, il Varano Borghi, prima di passare alla Vergiatese. Il salto nel calcio femminile c’è stato a 12 anni con il Tradate: quelle quattro stagioni sono state importantissime dal punto di vista dell’esperienza visto che ho avuto l’opportunità di essere affiancata alla Prima Squadra che all’epoca era in Serie B. Da lì la trafila tra Azalee, Gazzada e, post Covid, Gavirate”.

Poi, quest’anno, la scelta del Città di Varese che tra l’altro ti aveva cercata anche prima del tuo passaggio al Gavirate; come mai questa volta hai deciso di accettare?
“Sapevo che l’interesse nei miei confronti era forte e quest’anno non ho potuto dire di no. Sicuramente continuare a giocare in Eccellenza è una bella opportunità, ma la scelta è stata soprattutto di cuore: mio nonno era un tifoso sfegatato e rappresentare Varese è una soddisfazione incredibile. Come sono stata accolta? Conoscevo solo Cecilia e Michela (Cavallin e Lunardi, ndr) ma tutte le ragazze sono state fin da subito gentili e accoglienti, aiutandomi ad ambientarmi davvero in fretta. Nello spogliatoio c’è davvero un bel clima e non potrei essere più felice”.

Perché il ruolo del portiere?
“Mi sono appassionata al calcio grazie a mio fratello e, seguendolo nelle sue partite, la mia attenzione veniva catturata proprio dai portieri. Mio padre mi regalò dei guantini piccolissimi che mi fecero definitivamente innamorare del ruolo e, nel momento in cui al Varano mancava un portiere, non ho esitato a mettermi in gioco. Idolo? Gianluigi Buffon ovviamente”.

Negli ultimi anni per le ragazze è “più facile” emergere nel mondo del calcio: il tuo percorso com’è stato da questo punto di vista?
“Da qualche anno la provincia di Varese offre molte più possibilità alle ragazze che vogliono giocare a calcio, ma per quanto mi riguarda devo solo dire grazie alla mia famiglia per avermi dato la possibilità di continuare a fare ciò che amo; diciamo che, per portarmi da Varano a Tradate, e viceversa, almeno quattro volte la settimana, i sacrifici non sono certo mancati. Essere l’unica ragazza? Dipendeva dalle situazioni. A volte era scoraggiante, non mancavano le prese in giro, ma quando si andava oltre lo stereotipo mi sono presa tante soddisfazioni e le mie belle rivincite”.

Sport e Università a Milano: è dura conciliare il tutto?
“Sì, ma se si ama ciò che si fa diventa tutto più facile. Personalmente amo la facoltà di Psicologia e non mi pesa assolutamente dover fare la pendolare fino a Milano. Condividendo poi la passione per il calcio con gli amici e con il mio fidanzato diventa tutto più facile; anzi, è proprio grazie al calcio che ho conosciuto Andrea dato che eravamo compagni di squadra, tra l’altro anche lui portiere. Chi giocava? Lui, ma solo perché era un anno più grande di me (ride, ndr)”.

Visto il tuo percorso accademico, quanto è importante il binomio sport-psicologia?
“La tematica della psicologia dello sport e la figura del Mental Coach sono stati portati alla ribalta dopo l’ultima Olimpiade grazie soprattutto a Marcell Jacobs. Per quel che mi riguarda credo sia fondamentale mantenere l’equilibrio tra salute fisica e psicologica, gestendo anche le dinamiche di gruppo all’interno dello spogliatoio. Gli studi mi aiutano a gestire la mia ansia? Assolutamente no! (ride, ndr) Io ho la sindrome del curatore ferito”.

Visto che oggi, venerdì 25 novembre, è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, quanto può incidere lo sport in merito a questo argomento?
“Lo sport è di vitale importanza perché all’interno della società rappresenta un formidabile veicolo di messaggi. È fondamentale far sentire la propria voce su temi così importanti, a maggior ragione noi che siamo donne. Fortunatamente non mi sono mai trovata a subire situazioni di violenza, fisica o psicologica, ma credo che, collegandomi anche a quanto detto prima, sia importantissimo trovare persone con le quali confidarsi anche all’interno dello spogliatoio. Questo vale per il calcio, ma il discorso si estende ad ogni ambito”.

Tornando allo sport in quanto tale, cosa significa per te giocare a calcio?
“È la mia prima e unica grande passione. Per me calcio significa divertimento e, come tutti gli sport, è ricco di messaggi ed esperienze che difficilmente possono essere sostituite. Ti aiuta a lavorare in gruppo, a tenere in considerazione gli altri e tantissime altre cose; se lo si approccia nella maniera giusta ti rende una persona migliore”.

Qual è l’augurio da qui alla fine dell’anno?
“Continuare a fare ciò che stiamo facendo: mantenere nostra posizione in classifica, crescere, toglierci qualche soddisfazione e, soprattutto, divertirci. A livello personale? Non parlo di clean sheet perché non faccio scommesse e tornare in Serie C non è certo una mia ossessione; la speranza è di poter rigiocare presto al Franco Ossola e di riuscire a portare mio nonno. Voglio però chiudere con un doveroso ringraziamento a Claudio Vincenzi: è semplicemente onnipresente, ci considera le sue figlie, ed è il vero valore aggiunto della nostra squadra”.

Matteo Carraro

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