Rolando Gaido, presidente dell’ associazione “Ckoss Polihandy”, che insegna il Karate presso le palestre delle scuole “G. Canotore” e “Speri Castellini” a Oggiona con Santo Stefano, ci illustra in dettaglio il mondo del Parakarate.

Maestro Gaido, come si è avvicinato al Karate?
“Ho sessantatrè anni e sono originario di Gallarate. L’ho praticato da agonista e da karateka Shotokan. Nel 1983 ho vinto i campionati di Karate in Lombardia, e l’anno successivo mi sono classificato secondo ai Regionali. In seguito, ho aperto una palestra di Karate o dojo a Oggiona con Santo Stefano, nel varesotto. L’ Unesco ha dichiarato che la disciplina sportiva del Karate è la migliore formazione per bambini e ragazzi dai quattro ai ventun’anni e come pratica regolare a qualsiasi età, perché consolida le proprie potenzialità educative e psicomotorie”.

Com’è stato il suo approccio al Parakarate?
“Nel 2001 ho conosciuto degli atleti non vedenti e li ho guidati fino a svolgere l’esame per il conseguimento della cintura nera. Ho scritto un libro, intitolato Il Sesto Senso, nel quale suggerisco per loro delle metodologie didattiche e che comprende anche delle prefazioni da parte di medici, psicologi e oculisti, ed è stato apprezzato anche da molti educatori. L’insegnamento del Karate agli allievi disabili avviene attraverso la comunicazione facilitata e il movimento guidato. Da più di quindici anni, lavoriamo anche con dei ragazzi affetti dalla sindrome di down. Al momento, abbiamo anche atleti con disabilità fisiche, che ne impediscono il movimento e autistici”.

In che modo il Karate può aiutare i ragazzi disabili?
“In merito ai non vedenti, rinforza in loro gli altri sensi, per compensare l’assenza della vista e migliora in loro anche l’equilibrio, la postura e l’autonomia. Sono previste delle tecniche di autodifesa per i non vedenti, con il bastone, ma solo ed esclusivamente nel caso dovessero subire delle aggressioni. Il Karate, per gli autistici, è molto utile invece alla loro inclusione, gestione del comportamento e inserimento nella collettività. Negli iperattivi, consolida l’aspetto coordinativo e insegna il rispetto delle regole, mentre in quelli con disabilità fisiche, sviluppa la muscolatura addominale, con lo scopo di lavorare sulle parti del corpo non gravemente lese, rendendo più efficace la loro postura sulla carrozzina e facendoli stare in compagnia. Nei ragazzi affetti da sindrome di down, il Karate sussidia sul piano fisico e psicologico, aumenta l’autostima e li aiuta a comunicare con più disinvoltura”.

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Per quali ragioni non è previsto il combattimento sportivo per i disabili?
“I non vedenti potrebbero colpirsi in modo pericoloso, gli autistici e gli iperattivi potrebbero provare delle sensazioni interiori che potrebbero anche compromettere il loro autocontrollo. Qui in Italia il combattimento regolamentato o kumitè fra i disabili è proibito, ma all’estero, in nazioni come Francia, Spagna e Panama, tra quelli con disabilità fisiche che ne impediscono il movimento, è consentito. Nel Karate agonistico per i disabili è prevista solo la prova di katà, o dimostrazione delle tecniche. I parakarateka svolgono tutti quei katà previsti dalla lista ufficiale WKF, acronimo di World Karate Federation. Due atleti down della nazionale italiana, provenienti dall’ associazione Ckoss Polihandy, sono uno al primo, e l’altro al quinto posto nel ranking mondiale”.

Quali prove comprendono gli esami del Parakarate?
“Per ottenere la cintura del livello successivo, gli atleti disabili svolgono la prova dei fondamentali, nota come kyon e quella del katà. Gli istruttori devono considerare i loro tempi più lunghi nell’ apprendimento ed evitare di andare oltre i limiti delle loro disabilità.  In generale i non vedenti dalla nascita potrebbero riscontrare maggiori difficoltà nello svolgimento dei fondamentali, mentre gli iperattivi, se non hanno delle limitazioni sul piano coordinativo, potrebbero eseguirli più facilmente. Nella valutazione del katà, consideriamo ciò che l’allievo riesce ad esprimere. I non vedenti, dopo aver conseguito la cintura nera, eseguono dei katà ancora più complessi”.

Quali stili del Karate insegnate ai ragazzi disabili?
“Ritengo che lo Shotokan e lo Shito Ryu siano più consoni alle loro caratteristiche. Gli atleti con maggiore forza e coordinazione svolgono i katà Shotokan, mentre lo Shito Ryu, molto più elegante nei movimenti, è nel complesso ben enfatizzato dalle donne. I principi base della nostra didattica sono la forza dell’umiltà, la disciplina e l’autocontrollo”.

Nabil Morcos

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