Il Città di Varese femminile ha un’anima, un vero e proprio motore trainante, una fucina energica e impossibile da spegnere che giorno dopo giorno alimenta la fiamma della passione biancorossa. Claudio Vincenzi è tutto questo e molto di più: un guru del calcio femminile a Varese, un punto di riferimento insostituibile per ogni calciatrice e, soprattutto, un uomo di sani principi che sa apprezzare la bellezza dei piccoli gesti che fanno una grande differenza.

Il Città di Varese si è affidato a lui per dar vita al progetto femminile: idee chiare, competenza e volontà hanno già portato i primi frutti in poco più di un anno e mezzo. Tanto è stato fatto, tantissimo è ancora da fare perché i margini di crescita sono infiniti e i colori biancorossi possono raggiungere livelli ben più alti dell’Eccellenza. Con calma, certo, passo dopo passo perché correre non serve a nulla: dopo l’ottimo debutto in Promozione, la squadra si sta consolidando nella nuova categoria e lavorerà per approcciare la prossima stagione con rinnovate ambizioni. E la costante di questo processo è proprio Claudio Vincenzi.

“Nel momento in cui ho incontrato il calcio femminile – spiega con entusiasmo lo stesso Vincenzi – la mia vita è cambiata nel senso che il calcio maschile, soprattutto quello dilettantistico, ha perso per me qualsiasi interesse. Ciò che mi ha conquistato è la purezza del calcio femminile: non esistono simulazioni, se prendi un colpo lo hai preso per davvero, ma lealtà e gioco sono i motori trainanti. Mi ricorda il calcio degli anni ‘60/’70 quando c’era meno fisicità e più tecnica. Ecco, le ragazze rispetto agli uomini sopperiscono alla mancanza fisica mettendoci tanta tecnica, cosa che nel calcio dilettantistico si fa fatica a vedere. Questo, unito alla loro passione, alla ferrea volontà di non saltare nemmeno un allenamento a prescindere da pioggia, vento, neve o quant’altro, mi ha fatto innamorare del calcio femminile”.

Quando è scoccata la scintilla?
“Nel 2015. Già da qualche anno volevo far partire un progetto femminile al Ceresium Bisustum, ma fu solo nel 2015 che una concomitanza di fattori lo rese possibile. In poco tempo siamo riusciti a mettere insieme 7/8 ragazze ma, per non snaturare la nostra filosofia, decidemmo di tentare comunque il salto a undici piuttosto che iscriverci al CSI arrivando a creare un gruppi i 13 calciatrici. I 4 punti del girone d’andata furono cancellati dai 21 del girone di ritorno grazie anche ad un paio di innesti importanti a dicembre e, alla fine di quella stagione, dissi che l’anno seguente avremmo vinto il campionato”.

Profetico.
“Direi di sì, ma ne avevo proprio la certezza perché si era creato un gruppo e un’alchimia unica. Fu un’autentica cavalcata e il fatto di arrivare in Serie C ampliò non poco i nostri orizzonti con trasferte a Sondrio, Brescia e Pavia. Era bello potersi confrontare con altre realtà e, soprattutto, chi ci seguiva si divertiva eccome. Malgrado le enormi soddisfazioni, il rammarico è stato di aver perso la categoria gettando al vento i playout: vincemmo la gara d’andata 3-2 contro il Castelleone e al ritorno, in totale sicurezza sull’1-1, prendemmo il gol del 2-1. A otto minuti dalla fine la squadra era distrutta ma cercò comunque il pareggio e venimmo puniti in contropiede; la beffa delle beffe fu che il Castelleone non s’iscrisse per la stagione successiva”.

Dopodiché seguirono due stagioni anonime finché non si presentò l’opportunità del Città di Varese: com’è nata l’avventura biancorossa?
“Due anni fa le realtà della zona iniziarono a muoversi sul fronte femminile: Solbiate, Gavirate, Varese e altre ancora. Mantenere un buon livello a Porto Ceresio avrebbe comportato notevoli difficoltà logistiche, motivo per cui ci avvicinammo al Città di Varese e la dirigenza, fidandosi di quello che dissero il Presidente Marco Basilico e Paola Florio, ci accolse a braccia aperte”.

Che effetto fa essere al Varese?
“Essendo da sempre tifoso del Varese e avendo seguito la squadra in quasi tutte le trasferte dell’ultimo anno in Serie B, ero il primo ad essere entusiasta. È stato semplicemente fantastico entrare negli spogliatoi del Franco Ossola, anche se da dirigente, e rendersi conto di rappresentare a livello sportivo la propria città. Chiaramente il primo anno è stato un po’ un battesimo del fuoco, ma la squadra era buona e si è innescato fin da subito un ottimo feeling tra giocatrici e staff; ora in Eccellenza stiamo vivendo la stagione del consolidamento e direi che il bilancio è positivo”.

Cosa manca a questa squadra? La sensazione è che a volte pecchi di attenzione nelle battute iniziali…
“Diciamo che tendiamo ad uscire molto nel secondo tempo: sembra quasi che la squadra abbia bisogno di essere pungolata per poi reagire, e questo si è visto anche domenica scorsa a Crema. Affrontavamo una bella squadra, è vero, ma è stato dopo il loro gol che abbiamo iniziato a giocare. Dopo il raddoppio a inizio ripresa non c’è stata partita e abbiamo presto pareggiato; peccato per la distrazione finale che ci è costata la partita. Nel complesso, comunque, sono davvero soddisfatto perché abbiamo dimostrato di potercela giocare alla pari con chiunque”.

Le ragazze, ma non solo, ti considerano un po’ il “nonno” che tutti vorrebbero; qual è il tuo rapporto con il gruppo?
“Ho sempre trovato ragazze formidabili e stupende fin dall’inizio della mia avventura nel mondo del calcio femminile e quest’anno non fa certo eccezione. Dal canto mio, avendo giocato a mia volta, so bene di quali attenzioni un atleta abbia bisogno e, nel mio piccolo, cerco di coccolarle rispondendo ad ogni esigenza: gesti semplici, come andare a mangiare un panino tutti insieme nel post-partita o far trovare loro lo spogliatoio in ordine”.

Facendo un bel passo indietro, da dove nasce la passione di Claudio Vincenzi per il calcio?
“Nasce da sempre, come per la maggior parte dei ragazzini. Io cresciuto calcisticamente nel Viggiù che, all’epoca, era uno dei punti di riferimento della provincia: giocammo contro squadre di livello del calibro di Milan e Como. Proprio il Como quell’anno vinse il campionato perdendo solo una partita proprio contro di noi e, segnando, i lariani mi vollero con loro. Feci due o tre anni nelle loro giovanili ma pian piano la volontà di giocare venne meno e tornai così a Bisuschio dove restai per tutta la mia carriera togliendomi comunque qualche bella soddisfazione: un anno vincemmo la Terza Categoria con una squadra composta interamente da ragazzi di Bisuschio. Poi, vista la mia passione per il ruolo di dirigente, rimasi in società a dare una mano finché non si arrivò alla svolta del calcio femminile. Ancora adesso, comunque, quando posso vado a giocare a Calcinate con il mitico Gruppo Polveriera”.

Domanda provocatoria: cosa rispondi a coloro che dicono che il calcio femminile non sia vero calcio?
“Che non lo hanno mai visto. Sicuramente ci sono squadre meno attrezzate, ma già nel nostro campionato si vede il vero gioco e noi, come ci è stato detto proprio domenica, siamo in grado di metterlo in pratica. Se poi ampliamo il discorso al panorama europeo, esistono squadre in Champions League che sono semplicemente meravigliose da vedere: il calcio femminile è vero calcio”.

A quando il ritorno in Serie C?
“Sarebbe un traguardo formidabile (sorride, ndr). Non è che non ci pensiamo, ma bisogna crescere passo dopo passo. La società ci ha visto lungo siglando l’accordo con il Gavirate: tante ragazze si stanno avvicinando al mondo del calcio, ma è ancora troppo presto per creare una filiera intera di squadre. Meglio dividere le forze collaborando: una società si occupa del settore giovanile, l’altra della prima squadra. La strada intrapresa è quella giusta ma serve pazienza. Di sicuro, al momento, a questo squadra manca poco a livello di gioco per tentare il salto”.

Per concludere non può mancare un ringraziamento speciale.
“Il grazie più grande va a mia moglie Adriana perché ha capito fin da subito la mia passione e ha una pazienza infinita nel sopportare le mie tante assenze. Ho provato a coinvolgerla e riproverò in futuro perché viverla con lei al mio fianco sarebbe ancora più bello”.

Matteo Carraro

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