Roberto Mantuano, figlio del Maestro Lunello Mantuano e che insegna presso l’ ASD Mantuano di Tradate, spiega il suo metodo didattico del Karate, rivolto agli allievi di tutte le età, sia per gli agonisti che per gli amatoriali.

Come si è avvicinato al Karate?
“Per noi è una tradizione di famiglia, mio padre Lunello era già Maestro di Karate. Ho trent’anni e dall’età di quindici, lui era il mio punto di riferimento e il mio desiderio era già quello di poter insegnare in futuro quest’arte marziale giapponese, emulandolo. Con noi, c’è anche mia sorella maggiore Silvia, che ha contribuito a farmi appassionare al Karate e che attualmente, essendo aspirante allenatrice, segue gli adulti nella preparazione atletica e nello svolgimento dei Katà, o dimostrazioni delle tecniche. La palestra o dojo, è un luogo che isola gli atleti dalla frenesia della vita quotidiana esterna e che li rende anche più amici fra loro”.

Quale stile del Karate insegnate?
“Lo Shotokan, privilegiandolo anche nel Karate agonistico, perché per noi è più facile da insegnare, ed è anche più comprensibile per gli allievi. Dal punto di vista sportivo, il Karate trasmette la tranquillità nell’atleta e ritengo che il kumitè o combattimento regolamentato, sia anche un espressione del proprio carattere e dell’ interiorità. Per ora i nostri allievi, ai quali abbiamo mostrato solo per conoscenza, anche dei katà nello stile ShitoRyu, raggiungono al massimo le competizioni Regionali>>.

Per quali ragioni il vostro metodo si può definire ludico?
“Lavoro molto con i bambini. Per loro, è previsto un programma di attività motoria per sviluppare l’aspetto coordinativo prima di insegnare le tecniche del Karate. Dai sei agli otto anni l’approccio ai kyon, o fondamentali, è caratterizzato da esercizi con la pallina da tennis, nella quale simulano il pugno e da altri su dei materassi, facendo pensare loro a degli ostacoli di ambienti immaginari da superare con le gambe, allo scopo di fargli mimare i calci frontali e quelli laterali. Ritengo che questi riferimenti ai giochi rendano l’insegnamento base del Karate molto più interessante e coinvolgente. Nei bambini sono previsti dei kumitè senza contatto e prima di introdurli al katà occorre che imparino bene le tecniche di base”.

Perché la vostra didattica del Karate è anche scientifica?
“Si tratta della sintesi tra la metodologia adottata da mio padre, basata sulla comprensione essenzialmente teorica di ciò che insegna e la mia personale, più pragmatica, nella quale ritengo che durante gli esami, in base all’età del karateka, occorra valutare, oltre all’aspetto tecnico, anche le sue abilità. In merito ai pre-adolescenti e agli adolescenti, noi allenatori li seguiamo anche dal punto di vista psicologico. Abbiamo unito il gruppo degli Esordienti, che comprende dei karateka sia amatoriali che agonisti. Il Karate sportivo, nel quale si cerca la competizione, ha anche una grande importanza sul piano cognitivo”.

Quale ruolo svolge la respirazione nel Karate?
“La pratica del saluto a terra sulle ginocchia è molto utile anche per favorire la respirazione, che è la strategia migliore per consolidare la concentrazione mentale degli atleti all’interno del dojo. Il Mokuso è una forma di meditazione praticata nel Karate e il termine deriva da due vocaboli giapponesi che sono Moku, il silenzio, e So, il pensiero. Il saluto in piedi, con un leggero inchino, prima di svolgere il katà, è fondamentale sia per l’autocontrollo che per l’energia interiore. Durante l’esecuzione dei katà, la respirazione che dovrebbe verificarsi durante i movimenti e le tecniche, è tra gli importanti criteri di valutazione, allo scopo di focalizzare se l’atleta si allena con costanza”.

Come svolgete gli esami dei karateka amatoriali?
“In generale insegnamo loro un Karate più tradizionale, focalizzandone l’aspetto storico e culturale. Nella parte teorica chiediamo delle informazioni in merito alle sue origini, alla sua divulgazione e anche i nomi giapponesi delle tecniche che gli atleti eseguono. In quella pratica, invece, è previsto lo svolgimento dei fondamentali, o kyon, del Katà, e anche un kumitè di base, in cui i karateka di diverse età si confrontano in base alle diverse tecniche apprese. Nel complesso, intendiamo ancora progredire nel Karate agonistico, nella speranza che in futuro dei nostri allievi saranno in condizioni di partecipare a delle gare superiori”.

Nabil Morcos

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