Bryan Mecca, classe 1999, è nato a Legnano il 6 maggio, dietro a quella coda un po’ trasgressiva si nasconde in realtà il sorriso e il viso del classico bravo ragazzo. Cresciuto calcisticamente nelle file dell’Inter, è passato dal Como e dalla Pro Patria prima di approdare alla Reggiana.
“Non proprio un gran biglietto da visita (sorride Bryan ndr) meno male che i nostri tifosi sono gemellati con quelli dell’Inter se no tra Como e Pro Patria… (sorride ancora ndr).

La tua carriera nel calcio dei grandi inizia giovanissimo: 27 febbraio 2016, a soli 16 anni, fai il tuo esordio in Serie C in un Reggiana-FeralpiSalò finito 3-0.
“Ancora oggi sono il giocatore italiano più giovane ad aver esordito in prima squadra con la maglia granata. Quella stagione, pur facendo parte della formazione Allievi, spesso mi allenavo con la prima e mister Alberto Colombo mi ha regalato questa soddisfazione”.
L’anno successivo ancora a Reggio Emilia prima di passare (2017-18) da protagonista nel calcio vero con il Rezzato.
“Ho fatto tutta la preparazione con la Reggiana ma poi ho capito che non avrei trovato spazio, così quando è arrivata la chiamata del Rezzato, anche se in Serie D, ho deciso di accettare per mettermi in gioco e capire di che pasta ero fatto”.
Di che pasta eri fatto?
“Direi non male, 38 presenze e 2 reti a soli 19 anni. Mi ritengo soddisfatto di quello che ho fatto. E’ stata una stagione molto importante per la mia crescita ed anche a livello di squadra abbiamo fatto bene: per un solo punto non abbiamo vinto il campionato dietro alla Pro Patria dove giocavano Gazo e Disabato”.

Poi due stagioni al Milano City dove la gestione ricorda molto quella attuale del Varese con Stefano Amirante in prima fila con il coinvolgimento di Antonio Rosati.
“Sì, sia la gestione che l’andamento della stagione. Siamo partiti con grandi ambizioni, grandi obiettivi, poi le prime due sconfitte hanno un po’ destabilizzato tutto. Mister Cusatis è stato esonerato e al suo posto è arrivata un’altra vecchia conoscenza biancorossa: Ezio Rossi. Abbiamo faticato molto all’inizio ma il girone di ritorno è stato entusiasmante e alla fine ci siamo salvati senza passare dai playout”.
Tutto molto simile dicevi?
“Esatto, sono certo che anche il finale di questa stagione sarà così”.

Ti aspettavi di trovare tutte queste difficoltà a Varese?
“Sapevo di arrivare in una situazione complicata. La dirigenza è stata molto chiara con me e questo mi ha permesso di capire bene dove andavo. La prima parte del campionato l’ho passato al Fanfulla, ho giocato ma non ero sereno al 100%. La chiamata del Varese non poteva essere rifiutata e sono stato felicissimo di venire qui. Arrivare in una situazione come questa mi carica ancora di più perché vuol dire che mi hanno scelto per raggiungere un traguardo fondamentale per il prosieguo della società”.
Torniamo un passo indietro: Castellanzese e Castanese due tappe importanti.
“A Castellanza mi ha voluto il Direttore Asmini, mi ha fatto sentire importante, mi ha inserito in un gruppo rodato che a fine stagione ha dato risultati entusiasmanti. Ci siamo giocati la Serie C fino alla fine con il Gozzano e non abbiamo coronato il sogno per un nulla. L’anno dopo sono andato a Casate con mister Mazzoleni: sono stato benissimo, ho giocato sempre e ho fatto anche nove gol. Forse la mia miglior stagione fino ad oggi. Anche a livello di squadra è andata bene, abbiamo vinto i playoff del nostro girone”.

Centrocampista col vizio del gol, qual è la posizione che preferisci in campo, in che modulo?
“Il centrocampo a tre è quello che mi si addice di più, giocando come esterno indifferentemente a destra o sinistra. In questa posizione riesco a dare il meglio di me”.
C’è un giocatore a cui ti ispiri?
“Mi è sempre piaciuto Hamsik, così come il 17 che è il suo e anche il mio numero preferito. Ce l’ho anche tatuato sul collo. A Varese non ho potuto avere la maglia 17 (era di Premoli quando è arrivato Mecca ndr) e così ho preso il 40. Un numero che ha un grandissimo significato biblico, che segna sempre un periodo che traccia una situazione provvisoria e di attesa”.

Devi ringraziare qualcuno in particolare per la carriera che stai facendo?
“Tantissime persone che hanno contribuito a farmi crescere nelle varie tappe. Alcune te le ho già citate, altre mi piace ricordarle ora. Vito Cera che mi ha voluto al Fanfulla e anche mister Castelli (preparatore dei portieri a Varese in questa stagione ndr) che pur non allenandomi spesso ha la parola giusta al momento giusto. Il grazie più grande va però alla mia famiglia che ha fatto tantissimi sacrifici per seguirmi e che ancora oggi partecipa in massa alle mie partite. A volte ci vorrebbe un pulmino solo per loro. Papà Michele e mamma Gabriela (di origini slovacche) non mancano mai insieme a mia sorella Karin e a nonna Piera che ha 85 anni, è in formissima e legge tutto quello che mi riguarda. Ringrazio, ma tralascio tutti gli zii e i cugini che spesso sono allo stadio”.

Sperando quindi di superare l’esame nonna Piera con questa intervista, non mi resta che chiederti di Noemi.
“Stiamo insieme da due anni, lei è di Novate Milanese e ci siamo conosciuti a una festa del Capodanno 2020. Quello famoso del Covid che a noi ha portato veramente bene. Mi segue sempre e mi riesce a capire soprattutto quando le cose a livello calcistico non vanno benissimo. Dopo un risultato negativo fatico a staccare subito, lei riesce sempre a farmi svoltare”.

Vegetariano, la pizza ai 4 formaggi è il suo piatto preferito con una birretta o una Coca a seconda della situazione. Ascolta musica di tutti i tipi, passa dal Rap al neo melodico napoletano e ha una certezza: l’amore incondizionato per i cani.
“Ne abbiamo tre: Ken il boxer, Nanto il Dogo argentino e Pomice la femmina di casa, un Pit Bull. Sono abbastanza impegnativi, ma per noi sono di famiglia. Vivono in casa e prima si pensa alla loro cena, poi alla nostra. Bravo, hai detto bene: un amore incondizionato”.  

Michele Marocco

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