Crescita, sviluppo e innovazione, continua, costante. Questi sono capi saldi dell’attività quotidiana di Fil.Va, azienda di Varese che opera nel settore manifatturiero e da tre anni ormai, anche in quello dei dispositivi di protezione individuale, che ha saputo trasformare un momento di difficoltà, quello del covid, in una nuova opportunità di sviluppo.

Una realtà che ha fatto di un semplice prodotto, il monofilo sintetico, una risorsa di prima qualità e dai molteplici utilizzi.

Un’eccellenza del territorio al fianco di orgoglio Varese e della quale abbiamo parlato con il Dott.Natale Farè, procuratore di Fil.Va S.r.l.

Come e quando nasce Fil.Va?
“Fil.Va è un’azienda presente sul territorio da oltre 40 anni. La mia famiglia, in particolare, ha un’azienda che produce impianti di estrusione del materiale plastico. Negli anni ’80 abbiamo voluto iniziare ad investire in questa nuova realtà, ampliando la gamma di produzione del monofilo sintetico, ai più conosciuto come il filo da pesca, un prodotto che ha tante applicazioni nel settore tecnico industriale. Esse possono andare dall’automotive, alla filtrazione, al rinforzo di terreni, insomma, tanti campi applicativi. Questo è diventato il nostro core business aziendale. Durante il covid tramite l’altra realtà di Fagnano Olona, che fa impianti, abbiamo sviluppato, su richiesta del Ministero della Salute, una nuova gamma di mascherine fatte di tessuto non tessuto. Siamo entrati così nel settore dei DPI, dispositivi di protezione individuale. Abbiamo fatto grande fatica all’inizio perché non si sapeva cosa fare e come farlo, soprattutto per quanto riguardava tutta la parte normativa, a noi sconosciuta. Ci siamo messi a studiare e siamo partiti, abbiamo fatto bene negli anni del covid, sviluppando poi altri prodotti sempre più professionali. Abbiamo voluto poi intraprendere l’avventura nel mondo delle scarpe antinfortunistiche, forti di un marchio che, sul territorio di Varese e non solo, è conosciuto: Aria+. Abbiamo così affiancato al prodotto semi maschera filtrante, la scarpa antinfortunistica”.

Come è cresciuta negli anni, a livello di numeri, l’azienda?
“Per rispondere devo aprire una piccola parentesi storica. Fil.Va è stata fondata negli anni 70. Negli anni ’80 mio padre e mio zio sono entrati in azienda con l’apporto dei macchinari. Nei primi anni 2000 abbiamo liquidato i vecchi soci e siamo entrati come famiglia. In quegli anni eravamo intorno ad una sessantina di dipendenti con un fatturato che si aggirava sui 6.000.000 di euro. Abbiamo incominciato a capire i vari problemi che si presentavano e questa valutazione ci ha portato a lavorare sugli impianti, che era poi la prima destinazione della nostra attività; fare il filato era un qualcosa di completamente al di fuori delle nostre esperienze. Nel 2008, con la crisi legata alla Lehman Brothers, abbiamo deciso d’investire in nuovi impianti, allargando la base aziendale con altri tre impianti. Abbiamo visto che la risposta della clientela era buona ed abbiamo deciso di investire, nel 2013-2014 su altri due impianti. Abbiamo continuato ad investire fino ad arrivare ad una totalità di 22 impianti, tenendo conto che nel 2010 ne avevamo dieci. Siamo passati così da una sessantina di dipendenti a 120 e da 6.000.000 di euro di fatturato ai 35.000.000 di euro dello scorso anno”.

In tutto quello che ci ha raccontato spicca la capacità che avete avuto di rendere un periodo di difficoltà, come quello del covid, un’opportunità..
“Sì, è vero. In quel momento c’era bisogno di mascherine. Abbiamo vissuto noi in prima persona come realtà il problema di far lavorare in sicurezza i dipendenti che erano spaventati. Abbiamo preso l’opportunità ed è andata bene per due anni. Abbiamo fatto bei numeri soprattutto in termini di vendite”.

Come si rimane competitivi in un campo come quello della manifattura, ormai monopolizzato dal mercato cinese?
“L’Europa è una grande manifattura. Non abbiamo risorse energetiche: gas, petrolio. Tutto ciò sul quale viviamo noi in Italia è manifattura. Sembra che nessuno sappia quanto sia importante questo settore. Si vive di questo: il creare valore lo fanno le aziende manifatturiere. Si cerca di trovare strade nuove per ampliare sempre più il mercato, come la nostra idea della scarpa. Tutti i giorni sei con la testa a cercare di inventarti nuovi prodotti e altre cose. Innovazione è la parola d’ordine”.

Quali sono le aree di applicazione, oltre quelle citate, su cui state investendo in maniera importante per farle crescere sempre più?
“Sicuramente l’avventura nel mondo dei DPI è un’avventura abbastanza coinvolgente. Poi c’è tutto il mondo legato al monofilo che è in continua evoluzione. L’azienda continua ad innovare in termini di tecnologia d’impianto e innovazione del prodotto”.

Come e perché avete scelto di entrare a far parte del progetto Orgoglio Varese?
“Abbiamo parlato con Marco Zamberletti e abbiamo capito la bontà e le potenzialità del progetto. Sostenere le realtà sportive del territorio e soprattutto la Pallacanestro Varese ci permette di valorizzare un territorio al quale siamo molto legati e ci dà la possibilità di farci conoscere sempre di più. E’ un dare e avere importante di cui siamo felici di fare parte”.

Alessandro Burin

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