Silvio Barnaba è ormai da cinque anni il preparatore atletico della Pallacanestro Varese. Logico, in questa fase della stagione, pensare a lui come uno degli uomini chiave dell’avvio dell’attività in casa biancorossa. Silvio si racconta e ci fa scoprire lati nuovi della sua professione in questa interessante chiacchierata.

Silvio, a livello professionale come ti avvicini a questo stadio della stagione? Ci sono dei programmi o delle tabelle prestabilite?
“Non si approccia mai una stagione allo stesso modo, ma con la stessa metodica ovvero lo studio del soggetto quindi dell’atleta, lo studio delle volontà dell’allenatore ovvero se vuole programmare un allenamento al giorno ogni giorno senza pause oppure volume di lavoro prettamente a tutto campo e quindi agilità e velocità devono prendere il sopravvento rispetto ad aspetti di forza dove si lotta di più a metà campo che era un po’, per intenderci, il desiderio di Caja che voleva sempre avere una squadra possente sul parquet. Invece, con Brase l’anno scorso puntavamo sull’agilità che è ottimamente rappresentata da Owens. Abbiamo scelto di lasciarlo libero e agile senza aumentare i volumi, ad esempio, in sala pesi: avrebbero potuto dargli più forza, ma a discapito dell’agilità. Il mio metodo di lavoro è sempre quello: carichi crescenti, carichi alternati, lavoro intermittente metabolico… Poi bisogna vedere chi ne ha più bisogno, chi necessita di un lavoro a corpo intero, chi nella direzione della forza dinamica necessità di forza dinamica alta e chi bassa, chi ha bisogno di un lavoro miotendineo subito e chi no. Dipende dai giocatori che hai in mano”.

C’è un periodo di studio coi giocatori, ma immagino vi sia un periodo di studio anche con lo staff dei coach che quest’anno è completamente cambiato.
“L’impostazione del club è quella e non penso si discosterà molto dalla scorsa annata sportiva. Ritengo Luis abbia cercato un coach che posa mantenere quell’idea di gioco. Poi, bisogna vedere come la vuole mettere in atto. Ad esempio, Brase voleva che fin da subito nell’allenamento si cominciasse il tutto campo. Io facevo tutto quello che mi serviva prima: se oggi, invece, il nuovo coach mi lascia quei 20′ che sfruttavo pre-allenamento, potrei introdurre qualche altro aspetto nella preparazione. Poi va capito anche cosa fare con gli allenamenti che perderemo perché in viaggio per la Coppa: di quel volume che perdiamo cosa faremo? Quando lo recupereremo? E in che giorno? Il giorno prima o due giorni prima facciamo un po’ più di volume? Lì andremo a capire come fare anche in funzione dei giocatori: quando ero ad Avellino fra gli altri avevo un giocatore come Fesenko che non poteva mai fermarsi. Non poteva magari fare il volume di allenamento degli altri compagni ogni giorno, ma mentre gli altri potevano concedersi qualche ora di riposo, Fesenko doveva sempre stare in allenamento”.

In questa fase della stagione vi è anche attenzione alla dieta dei giocatori oppure è un falso mito il controllo della “tavola” dei giocatori?
“Parto prendendo ad esempio l’atletica che è uno sport dove vi è una performance collegata al tempo e alla distanza: qui non puoi sbagliare niente. Ho lavorato anche nel nuoto e anche qui rosicchiare tre/quattro centesimi rispetto al tuo miglior tempo è qualcosa di fondamentale. Nella pallacanestro, invece, parliamo di uno sport di situazioni. Quello che facciamo noi è controllare il giocatore ed è raro trovare qualcuno fuori dal peso forma. Il basket è uno sport per magri per antonomasia. E’ impossibile ingrassare nel basket se ti alleni sempre dato che è uno sport di grandi potenze alternato a pause e, così facendo, bruci subito gli acidi grassi. Però, se arriva un giocatore fuori forma usiamo subito i nostri riferimenti per migliorare la situazione come una nutrizionista o altro per aiutare il ragazzo a tornare in forma”.

A proposito, ti è mai capitato di aver un giocatore arrivato deliberatamente fuori forma ad inizio stagione? Anche senza fare nomi per non metterti in imbarazzo.
“L’ultimo caso capitato è nel 2018 e lo abbiamo monitorato sin da subito qui a Varese. Posso dire che è una cosa che capitava ancora con giocatori nati negli anni ’80: lì i casi erano più frequenti. Nei giocatori nati negli anni ’90 non capita più. Un po’ perché sono ragazzi che giocano sempre tra chi è in Nazionale, chi va in Summer League e chi si cura in maniera individuale. Questo perché a livello atletico c’è una concorrenza pazzesca e gli stessi giocatori hanno capito che non devono lasciar nulla indietro. Poi, ecco, dal punto di vista alimentare noi abbiamo il Campus con l’ottimo Elio (il gestore del bar/ristorante all’interno del Campus, ndr): sono due anni che i ragazzi utilizzano tutti il Campus per i loro pranzi e così da dietro le quinte riesco a gestire la loro dieta. Elio è espertissimo dato che da lui sono passati un sacco di atleti e sa come deve essere l’alimentazione di un atleta riducendo le creme e, ad esempio, aumentando legumi e verdure”.

Sono cinque anni che sei a Varese e di allenatori ne hai visti parecchi: dal già citato Caja passando per Bulleri, Vertemati e Roijakkers finendo con Brase. C’è qualche differenza fra loro nei rapporti con te e la preparazione atletica dei giocatori?
“La differenza di rapporto vera c’è fra gli allenatori fino al 2010/12 circa e chi allena da lì in poi. Prima era un qualcosa del tipo io ti dico cosa devi fare e tu cerca di farlo nel modo migliore possibile. Evidentemente, la ricerca che noi abbiamo fatto – ho lavorato anche 14 anni in Federazione – e il messaggio che abbiamo cercato di fare arrivare di provare a costruire un allenamento il più possibile vicino al tuo modo di giocare ha più senso piuttosto che prendere l’idea di preparazione che aveva l’allenatore e trasporla in campo. Poi, il gioco negli anni è cambiato: oggi ci sono i 24 secondi e poi solo 14 secondi per l’azione da rimbalzo offensivo: il gioco è molto più veloce ed ha molti più possessi. Mediamente una squadra attacca in 12/13 secondi e tu ti devi adattare a soluzioni rapide e a cambi di campo molto rapidi e quindi il giocatore pian piano è diventato più agile, più reattivo e più potente. Anche in settimana devi portare l’allenamento ad avere quelle caratteristiche che poi vuoi avere la domenica. Devi tenere conto che la domenica puoi avere quattro campi consecutivi e, quindi, 45 secondi filati di gioco senza soste. Dal 2013 in poi, l’allenatore ha cominciato a dialogare con noi: vanno ridotte le pause? Assolutamente no, ma ne va ridotta la durata. Ogni 4/5′ mettiamo trasferimenti continui? Assolutamente sì perché così il giocatore va sotto sforzo e si trova a fare delle letture di gioco nello stesso status della partita. A Varese ho incontrato allenatori che ascoltavano molto, qualcuno un po’ meno, ma nessuno che si è mai imposto”.

In sostanza, anche la dialettica è importante fra le due figure.
“Ti dirò: anche con Caja ci parlavamo spesso e lui era abituato a fare al massimo un trasferimento perché lui amava costruire il gioco passaggio dopo passaggio. In una gara ci sono circa 170 fasi di gioco: un centinaio circa sono di trasferimento da una metà campo all’altra, una settantina partono dal fischio dell’arbitro. Azioni da giocarsi a metà campo: Caja amava molto curare questa fase e quando andavo a sezionare la partita, se la si segmentava sui trasferimenti noi eravamo perdenti mentre, invece, vincevamo sempre le altre fasi che partivano da gioco fermo. Questo perché i ragazzi erano preparatissimi a gestire questo tipo di situazioni di gioco”.

Matteo Gallo

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