Giancarlo Gualco: uno dei general manager più vincenti nella storia del basket italiano. Gualco ha vinto tutto quello che c’era da vincere con la mitica Ignis Varese. Quale G.M. ha fatto e vinto più di lui? 10 finali di Coppa del Campioni con 5 vittorie, 7 Scudetti, 2 Coppe Intercontinentali, 4 Coppe Italia e 2 Coppe delle Coppe.

Credo nessuno e, non a caso, Giancarlo Gualco ha stabilito record che probabilmente non saranno mai superati. Qui sono tutti bravi a dire: “Facile vincere quando hai Dino Meneghin e dietro hai la grande Ignis”. Non sopporto commenti di questo tipo perchè, come diceva il mitico coach John Wooden di UCLA: “Nessuno riesce a vincere SENZA talento, ma non tutti sanno vincere CON talento“.

Wooden usava questa frase per gli allenatori, ma potrei applicare lo stesso principio ai GM, che scelgono gli allenatori e costruiscono le squadre. Benissimo: se la grande Ignis è stata una corazzata senza precedenti, chi ha messo insieme quella macchina perfetta? Giancarlo Gualco.

Certo, Giancarlo avrà avuto anche mezzi economici sostanziosi a disposizione, ma con questi ha sempre saputo piazzare mosse importanti sul mercato: Aldo Ossola e Marino Zanatta da All’Onestà Milano; Ivan Bisson da Udine, per non parlare di Raga e Bob Morse oltre a tante altre scelte, tutte azzeccate.

Comprese quelle degli allenatori. Gualco infatti ha vinto 7 scudetti con tre allenatori diversi. 2 con Nico Messina: 1969 e 1978. 3 con Aza Nikolic: 1970, 1971, 1973. 2 con Alessandro Gamba: 1974 e 1977. E’ del tutto evidente che Gualco ha saputo scegliere sempre il coach giusto.

Vi racconto anche quando Giancarlo Gualco mi è piaciuto di più. Nella primavera del 1975 Bob Morse lascia Varese per tornare negli USA. In pre-campionato la MobilGirgi fatica tantissimo e finisce spazzata via dalla mia Virtus al Trofeo Battilani a Bologna. Avendo solo 5 giorni per rimediare, Gualco con rapidità pari all’intelligenza, organizza tutto in tempi rapidissimi, vola a Philadelphia, firma di nuovo Bob Morse con un contratto di ben cinque anni e Varese, puntualissima, ricomincia a macinare grande pallacanestro e, ovviamente, a vincere.  

Ecco la vera fotografia di Gualco, un grandissimo GM: poche parole, tanti fatti. Pochi riflettori per lui, molta attenzione per la squadra. Così facendo ottiene grandi risultati ottenuti in un periodo durato quasi vent’anni. Che stupenda carriera”. Firmato: Dan Peterson.

A questo punto devo una premessa doverosa: avendo bene in mente il vecchio adagio “Ubi maior, minor cessat”, ho volutamente lasciato a Dan Peterson e ad un suo articolo scritto 15 anni fa, l’iniziale descrizione di Giancarlo Gualco, il più grande GM mai passato da Pallacanestro Varese

Il resto della descrizione e dell’interessante e va da sè, bellissima vicenda tecnica e umana di Giancarlo, è nelle parole del figlio Maurizio che, con grandissima gentilezza, mi ha aiutato a tratteggiare, e illuminare a giorno, la figura di uno dei più importanti personaggi nella storia cestistica di Varese.

MAURIZIO GUALCO

“Mio padre? Un personaggio assolutamente particolare. Certamente unico. A partire dal luogo di nascita: Lachotac, vicino a Marsiglia, Francia, nel 1931 e, aspetto particolare che conoscono davvero in pochissimi, dal nome di battesimo. Infatti, all’anagrafe miei nonni paterni, Valerio e Rosina, lo iscrivono col suo vero nome: Rodolfo che, per gli amici si tramuta subito in un soprannome: Foffo. Nonna Rosina però col passare degli anni inizia a detestare, anzi, a odiare questo soprannome che mal si accompagna ad un ragazzone di oltre 190 cm. come suo figlio. Così, quando la misura dell’odio è colma, la nonna prende la sua decisione irrevocabile dicendo: “Adesso basta con Rodolfo o, peggio, Foffo. Da oggi in avanti tu ti chiamerai Giancarlo!”.

Come mai papà nasce in Francia?
“I nonni a causa della famosa crisi economica del 1929 si trasferiscono oltr’Alpe per motivi di lavoro e là, appunto, danno alla luce Rodolfo alias Giancarlo. Papà restando in Francia fino a 6 anni imparerà molto bene il francese, lingua che gli sarà utilissima anche per i suoi primi passi come general manager. Nel 1938 i nonni fanno rientro a Varese ed è negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale che mio padre viene a contatto con la pallacanestro, o meglio, con la palla al cesto perchè allora si chiamava in questo modo. Giancarlo dimostra subito confidenza e predisposizione naturale con quel gioco. Le sue doti fisiche, atletiche, la cifra di talento che sempre accompagna i giocatori mancini e il fatto di fare sempre canestro gli valgono un soprannome del tutto azzeccato: “Manina d’oro”. Tutte queste cose messe insieme gli offrono  subito la vetrina e significano una carriera che, galoppando, prima gli spalanca le porte verso la serie A nella Pallacanestro Varese dei pionieri targata Storm o Burro Prealpi e subito dopo quelle della Nazionale. Ma a quei tempi la serie A e la maglia azzurra di sicuro non garantiscono la vita bella e agiata dei professionisti di oggi. Per di più Giancarlo a soli 21 anni, nel 1952, porta all’altare la mamma: Maria Luisa Crivelli che di anni ne ha solo 18. Così i precoci impegni famigliari e gli scarni rimborsi spese di quei tempi consigliano a papà di smettere con la pallacanestro per dedicarsi ad una più “saggia” attività lavorativa. Giancarlo però, confermando la sua personalità estrosa, insieme a 2 soci, i signori Fontana e Manfredi, apre la “G2”, un’agenzia pubblicitaria che, precorrendo i tempi, propone al Comune di Varese un’idea allora innovativa: acquisire, primi in assoluto, i diritti per la pubblicità sui pullman cittadini. L’attività attecchisce abbastanza bene e per qualche anno mio papà vi si dedica anima e corpo fino all’incontro con Giovanni Borghi che rappresenta la vera svolta nella sua vita. Il Commendatore, grande conoscitore dell’animo umano, rimane certamente affascinato dalla parlantina e dal modo di porsi di mio padre. Quando capisce che Giancarlo ha un passato importante come sportivo gli affida, “tout-court”, la gestione dei “gioielli” custoditi dalla famiglia Borghi: il Varese Calcio e l’Ignis Pallacanestro Varese”. 

Un po’ troppo, forse…
“Risposta esatta – commenta Maurizio -, anche perchè mio papà dopo qualche mese, pur ringraziando, rimette il mandato calcistico nelle mani di Borghi ammettendo con onestà che il pallone “non è affar suo”. Così, pienamente operativo nel mondo della pallacanestro, e avendo alle spalle la forza economica e il sostegno incondizionato del “Cumenda”, Giancarlo diventa eccellente direttore d’orchestra del gruppo che per una quindicina sarà destinato a dominare la pallacanestro a livello europeo e mondiale, NBA a parte ovviamente. In quegli anni per la sua fama di g.m. Giancarlo riceve sostanziose offerte e ripetuti inviti a lasciare Varese e la macchina da guerra costruita con maestria e tanta passione. Un’offerta, in particolare, lo fa vacillare: quella arrivata dal Cavalier Rino Snaidero, allora proprietario e sponsor della Snaidero Udine, club in grandissima ascesa nel panorama italiana. Patron Snaidero propone a mio padre un’offerta pazzesca: per lui assegno in bianco, per la mamma apertura di un negozio di abbigliamento grandi firme in centro a Udine più un villone in periferia e altri numerosi e consistenti benefit. Giancarlo ci pensa su diverse notti confrontandosi con nostra madre, ma alla fine rinuncia facendo prevalere la ragione di stato”.

Ossia?
“Papà dice no per salvaguardare l’integrità della famiglia e il futuro mio e di mia sorella Rossana. Evidentemente papà valuta che spostarci e costringerci a cambiare vita nella nostra piena adolescenza fosse ingiusto e non privo di possibili ripercussioni. Quindi, non se ne fa nulla e Giancarlo continua l’avventura in Pallacanestro Varese che durerà fino all’estate del 1982”.

Già, la famosa estate nella quale tuo padre rassegnando le dimissioni lascia la Pallacanestro Varese: cosa ricordi e come racconti quella complicata vicenda?
“Per raccontare la fine, credo abbastanza dolorosa, del rapporto tra mio papà e la Pallacanestro Varese occorre riavvolgere il nastro e tornare indietro di dodici mesi, ovvero all’estate del 1981 e alla funzione, a mio giudizio importante, esercitata da Giancarlo nella questione legata alla transizione dalla gestione della famiglia Borghi a quella della famiglia Bulgheroni. Una vicenda nella quale Giancarlo svolge un ruolo fondamentale: quello di abile “tessitore” capace di coalizzare intorno a sè, e al club, alcuni grandi nomi dell’imprenditoria varesina realizzando insieme alla famiglia Bulgheroni quello che a tutti gli effetti è considerato come “IL” salvataggio della Pallacanestro Varese. Il club infatti, è giusto ricordarlo ai più giovani o inconsapevoli, era davvero arrivato a un millimetro dalla scomparsa con l’allora Sindaco pronto a portare in tribunale i libri contabili che gli erano stati affidati. Invece, grazie ad un eccellente lavoro di squadra, lottando contro il tempo e i soliti disfattisti l’impresa va a buon fine e Pallacanestro Varese riesce ad iscriversi al campionato. In seguito però emerge una grande verità: due galli – Toto Bulgheroni e Giancarlo Gualco -, non possono stare nello stesso pollaio. Così mio padre, non ricordo esattamente se a stagione in corso o alla fine del campionato 1982, si dimette e dopo una quindicina d’anni lascia Varese per iniziare una breve esperienza, una sola stagione, a Bergamo in coppia con coach Carlo Recalcati. Nel 1983 Dante Trombetta, presidente della Robur et Fides, lo richiama in città affidandogli tutto il progetto della Polisportiva R&F, ma in particolare la sezione Basket, incarico che manterrà fino al suo ritiro dalle scene agonistiche”.

Facciamo tre passi indietro: hai qualche ricordo di tuo padre in veste di giocatore?

“Ho qualche immagine, ma molto vaga perchè, come ho già accennato, Giancarlo appende presto le scarpe al chiodo. Però, so per certo che era un giocatore dotato di tecnica e raffinatezza, ma piuttosto pigro e, per sua stessa e ripetuta ammissione, non amava granchè allenarsi e fare fatica”.  

La storia della pallacanestro italiana riconosce all’unanimità un prima e un dopo-Giancarlo Gualco perchè tuo padre è considerato come l’inventore della figura del moderno general manager, ovvero un dirigente professionista che all’interno di una squadra si muove sullo stesso piano di allenatori e giocatori.
“Ovviamente sono d’accordo con questa definizione anche se, da ragazzino, quello di papà mi sembrava fosse un lavoro un po’ strano e inconsueto perchè, come hai già sottolineato, in quegli anni nessun club, nemmeno Olimpia Milano, Virtus Bologna o Pallacanestro Cantù potevano contare su un general manager professionista. Quindi, sì, mio padre, scusate il gioco di parole, può legittimamente essere riconosciuto come il… papà di tutti i g.m. italiani. Detto questo, credo che da un lato Giancarlo sia stato baciato dalla fortuna, ovvero dall’essersi trovato al posto giusto, nel momento giusto, con le persone giuste. Ma dall’altro lato gli va dato atto di aver lavorato con grande abilità, eccellente intuito e anche una buona dose di coraggio nel portare avanti scelte rischiose e forse, per quei tempi, trasgressive”.

A cosa ti riferisci?
“Credo che a Giancarlo vadano attribuiti tanti meriti, sia sul piano organizzativo generale, sia sul fronte delle strategie tecniche ma, prima di tutto, bisogna riconoscergli una cosa: fin dal suo primo giorno in qualità di g.m. della famosa Ignis non ha mai avuto paura di prendere decisioni difficili e talvolta impopolari che, di fatto, contribuiscono a cambiare il senso di marcia di quella Pallacanestro Varese. Citandole in ordine sparso ricordo: mandare Bovone alla Pallacanestro Milano e riportare a Masnago un playmaker di valore straordinario come Aldo Ossola. Imporsi con lo staff tecnico per lanciare un giovanissimo Dino Meneghin. Prendere Dodo Rusconi dalla Robur et Fides. Affidare la serie A ad un allenatore come Nico Messina che fino a quel momento ha solo esperienze di settore giovanile. E, ancora, scegliere uno straniero come Manuel Raga che, allora, in un campionato affollato di pivot americani, è giudicato dalla maggioranza degli addetti ai lavori come un azzardo bello e buono. Ovviamente, nemmeno il caso di evidenziarlo, per alcune di queste decisioni Giancarlo è aspramente criticato”.

E tuo padre come reagisce a quelle critiche?
“Papà, uomo di carattere, nella circostanza replica con elegante distacco alle critiche perchè convinto, con Manuel, di aver pescato dal mazzo non uno, ma tutti e quattro i jolly. Ricordo che ai detrattori, alcuni dei quali sono anche suoi amici, diceva: “Prima di parlare a vanvera, venite a vederlo, questo Raga. Poi, mi darete ragione”. Detto, fatto. Io infatti, presente al primo allenamento del cosiddetto “messicano volante”, ho ancora negli occhi l’espressione stupita di quelli che, scettici a prescindere, dopo aver visto il talento e le qualità tecnico-atletiche di Manuel sono costretti a rimangiarsi tutte le cattiverie e lasciano Masnago col sorriso sulle labbra. Ricordo lo stesso sorriso, ma questa volta sul volto di mio padre quando, tutto contento, vince altre scommesse: mettere sotto contratto due allenatori come Aza Nikolic, tutto da scoprire ad alto livello e, apriti cielo, Sandro Gamba preso addirittura dall’odiatissima Milano”.

Prova a descrive questi momenti…
“In premessa devo sottolineare che entrambi gli arrivi sono tutti farina del sacco di mio padre. Prendendo Nikolic mio padre, aneddoto abbastanza famoso, va alla sfida con il “Cumenda” Borghi il quale si sfila dalla vicenda esprimendo, nel caso di specie, un giudizio “tranchant”: “Gualco, mi fido ciecamente di lei e delle sue scelte, ma sappia che io un allenatore comunista a Varese non l’avrei mai preso!” Invece, con l’ingaggio di Sandro Gamba, Giancarlo va alla sfida con tutti i tifosi di Varese che, in quel periodo, mai avrebbero voluto vedere un allenatore milanese sulla panchina di Masnago. Però, alla fine, entrambe le scelte si dimostrano azzeccatissime e perfette per la storia vincente da Pallacanestro Varese”.

Scelte perfette: perchè?
“Papà intuisce che solo con un coach in grado di imprimere una sterzata netta nei metodi di allenamento avrebbe trasformato una squadra già buona come l’Ignis in una corazzata invincibile. E, puntualmente, gli allenamenti durissimi proposti da “martello di Bosnia” funzionano alla grande rendendo per 5 anni la Ignis la miglior squadre del mondo, NBA a parte ovviamente. Invece con l’arrivo, seppur molto osteggiato, di coach Gamba, Giancarlo realizza una operazione inversa: portare a Varese un ottimo allenatore, con una solidissima preparazione tecnica che, in più, consapevole di avere fra le mani una “Formula 1″ affronta il lavoro con intelligenza e umanità, non stressa il motore e instaura con i giocatori, tutti espertissimi e vincenti, un rapporto di grande collaborazione. Alla fine quello di coach Gamba si rivela un vero colpaccio che produrrà altre stagioni fantastiche culminate con le vittorie degli scudetti 1974 e 1977 e delle Coppe dei Campioni 1975 e 1976”.

Come general manager, quale “segreto” non conosciamo ancora di tuo papà?
“Giancarlo, aspetto decisamente significativo, ha sempre ascoltato con attenzione i suggerimenti dei collaboratori e dello staff. Citare i suoi “acquisti” sarebbe complicato e porterebbe via troppo tempo. Quindi, per tutti, segnalo quello dell’ottimo Sandrino Galleani, il quale approda a Varese grazie all’intervento del dottor Piero Modesti che allora, insieme al “mitico” dottor Venino, si divideva tra pallacanestro e ciclismo. Modesti, nostro medico sociale, consiglia a mio padre di fare quattro chiacchiere con questo bravissimo massaggiatore che, nei primi anni ’70, è tutto dedito alla pedivella. Insieme a mio padre raggiungiamo la “carovana” del Giro d’Italia e il dottor Modesti presenta Galleani a papà. Nel giro di  pochi minuti i due definiscono un accordo che, senza ombra di dubbio, è importante tanto quanto quello di un giocatore fortissimo perchè portare a casa un professionista del livello di Sandro rappresenta un ulteriore salto di qualità nello staff della Pallacanestro Varese. Non a caso Galleani, per quasi 4 decenni sarà il numero 1 dei massiofisioterapisti con Varese e la Nazionale Italiana”.

Giancarlo e Maurizio Gualco, ovvero la strana coppia. Ti rivolgo una domanda “spinosa”, ma obbligata: negli “spifferi” che hai raccolto tra campo e spogliatoio ti hanno mai fatto pesare il fatto che eri “figlio di…”?
“Da ragazzino delle giovanili no, mai. Però già alla fine degli juniores capisco che a Varese sarei stato un giocatore scomodo. Quindi mi trasferisco a Genova dove vivo due stagioni bellissime culminate con una clamorosa promozione in serie A che, a tutt’oggi, è l’unica nella storia del basket ligure. Terminata l’esperienza genovese, papà mi richiama alla Pallacanestro Varese, allora Emerson. Rimango a Masnago per due stagioni giocate ad alto livello con due semifinali scudetto e la famosa finale di Coppa dei Campioni persa contro Bosna Serajevo a Grenoble nel 1979. Tuttora ho comunque la sensazione di aver sbagliato scelta perchè in Pallacanestro Varese, da “figlio del signor Gualco”, mi sono sempre sentito in dovere, quasi un obbligo morale, di dover dare più di quanto fossi oggettivamente in grado di offrire. Insomma: mi mettevo addosso da solo una grande pressione sulla spalle. Così dopo due stagioni varesine, al momento di rinnovare il contratto parlo con mio padre e con grande schiettezza gli dico: “Papà, a Varese c’è un solo Gualco che conta. E quello sei tu. Quindi, lasciami andare per la mia strada”. E, anche se Giancarlo non lo esplicita mai io so, e sento, che in quel preciso frangente faccio a mio padre il regalo più bello e probabilmente inaspettato della sua carriera perchè con la mia decisione lo libero da una situazione imbarazzante.

Poi, detto per inciso, è il regalo migliore che faccio anche a me stesso e alla mia famiglia perchè negli 8 anni successivi, 2 alla Stella Azzurra Roma e 6 alla Fortitudo Bologna, vivo i momenti più entusiasmanti e sereni della mia carriera cestistica>.       

Dopo il periodo bolognese torni a Varese, alla Robur et Fides, e, come detto, ritrovi tuo padre nelle vesti di general manager…

<In Robur rivedo il Giancarlo di sempre: quello duro, combattivo, grande lavoratore che, ormai espertissimo, si muove perfettamente a suo agio anche nel “pianeta minors”.

Tutti sanno, o ricordano, che dopo la serie A raggiunta negli anni ’70, il periodo a cavallo tra fine anni ’80 e inizi ’90 è per la Robur il migliore per quanto riguarda i risultati raggiunti. In quegli anni Giancarlo costruisce squadre importanti senza mai perdere di vista l’obiettivo “istituzionale” della Robur: lanciare i giocatori cresciuti nel settore giovanile e i giovani girati da Pallacanestro Varese. Tant’è vero che in una formazione di quel periodo ricordo solo due “senatori”: Ciccio Della Fiori e il sottoscritto circondati da un gruppo di ragazzi “Made in Robur”. Papà è dunque il regista, credo equilibrato, di molteplici positive stagioni roburine anche se, da uomo con mentalità vincente, penso gli sia rimasto dentro un grosso rammarico: quello di aver solo sfiorato la promozione in serie A. Un vero peccato perchè se avesse raggiunto anche quel traguardo, avrebbe coronato una carriera semplicemente strepitosa>.  

Immagino tu abbia anche delle note “curiose” da offrire su tuo padre

<Una delle più interessanti, e per noi famigliari la più emozionante, è quella che raffigura mio padre che nel 1960, in qualità di tedoforo porta per le vie di Varese la fiaccola olimpica in vista, appunto, dei Giochi Olimpici di Roma>.

Accantonando definitivamente il discorso-pallacanestro, possiamo finalmente intavolare quello dell’ippica, un mondo al quale tuo padre era molto legato

<Più che legato perchè l’ippica – sottolinea con forza Maurizio – rappresentava la vera, forse unica passione di mio papà. Infatti se per tanti anni la pallacanestro nelle sue varie forme è un lavoro, i cavalli sono invece il grande amore della sua vita. Un passione tramandata da nonno Valerio il quale, giusto per ribadire la questione, come regalo di nozze  

a suo figlio Giancarlo recapita un purosangue.

Papà insieme agli amici Cesare Bernasconi e Cesare Carella, dà vita alla scuderia Razza Giallorossa che non si dedica all’allevamento dei puledri, ma mette in pista cavalli importanti e vincenti come Morigi e Magic Piece, tanto per citarne solo un paio, che regaleranno numerosi trofei e, in relazione alle dimensioni limitate della scuderia, tantissime soddisfazioni. Un passione nella quale la pallacanestro è sempre presente perchè, come noto agli appassionati di ippica, mio padre aveva lo “sfizio” di battezzare i cavalli con il nome dei giocatori. Così per tanti anni negli ippodromi sono riecheggiati nomi come Raga Navarro, Alcindor, Bob Morse, Charlie Yelverton e così via. E anche nell’ippica mio padre dimostra due qualità fondamentali. La prima, se così si può chiamare, è un fiuto particolare che lo porta a scegliere, ovvero comprare, cavalli praticamente scartati dalle altre scuderie affidandoli alle cure di allenatori e fantini di buon livello come Ildo e Massimiliano Tellini. La seconda qualità, indispensabile, è, scusa il termine, un gran culo”.

Come mai usi questa definizione così “artistica”?
“Ti faccio un esempio che chiarisce tutto: Charlie Yelverton in origine apparteneva a Razza Montalbano, la scuderia di Guido Borghi. Ma il cavallo non andava nemmeno a spingerlo e Borghi, quasi per disperazione, lo vende a mio padre. Qualche settimana dopo, come per magia, il cavallo inizia a vincere e comunque fare sempre buonissimi piazzamenti. Se non è culo questo, dimmelo tu cos’è… Ma, alla fine di questo lungo racconto, vorrei che emergesse la verità più importante sulla figura di Giancarlo. Papà – conclude con voce emozionata Maurizio – era un uomo tutto di un pezzo, dotato di grande autorevolezza e latore di un tratto distintivo: aveva nel DNA una certezza: la vita è sempre un rischio. Tanto vale giocarselo, questo rischio, e viverla fino in fondo”.

Massimo Turconi

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui