C’è un libro interessante, uscito di recente, si intitola “Storie Maledette del Calcio”. Lo ha scritto Roberto Maida, penna romana del Corriere dello Sport che segue la Roma da tempo. Il libro narra di personaggi calcistici scomparsi, alcuni per sfortuna, altri per vicende ancora poco chiare, altri ancora per fatalità o malattie. Aneddoti e racconti, perlopiù tristi ma utili a capire meglio le storie trattate, che seguono una “regola” comune: tutte le persone di cui si parla sono decedute fuori dal campo di gioco

La Pro Patria purtroppo ha nella sua ultra centenaria storia una vicenda molto triste a riguardo, quella di Andrea Cecotti, scomparso dopo una breve agonia dopo aver lasciato il campo di gioco a Treviso mentre indossava la maglia della Pro e stava disputando una partita di campionato. 
Era il 1986 quando gli Spandau Ballet uscivano con Through the Barricades, brano indelebile che un meraviglioso programma televisivo come “Sfide” della Rai, ha utilizzato come sottofondo per parlare della tragica storia di Vittorio Mero, calciatore del Brescia prematuramente scomparso. 
Un anno più tardi l’uscita di quel meraviglioso brano, Andrea Cecotti approdava alla Pro Patria in una situazione societaria parecchio difficile. Pochi giorni fa ricorrevano i 36 anni dalla sua scomparsa, abbiamo contattato chi quel giorno era in panchina ad allenare la Pro e che aveva già conosciuto come ogni allenatore vittorie e sconfitte, ma mai si sarebbe aspettato di vivere un dramma simile. 

Pierangelo De Bernardi, partiamo da quella stagione che era già parecchio difficile e sfortunata.
“Certamente sì, la società aveva vari problemi di natura economica e per farvi capire com’era differente il calcio dell’epoca partirei con un aneddoto: avevamo non uno ma due portieri validi: Luca Bucci che poi ha fatto la Serie A e Mazzantini. Bucci voleva andare via da Busto e Mazzantini era pronto a fare il titolare quando arrivò la chiamata dal militare. In un attimo ci trovammo senza portiere e non con una partita a caso che incombeva: la domenica c’era il derby contro un Legnano fortissimo. Dovemmo richiamare Mariotti, nostro ex portiere che aveva iniziato a lavorare in fabbrica. Sulla carta, ovviamente, non era pronto e sempre sulla carta ci attendeva un massacro a Legnano: ci difendemmo con le unghie e con i denti e Mariotti parò di tutto, giocavamo con 4 ragazzi degli allievi più l’esperienza di Cecotti, Onorini e Giandebiaggi. Mettemmo la testa fuori dalla metà campo al 90’: ripartenza, tiro, traversa, schiena del portiere Dal Molin che salva poi sulla linea. Sarebbe stato il massimo ma fu un’impresa.”

Passiamo alla tragedia: 8 Novembre 1987, trasferta a Treviso, che ricordi hai di quel pre-partita?
“Fu un pre-partita come tanti, partimmo il giorno prima ma Cecotti non era con noi, lui era friulano e per motivi familiari chiese di lasciare Busto il venerdì e di presentarsi poi a Treviso per giocare come fece. Alla mezz’ora chiese il cambio ed io sul momento mi maledissi per avergli fatto saltare la rifinitura, che credevo fosse il motivo di quel problema che pareva muscolare. Poi purtroppo fu tutt’altro come sappiamo. Fu una partita grandiosa, perdemmo 3-2 ma a testa altissima, e solo a fine match venimmo a sapere che Andrea era in ospedale perché era stato malissimo in spogliatoio subito dopo la sostituzione”.

Da lì in poi, nulla fu come prima, post partita compreso.
“Purtroppo è così. Io non ripartii con la squadra ma volli andare immediatamente in ospedale con un dirigente ed Andrea proprio non stava bene, parlava con lo sguardo, ma con la bocca non riusciva. Erano gli ultimi momenti prima che la situazione crollasse definitivamente. Così molto tardi ripartii verso Busto con nel cuore la flebile speranza di un miracoloD

A casa raccontano che, in tempi in cui i cellulari non esistevano ancora, bastava guardarti in faccia per capire com’era andata la partita, ma in quel caso l’espressione era molto più cupa: stava finendo una giovane vita, mica una partita andata male.
“Certo non c’è paragone e posso solo immaginare la mia espressione una volta aperta la porta di casa, perché come detto chiunque aveva capito che era una situazione difficilmente risolvibile, per non dire impossibile, infatti la chiamata più brutta arrivò di lì a giorni dopo ore di coma”.

I giorni passano ed al ritrovo per gli allenamenti al martedì ovviamente tutti sanno la notizia. Come fu quel giorno?
“Difficile come nessun altro credo. Tutti piangevano e non volevano saperne minimamente di allenarsi ed anche per me la voglia di andare sul campo era poca. C’era il nostro segretario il sig. Acquati che era gravemente malato, fu lui a parlarci usando parole toccanti che ci convinsero ad entrare in campo ed iniziare l’allenamento e la preparazione ad una sfida poi tristemente storica”.

La partita con il Telgate, la prima senza Andrea Cecotti, volato in cielo il 14 Novembre 1987. Per chi ci crede, sono storie incredibili che arrivano dall’aldilà. Per chi non ci crede è questione di forza interiore: la Fiorentina 2017/18, dopo la scomparsa del suo capitano Astori, diventò una macchina da guerra imbattibile dopo un campionato fino a quel momento modesto. Prendete invece la storia di Vittorio Mero del Brescia, dopo la sua scomparsa il Brescia gioca a Lecce ed uno dei suoi migliori amici era Emanuele Filippini, tutt’altro che un bomber che infatti aveva all’attivo 0 reti in Serie A. Segnerà il primo proprio quel giorno, piangendo a dirotto subito dopo.
“Una storia simile possiamo raccontarla anche noi: come detto la preparazione a quel match fu durissima, in settimana arrivò la telefonata che temevamo sarebbe arrivata. I ragazzi scesero in campo carichissimi portandosi in vantaggio prima che il Telgate riaprisse la partita ma soprattutto prima che colpisse una clamorosa traversa al 90’. Una traversa non casuale per tanti, che in quel legno colpito vollero vedere la presenza di quel ragazzo che pochi giorni prima aveva lasciato la moglie ed una bimba piccola. A fine gara furono lacrime per tutti nonostante la vittoria”.

Una domanda eterna: Andrea Cecotti viene abbastanza ricordato? Si potrebbe fare di più? Il destino, peraltro, pochi anni fa aveva avvicinato una possibile partita in sua memoria: Coppa Italia 2020-21, la Pro di Javorcic al secondo turno gioca benissimo a Vicenza ed al 91’ sull’1-1 l’arbitro Ayroldi, che adesso arbitra con la stessa spocchia di quel giorno in Serie A, non concede un rigore clamoroso su Galli. Al terzo turno chi vince affronta l’Udinese, ed un Udinese-Pro Patria non sarebbe stato affatto male per ricordarlo.
“Non voglio entrare in discorsi di cui so poco: mi spiego, non so cosa ci sia burocraticamente dietro l’intitolazione di un settore dello stadio per esempio, quindi non so quanto sarebbe difficile per il comune attuare ciò che auspico. Spero di sì, mi piacerebbe molto. La società Pro Patria lo ricorda ogni anno in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, ma fare ancor di più come dedicargli un settore dello stadio non sarebbe affatto male, è un ragazzo scomparso con la maglia della Pro addosso, ha lasciato la sua vita sul campo, non dobbiamo scordarlo mai”.

La figura dell’allenatore spesso da te è difesa, non nelle scelte, ma nella figura in sé.
“Sì è vero, perché l’allenatore è un uomo solo, quando si vince è merito dei giocatori, quando si perde spesso è colpa del tecnico. Io impazzisco per esempio quando esonerano un allenatore e poi fanno il mercato acquistando giocatori: fallo prima e se poi non va cambi. Spesso l’allenatore è chiamato a fare da parafulmine, poi è obbligatorio sottolineare che ci sono allenatori più e meno bravi, che alla lunga raccolgono a seconda delle loro capacità”.

Parole che ha detto Bobo Vieri di recente: per il calciatore il proprio mestiere dura 4/5 ore al giorno, per l’allenatore tutt’altro. Vieri che peraltro hai conosciuto da vicino.
“Campione assoluto, allenavo la Pro Sesto primavera ed affrontammo il Torino in cui giocava lui: era già gigantesco e non lo si spostava mai. Devo dirvi chi ha segnato di testa all’ultimo minuto? 
Ha ragione, la giornata dell’allenatore dura il triplo rispetto a quella del calciatore, sia come preparazione di allenamenti, tattiche e partite, sia come pensieri, soprattutto quando va male un allenatore non stacca mai veramente la testa”.

Pro Patria che non solo hai allenato ma per cui hai anche giocato: qual è il momento più bello e quello più brutto della tua carriera?
“Non ho dubbi su entrambi: il più bello quando venni convocato in Nazionale Juniores ma qui la storia è incredibile. Nella Pro giocava anche Gianfranco De Bernardi, ala pazzesca. Era ed è un mio caro amico con cui sono omonimo ma con cui non c’è la minima parentela. Lui era già un giocatore affermato ed allo Speroni arrivò la chiamata della Nazionale: De Bernardi convocato. La società dell’epoca comunicò a Gianfranco di prepararsi. Poche ore prima del ritrovo a Coverciano arrivò una telefonata proprio dalla Figc: “Il convocato è De Bernardi Pierangelo, non Gianfranco!”. Lui giustamente non la prese bene e così partì lo stesso dopo l’errore fatto dalla società, ma con lui partii anch’io. Un anno dopo eravamo a giocarci l’Europeo Juniores.
Il più brutto purtroppo è al “Moccagatta” di Alessandria quando mi frantumai il ginocchio. Sentii dolore ma continuai a giocare: non c’erano le sostituzioni, così come si faceva con gli infortunati mi misero a fare l’esterno alto finchè Sogliano, roccioso difensore e papà di Sean affermato direttore sportivo, entrò durissimo sul ginocchio che andò totalmente ko. Il nostro centravanti Balestreri mi portò fuori a braccia. Piano piano ripresi ad allenarmi anche se qualcosa non andava. Un girone dopo ero pronto a rientrare contro l’Alessandria quando uno scontro in rifinitura con Balestreri che stava atterrando da uno dei suoi mitologici salti di testa, mise praticamente fine alla mia carriera”.

Pensiamo a quanto c’è di positivo: un Europeo con la Nazionale, che ricordi hai?
“L’emozione è incredibile anche solo a ripensarci ma l’aneddoto più divertente mi unisce ancora a Gianfranco De Bernardi. Era il capitano di quella Nazionale ma si era stirato, così ai quarti di finale contro la Bulgaria venne in panchina per onor di firma. Da bustocco doc, con me parlava solo il nostro dialetto: siamo in vantaggio 1-0 e sopra lo stadio passa un aereo piuttosto basso. Lui chiama la mia attenzione ed in bustocco mi dice: “Guarda l’aereo, è un segno che andiamo a casa”. Finì 2-1 per la Bulgaria e facemmo davvero le valigie.”

Della tua Busto e del tuo stadio Speroni cosa è rimasto?
“Dello stadio è rimasta la cosa più importante e più bella: la Pro Patria, la sua storia e la sua maglia. Lo stadio era totalmente diverso, i popolari erano un settore unico in pietra, la tribuna era in legno, i tempi cambiano ma la Pro resta ed è quel che conta. Vi racconto un aneddoto per quanto riguarda gli stadi di un tempo: andiamo a Cosenza, stadio caldissimo. Esce una palla per la rimessa laterale, di solito batteva Carletto Regalia che però insiste e manda me a battere. Non capisco ma vado, tempo di prepararmi a battere e capisco il perché: a Cosenza le tribune erano attaccate al campo ed avevano la geniale idea di infilare le punte degli ombrelli nella schiena dei giocatori avversari capitati a bordo campo.
Della mia Busto è rimasta la voglia di alcuni di volere bene alla città, di apprezzare il centro come facevamo noi a fine allenamento. Qualche vasca in via Milano prima di rifocillarci alla pizzeria Marechiaro parlando di Pro e non solo era ciò che più ci rendeva felici”.

Un problema c’è: la disaffezione verso la Pro.
“Un gran problema veramente. I numeri in calo sempre di più sono qualcosa che non mi dà pace, sicuramente per riempire lo stadio bisognerebbe vincere, lo so bene anch’io, sono frasi trite e ritrite, ma veramente in così pochi allo stadio proprio no, è proprio questione di disaffezione, non c’entrano nulla i tempi che cambiano. Sta a noi che le siamo sempre vicino non lasciarla mai. Vero è che spesso a Busto c’è un brusio incredibile, intendo come attacchi ai giocatori o commenti sulle giocate degli stessi. Capisco il tifoso, lo capisco bene, ma talvolta fatico a comprendere certi commenti che al giocatore, soprattutto se giovane o con non spiccata personalità, non fanno bene. Peraltro sono convinto che i commenti o il brusio di cui ho parlato, diano ancor più insicurezza rispetto per esempio a 3000 fischi compatti di uno stadio più pieno”.

Nella Pro di quest’anno cosa non va?
“Premessa: c’è tanto tempo per rimediare come penso fermamente farà la Pro ripartendo da Turotti, una certezza ed il punto cardine di questa Pro Patria che ritengo abbia già intuito insieme a mister Colombo quali siano stati i problemi finora. Penso sia mancato il gioco soprattutto nonché la solidità difensiva: è una Pro che prende troppo facilmente gol e che, come sempre quando le cose non vanno bene, è anche sfortunata. Quando le cose non vanno entrano sempre gli eurogol degli altri e per segnarne uno anche di rimpallo tu devi metterci ogni forza, ma c’è tempo e ci rialzeremo”.

Il giocatore più forte che hai visto in generale e con la maglia della Pro? 
“Il più forte Gigi Riva. Una forza della natura, abbiamo giocato insieme in Nazionale giovanile e lui da interista doc voleva imitare Mario Corso. Entrambi due campioni, ma le caratteristiche erano diverse, così è cresciuto e maturato ed ha scritto semplicemente la storia del calcio italiano come solo un campione può fare. I più forti della Pro direi Muzzio, Rovatti che arrivava dall’Inter ed aveva avuto qualche problema fisico ma era devastante, poi Gianfranco De Bernardi ala poderosa”.

Il tuo capitano per eccellenza?
“Matteo Serafini anche perché da tifoso l’ho vissuto appieno. Alla pari con lui metto Fietta, è incredibile per l’età che ha quanto sia ancora forte, ma guardatelo anche senza palla come guida la squadra sia inteso come carica sia come movimenti e letture. Incredibile”.

Chiudiamo con un’altra leggenda della Pro a cui è stato di recente dedicato un documentario: Pippo Taglioretti.
Fatemi inazitutto dire che il documentario dedicato a Taglioretti è meraviglioso. Mi ha emozionato e chiunque dovrebbe vederlo e tramandarlo. Di lui posso dire semplicemente che è una leggenda, quando ho esordito lui era il terzino sinistro, io il destro, peraltro con noi giovani era di una disponibilità unica. A lui mi lega un ricordo pazzesco. Giocavo negli allievi, alla domenica c’era una sfida sentitissima per la mia squadra: Pro Patria–Solbiatese. Il mister della prima squadra però mi convoca per Verona–Pro Patria in programma la domenica. Io lo chiamo: “Signor Pedroni, io non voglio venire a Verona, tengo troppo alla partita contro la Solbiatese”- Pensate a come si ragiona da giovani. Alla fine parto ed a Verona nevica tantissimo, partita rinviata al giorno dopo e stadio spalato con le ruspe. Io sono un ragazzino e non ho le scarpe adatte a giocare su un campo al limite del praticabile, così mister Pedroni mi porta in centro a Verona e mi regala delle scarpe con i tacchetti in cuoio per giocare il pomeriggio stesso. Dopo il pranzo pre partita fu proprio Taglioretti a propormi una passeggiata prima di andare allo stadio. Io marcavo Ciccolo che per 90’ prese parole dal suo allenatore: “Guarda chi hai davanti, è un bambino! Non lo hai saltato una volta!”. E così fu per tutta la partita”.

Abbiamo voluto andare oltre una storia molto triste che però, come ha detto l’intervistato, non andrebbe mai dimenticata, perché c’è chi per la Pro Patria ha rimesso la propria vita sul campo e con la maglia biancoblù addosso. Pochi giorni fa sono passati 37 anni da quel tragico giorno e speriamo che Andrea Cecotti abbia sorriso leggendo quanto ancora sia nella memoria di chiunque conosca il mondo Pro Patria, prima di sistemarsi la maglia biancoblù indosso e rientrare in un grande campo da calcio affollato di tanti ragazzi che hanno salutato improvvisamente la vita mentre inseguivano il proprio sogno. 

Alessandro Bianchi

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