Si è spento all’età di 95 anni Ettore Pagani. per il mondo del giornalismo ed in particolare di quello varesino, è stata una dura notizia quella di ieri sera, martedì 26 dicembre, quando è stata annunciata la scomparsa dell’ex avvocato e corrispondente de La Gazzetta Dello Sport per basket, ippica e calcio.

Per ricordare al meglio un grandissimo del mondo giornalistico, abbiamo contattato il giornalista del Corriere della Sera, nonchè ex corrispondente della nostra testata, Flavio Vanetti, che ci ha lasciato questo pensiero.

Ricordare Ettore Pagani, mancato all’età di 95 anni, nel mio caso è allo stesso tempo complicato e molto facile. Da un lato, infatti, credo sia impossibile trovare una sintesi per la sua figura poliedrica: avvocato, ma anche veterano del giornalismo sportivo varesino; appassionato e competente di arte; cultore della “bosinità”, lui che era nato sopra Como ma che, giunto fin da piccolo dalle nostre parti, ha fatto di
Varese il suo centro di gravità permanente. Però, come dicevo, da un’altra prospettiva non mi è per nulla difficile parlare di lui: la mia famiglia e la sua sono cresciute assieme, con un “triangolo” chiuso da altri amici (la famiglia Magni): via Magenta 3, tutti nello stesso palazzo – noi e i Magni al settimo e al sesto piano della scala A, lui e quella che chiamava la sua tribù (Anna la moglie, Mauro – pure mio compagno di scuola e non solo di giochi –, Laura e Roberta i suoi figli) al quinto della scala B – con momenti comuni, ad esempio le “anguriate” estive, quando davanti alla Caserma Garibaldi (all’epoca ancora sede di attività militari) stazionava il chiosco che le vendeva, oppure i momenti pubblici condivisi, quando in Piazza Repubblica arrivavano i funamboli o il tipo che sfidava (e puntualmente infinocchiava con somma perizia) la gente in una lotteria basata sul gioco delle buste. Posso dire di aver conosciuto Ettore fin da quando ero… nella culla, vacanze incluse perché quando avrò avuto uno o due anni le famiglie andarono assieme a Pietra Ligure. L’”avucàt” – ma avrebbe cominciato la libera professione quando io ero già grandicello; prima lavorava all’ufficio legale del Credito Varesino – era insomma una presenza, magari anche per simpatici sfottò: data la pinguedine adolescenziale, di tanto in tanto mi chiamava Von Trippen. Vabbé, ci rimanevo male, ma non mi sono mai incazzato. E comunque nel tempo lo sfottò sarebbe stato ampiamente compensato dalla mano che mi ha dato nell’avviarmi al lavoro di giornalista. Alcune premesse, in proposito. Sapevamo della passione di Ettore per lo sport. Amava di tutto, dal basket che aveva pure giocato, a dispetto della statura non da watusso e di un corpo non da Nembo Kid (inciso: diventato allenatore delle giovanili della Pallacanestro Varese, assieme al gruppo di Diego Roga contribuì alla scoperta di Giancarlo Gualco e di altri talenti), al calcio – quanto ha sofferto per la “sparizione” del suo Varese – alla boxe, al ciclismo, all’ippica della quale si vantava giustamente di essere molto competente. Spesso portava me e Mauro alle riunioni estive delle Bettole: anni e anni dopo, quando per La Prealpina mi capitò di sostituire sulle corse dei cavalli il dottor Mario Carletti, andato a militare, avere Ettore a fianco in tribuna stampa mi faceva sentire inadeguato ma mi dava anche molte garanzie. Peraltro, la sua competenza era insuperabile: non amava tanto scommettere, ma quando lo faceva prendeva quasi sempre il cavallo giusto. Una volta non diedi retta al suo consiglio e ne scelsi un altro: la povera bestia si azzoppò all’ingresso in dirittura, il macellaio arrivò direttamente in pista… Dicevo che gli devo sostanzialmente il lavoro di giornalista. E’ vero: al netto di quello che poi ho messo di mio nel legittimare la spintarella ricevuta, è stato lui a presentarmi a Max Lodi a La Prealpina e poi a mettere una parola buona a La Gazzetta dello Sport – mi scappa da ridere ricordando che più volte gli ho dato le misure dei pezzi: una volta litigammo per i tagli, ma aveva sbordato di brutto con la lunghezza… – quando stava maturando il passaggio alla Rosea (aveva pure posto le basi introducendomi al suo grande amico Marco Cassani, caporubrica basket: entrai in via Solferino quando Marco mancò per un infarto mentre faceva sci di fondo; per i giochi del destino di Cassani ho ereditato la scrivania e il numero interno di telefono). Con Ettore avevo preso l’abitudine, nel periodo della Mobilgirgi, dunque nella metà degli anni 70, di andare regolarmente al palasport. Partendo dallo stesso palazzo e non avendo ancora io la patente, mi dava un passaggio sulla mitica Fiat 124 coupé giallo-ocra: dati i suoi rapporti con Gualco, avevo accesso alla tribuna stampa; mi rendevo utile tenendogli lo scout, anche se a fine partita nella verifica con Paolo Salmini, annotatore ufficiale del club, scoprivi di aver cannato un po’ di cifre. Una sera, tornando in via Magenta, gli dissi che mi sarebbe piaciuto considerare il giornalismo quale professione. Mi rispose senza esitare: “Allora lo dico a Max Lodi e a Pierfausto Vedani”. Altro inciso: Ettore era lo storico corrispondente della “Gazza” ma aveva anche collaborato, in redazione (la domenica sera lo vedevamo uscire per recarsi in via Tamagno), con La Prealpina del Lunedì. La moglie borbottava per questo tempo non dedicato alla famiglia, ma Ettore rispondeva secco (questo me l’ha ricordato Mauro in queste ore per lui difficili): “I soldi delle collaborazioni servono per arrotondare e andare avanti”. La tribù era larga e la libera professione era ancora da venire; e poi all’epoca i giornali pagavano di sicuro di più delle elemosine che elargiscono oggi…
Tornando a me, ricevetti la convocazione alla “Prealpa” in un pomeriggio del gennaio 1978 dopo che ero tornato da una partita di basket con gli amici nella palestra della Scuola Europea. Max mi concesse subito fiducia, l’ambasciata dell’”avucàt” aveva funzionato. Una volta, mentre ero in redazione, Lodi ricevette una telefonata da lui. Gli feci cenno di salutarmelo, ma Max mi passò la cornetta affinché lo facessi io: “Ciao Ettore, come va?” dissi in modo naturale. Lodi strabuzzò gli occhi: “Ma dai del tu all’avvocato Pagani???!!!???” commentò allibito. Incredibile, ma vero: Max non ce l’ha mai fatta, dicesi mai, a dargli del tu. Quella telefonata ha dettato una linea che dura ancora oggi: quando mi capita di sentire Max, lo saluto con l’immancabile “Ciao, sono Ettore”. Quindi, ciao caro Ettore: sei stato un po’ un secondo papà nonostante quel Von Trippen che mi rifilavi. E sappi anche che il “ciao, sono Ettore” non sparirà ora che, purtroppo, non ci sei più.

Flavio Vanetti

Alessandro Burin

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