Da Busto Arsizio con furore” sarebbe un riassunto perfetto, forse un po’ obsoleto nel linguaggio, per descrivere in breve la carriera di Roberto Marcora a livello professionistico. Tennista elegante, dai colpi precisi e dall’ottimo servizio, il bustocco rappresenta una delle eccellenze tennistiche della nostra provincia.

Con un best ranking di 150 ATP in singolare, raggiunto poco prima della pandemia del 2020, Marcora si è tolto più che qualche soddisfazione, soprattutto a livello ITF e Challenger, non disdegnando apparizioni di successo nel circuito maggiore. Ha partecipato con continuità alle qualificazioni degli Slam, mancando però l’approdo nel tabellone principale. Nel settembre 2020 solo un infortunio si è messo di traverso tra lui e il maindraw del Roland Garros, forse l’ultimo vero acuto dell’atleta classe ’89. Ad inizio 2022 la decisione di ritirarsi, poi il ripensamento dopo pochi mesi. Il ritiro ufficiale dalle competizioni, alla fine, è arrivato nel marzo 2023 e adesso è pronto ad intraprendere una nuova tappa della propria vita, nell’azienda di famiglia. Per rivivere le tappe della sua carriera, entrare nelle pieghe di un’avventura entusiasmante nel mondo del professionismo e capire meglio cosa gli riserverà il futuro lo abbiamo incontrato e gli abbiamo posto qualche domanda.

Partiamo proprio dagli inizi della tua carriera. Raccontaci un po’ le prime volte con la racchetta in mano e quando hai capito che questo sport poteva diventare il tuo lavoro
“Sono nato e cresciuto tennisticamente a Busto Arsizio. Il mio primo maestro è stato Paolo Zingale (ancora responsabile del Tennis Busto con ASD Tennis Time Champion, ndr). Il tennis è sempre stata tradizione di famiglia: mio nonno è stato ai vertici della seconda categoria e anche mio padre è sempre stato un amatore appassionato, arrivando ad essere numero 1 ITF Over55. Proprio mio nonno fondò il Tennis Club Busto Arsizio e crescere in un luogo così importante per i miei cari probabilmente mi ha dato una spinta in più. Va detto anche che, però, il professionismo non è mai stato il mio pensiero, dato che fino ai 20 anni non vivevo la routine di un’aspirante pro. Ho frequentato il liceo scientifico pubblico proprio a Busto e, dopo averlo terminato, mi sono iscritto alla facoltà di giurisprudenza. Nell’estate successiva al primo anno di università è arrivata la prima piccola svolta della mia vita tennistica”.

Una semifinale raggiunta contro i pronostici all’ITF di Piombino, giusto?
“Corretto. Ero in Versilia come ogni estate per le vacanze e poco distante ho visto questo torneo internazionale a cui poter iscrivermi. Ho deciso di prendere la palla al balzo e inserirmi in lista, entrando nelle qualificazioni. Dal tabellone cadetto sono approdato sino in semifinale, un risultato clamoroso e impensabile per me. Dalla settimana dopo mi sono trovato numero 900 ATP e già mi sembrava di essere arrivato. Solo il tempo di realizzare questo bel percorso e mi sono detto che almeno un tentativo per diventare un professionista avrei dovuto farlo sapendo quanto sfidante ma bello sarebbe stato fare dello sport che amavo una professione. Poi il resto è venuto tutto da sé”.

Un altro risultato degno di nota è stata la finale ITF raggiunta nel 2014 proprio a Busto Arsizio, nel “tuo” circolo. Ci racconti qualcosa di quella splendida manifestazione?
“Nel parlare di questo torneo sicuramente ci tengo a ringraziare mio padre per il supporto economico ma anche morale che ha dato ai miei primi anni di carriera. Seguendo il mio percorso si è impegnato tanto affinché da Open, il torneo diventasse un ITF 15mila dollari. Una manifestazione unica per la provincia, che ha sempre attratto tanti ottimi giocatori, ma anche tantissimo pubblico e partecipazione. C’era gente da tutto il mondo a giocare quel torneo e poter competere nel circolo che per me era casa faceva sì che io potessi esprimere un tennis di alto livello. Peccato che mi sia mancata la zampata in quella finale contro Stefano Travaglia, persa al terzo set con qualche rimpianto. Il torneo di Busto, però, rappresenterà sempre un bellissimo ricordo per me, ma penso anche per tutto il movimento tennistico dei giocatori e degli appassionati della zona”.

Facciamo poi un ampio salto in avanti e arriviamo alle tue stagioni migliori. Si può dire che tra il 2019 e il 2020 sono arrivate le soddisfazioni più grandi della tua carriera?
“Sicuramente sì. Nel 2015 ero già arrivato al numero 178 della classifica mondiale, ma un brutto infortunio al sovraspinato (contro Gilles Simon a Casablanca, ndr) mi aveva costretto a operarmi e ricominciare da una posizione intorno ai 1000 ATP. Essere tornato ancora più forte e ancora più in alto dopo quel duro colpo è stata per me la vittoria più grande. Ma non fu per niente facile. Devo ringraziare il mio coach di quegli anni, Francesco Aldi, per avermi portato con lui a Palermo, dove ci siamo allenati con grande qualità e intensità e dove, uscendo dalla mia comfort zone, ho ritrovato la forza per fare risultati ancora migliori di quelli che già avevo collezionato. Tra febbraio 2019 e febbraio 2020 ho fatto quattro finali a livello Challenger giocando spesso alla pari con giocatori che si sono rivelati di alto profilo (Sinner, Gerasimov, Bublik e Safiullin su tutti, ndr). Poi, sempre ad inizio 2020, la vittoria più prestigiosa che ho raccolto nella mia carriera, quella con Benoit Paire (all’epoca numero nella top20 della classifica mondiale, ndr) nell’ATP 250 di Pune in India, centrando i quarti di finale. Ero giunto ad un livello tale di qualità tennistica e consapevolezza nei miei mezzi che non nego di aver fatto più di un pensiero alla Top 100, l’obiettivo di tutti i tennisti. Purtroppo, pochi giorni dopo, è arrivato il Covid che si è portato dietro prima il lockdown e poi tutte le varie restrizioni al circuito. È stata una vera mazzata!”

Se guardiamo solamente i risultati, però, sei tornato a competere raccogliendo il tuo miglior risultato a livello Slam con il terzo turno di qualificazioni al Roland Garros del 2020.
“Ci sarebbero tantissime cose da dire di quella settimana, ma cercherò di essere il più breve ma completo possibile. La settimana prima del recupero dello slam parigino si giocava il Master 1000 di Roma (calendario falsato causa pandemia, ndr) e proprio nel secondo turno di quali a Roma mi sono stirato nella partita contro Moutet. Non volevo, però, rinunciare al Roland Garros perché comunque stavo giocando bene. Grazie al medico del foro italico, Claudio Meli, mi sono rimesso in sesto giusto per partire per la Francia, anche se sapevo di non potermi muovere come volevo e di non essere comunque al 100%. Fortunatamente il sorteggio mi aiutò e trovai Wolf (attualmente numero 39 ATP ma che all’epoca non aveva mai giocato sulla terra battuta, ndr) al primo turno. Al secondo turno affrontai Lamasine, che giocava con il favore del pubblico di casa. Durante il terzo set, purtroppo, mi feci male nuovamente e, con grande cuore e grazie a qualche errore di troppo del mio avversario, riuscii comunque a portare a casa il match. Ovviamente, nel turno successivo, non ero in grado di scendere in campo e mi ritirai prima di giocare contro Bonzi. Ero ad un passo dal mio primo tabellone principale di uno Slam e ho dovuto mollare, un’altra bella botta per il mio morale!”

Dopo qualche tempo la decisione di smettere con il tennis. Come hai maturato questa scelta?
“È stato un processo graduale con tante piccole cose che si sono sommate e mi hanno fatto prendere questa decisione. Dopo il 2021, un’annata non facile per me a livello di risultati, ero carico per il 2022. Le bolle, i tamponi e le varie restrizioni per la pandemia che proseguiva non mi facevano stare tranquillo e a mio agio ma sapevo che il 2022 sarebbe stato per me un anno cruciale se avessi voluto continuare a stare ai piani alti della classifica. La preparazione invernale era stata tosta, impegnativa ma soddisfacente, mi sentivo bene. Ecco però che arriva un altro colpo basso del destino: prima di partire per l’Australia, nonostante sia stato attentissimo, ho preso il Covid e ho dovuto rinunciare al primo grande appuntamento stagionale. In quei giorni ho sentito una sensazione simile a quella della bici quando cade la catena. Non avevo più gli stimoli e le motivazioni adatte a continuare e ho deciso, il 19 febbraio 2022, di dire basta”.

Una decisione non definitiva, dato che poi sei tornato a giocare ripartendo da Wimbledon
“La decisione di smettere con il tennis professionistico, con i viaggi intercontinentali e con i tornei l’avevo già presa, ma non volevo che fosse così brusca e senza un degno addio. Ecco perché sono rientrato a luglio 2022 nelle qualificazioni di Wimbledon grazie al ranking protetto e ho continuato a giocare saltuariamente fino a marzo 2023. È stato il mio modo per salutare il circuito nella maniera migliore, un ultimo giro di valzer oserei dire, rivivendo attimi favolosi e rigiocando un’ultima volta quei tornei che hanno segnato il mio percorso da professionista. Sarò sempre grato al tennis per le emozioni che mi ha regalato, per come mi ha fatto crescere a livello professionale ma anche umano e per i viaggi che mi ha permesso di fare. Ci sono stati alti e bassi, ma se mi guardo indietro sento di aver dato tutto a questo sport ma di aver ricevuto altrettanto”.

In tanti anni nel circuito hai affrontato tanti giocatori forti. Cosa ne pensi, dunque, della generazione d’oro del tennis italiano che si sta pian piano imponendo a livello mondiale?
“Diciamo che la Coppa Davis è stato un traguardo importante e che finalmente, qualora ce ne fosse stato bisogno, il nostro movimento e i suoi gioielli e sono sotto gli occhi di tutti. Se mi avessi fatto questa domanda qualche anno fa non avrei avuto dubbi sul luminoso futuro di Jannik Sinner. È un ragazzo splendido e un grandissimo tennista e me ne resi conto sulla mia pelle nella finale di Bergamo del 2019 (ride, ndr). Ci sono tanti altri atleti giovani di alto profilo come Musetti, Zeppieri, Cobolli, Gigante, Bellucci e Arnaldi. Proprio quest’ultimo è forse il ragazzo che mi ha impressionato di più per crescita e attitudine e sono contento per il percorso che sta facendo con il suo coach, il mio amico Alessandro Petrone. Alla sua vittoria contro Popyrin nella finale di Davis mi sono proprio emozionato. Gli appassionati di tennis e gli addetti ai lavori possono mettersi comodi e godersi questi splendidi ragazzi”.

Infine, la domanda più scomoda ma anche quella giusta per concludere: cosa farà Roberto Marcora da grande?
“Smettere di giocare a tennis è sempre delicato. Dal punto di vista sia mentale sia fisico il nostro è uno sport molto dispendioso e logorante e quando si smette non sempre si hanno le idee chiare. Io ho appena terminato il corso FITP per diventare Maestro nazionale (terzo grado della graduatoria da istruttori, ndr), ma, al momento, non ho intenzione di continuare nel mondo del tennis. Ho cambiato vita ricongiungendomi a mio padre e mio fratello nell’azienda di famiglia. Se a tennis ero io quello forte, adesso si è rovesciato tutto (ride, ndr). Operiamo nel campo siderurgico e pian piano cercherò di mettermi a pari, conoscendo più da vicino anche questo settore. È una sfida stimolante e appassionante e stare vicino ai miei cari dopo anni in cui a casa tornavo meno è la cosa che, attualmente, mi rende più felice”.

Filippo Salmini

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