Continua la nostra serie di auguri ad Andrea Meneghin per i suoi 50 anni, che compirà il 20 febbraio.

EDOARDO BULGHERONI, Presidente Roosters Pallacanestro Varese

“Di Andrea mi è sempre piaciuto il sorriso! … ancor più delle risate che è sempre stato capace di scatenare con il suo modo di essere così fuori dagli schemi ed estroverso. Andrea porta un cognome che, da figlio maschio, ha creato fin da quando è nato aspettativa e grande curiosità, sportiva e umana. Compie 50 anni e traguarda un momento importante di riflessione e di bilancio personale. Gli aneddoti sono tantissimi e non saprei sceglierne uno in particolare che non sia stato già raccontato, ritaglierei quindi un pensiero più profondo sul suo lato umano e in particolare la sua capacità di sacrificarsi in un ruolo da “gregario importante” in tutte le squadre in cui ha militato. Oggi però dimenticherei la maglia di Varese e quella della Nazionale (la parentesi bolognese per me non conta…) e mi concentrerei su quella più importante, la sua famiglia! … e le sue donne. Andrea, in campo difensore straordinario (anche per Gianmarco…), nella vita ha prima difeso mamma Lella dai riflettori e crescendo non si è lasciato adombrare dal grande Dino, ma ha brillato della propria luce, non così accecante e per questo molto più calda, nitida e vicina a tutti i sui tifosi! Io in primis! E’ stato capace di capire, quando le anche hanno fatto troppo male, che era il tempo di dedicarsi alle cose più vere della vita e creare un Team nuovo fuori dal campo, stregato da Cecilia e dalle sue splendide ragazze: Carlotta e Francesca. Bravo Andrea! Anche adesso, vestendo i panni del commentatore lasci tanto spazio alla prima voce e riesci a raccontare il nostro sport con una sensibilità speciale. Tanti auguri, Grande Campione!”

CECCO LENOTTI, preparatore atletico Pallacanestro Varese

“Descrivere il “Menego” – esordisce il professor Lenotti -, è una grande responsabilità perchè con Andrea Meneghin ho avuto, e ho tuttora, un rapporto che definirei quasi intimo, più improntato a un’amicizia profonda che ad una semplice relazione professionale tra giocatore e preparatore atletico. Sono molto affezionato al Menego e quella con Andrea è senza ombra di dubbio l’unica amicizia di grande spessore che ancora mi lega al mondo del basket. Ci siamo conosciuti quando, nel 1995, Andrea mi chiede un aiuto per superare alcuni problemi di instabilità al ginocchio sinistro. Nelle lunghe e tante ore trascorse a lavorare insieme ho avuto modo di ri-conoscere in Andrea un ragazzo dotato di bellissime qualità umane. Insieme a lui ho sempre lavorato molto bene, sia perchè il Menego, quando c’era da allenarsi non si è mai tirato indietro, sia perchè, è cosa nota, aveva delle qualità fisiche uniche e straordinarie e per me che arrivavo dall’atletica era uno “zucchero” poter verificare programmi di preparazione con un’atleta di quel fantastico livello. Per rendere l’idea di quanto fosse un supera-atleta dico solo che Andrea, senza allenamenti specifici, correva i 400 metri in meno di 48 secondi, un tempo di interesse nazionale. Poi, per spiegare la reattività delle sue fibre muscolari, aggiungo che insieme al Poz erano gli unici a fare 20 metri sotto i 3 secondi. Però, a differenza di Gianmarco che sul lungo cedeva, Andrea aveva un’incredibile resistenza alla velocità, qualità determinante tra i giocatori di pallacanestro. E, ancora, nei nostri “simpatici” test in pista, che inevitabilmente si trasformavano in sfide all’ultimo sangue, io riuscivo a tenere il suo passo fino ai 300 metri, poi Andrea cambiava passo e, salutandomi ironicamente, negli ultimi 100 metri me ne dava 25 di svantaggio. Insomma: una “motore” atleticamente perfetto messo al servizio della pallacanestro”.

Come giocatore, che descrizione ne fai?
“In maniera stringata potrei chiudere il discorso sul Menego con una sola definizione: grandissimo. E non servirebbe aggiungere altro. Sotto il profilo tecnico non vorrei nemmeno entrare in argomento perchè, immagino, lo abbiano già fatto altri molto più preparati di me. Pertanto, mi soffermo più sugli aspetti mentali che riguardano la relazione tra Meneghin e la pallacanestro. Fin dal nostro primo incontro mi ha stupito la sua capacità di vivere le responsabilità in maniera diversa da tutti gli altri atleti che ho avuto il privilegio di conoscere e con cui mi sono confrontato. Ma nel caso del “Menego” parliamo di un giocatore con grosse capacità dal punto mentale. Avendo avuto la fortuna di poter analizzare attentamente i ragazzi nei classici rituali pre-partita ho sempre visto in Andrea un giocatore capace di sentire al 100% l’importanza di una gara, ma senza subirla.  Senza frasi travolgere dallo stress, dalla pressione o dall’ansia perchè sempre abbastanza tranquillo, padrone di se stesso e in grado di gestire con buona serenità le situazioni intorno a lui”.

Tu, però, ad un certo punto della sua carriera, ovvero negli anni 2003-2004 hai visto Andrea andare in seria difficoltà. Spiegaci come, da preparatore atletico hai, e avete, vissuto quei momenti?
“Rievocare quel periodo mi mette tristezza perchè – continua Cecco – mi ritorna in mente la grande frustrazione provata per non averlo potuto aiutare come avrebbe meritato. Tuttavia, facendo un passo indietro, cominciamo col dire che Andrea in quel periodo tiene sempre nascosto il suo serio disagio fisico. Ad essere al corrente del suo importante e ingravescente problema alle anche siamo solo in tre: il dottor Mario Carletti, Sandro Galleani e il sottoscritto. Nemmeno gli allenatori ne hanno una conoscenza dettagliata. Dal mio punto di vista Meneghin, ragazzo molto riservato, con questo comportamento, che denota notevole sensibilità, non vuole buttare addosso alla squadra altri problemi o preoccupazioni. Figurati che ad un certo punto del percorso di riabilitazione, mentre sono a Valencia impegnato nella Coppa America di vela, gli propongo addirittura di raggiungermi in Spagna per continuare gli allenamenti in un luogo protetto, lontano dalle rotture di scatole e dalla pressione che, siamo nel 2004 anno delle Olimpiadi di Atene, tutto l’ambiente della pallacanestro italiana gli trasferisce. Andrea, però, sempre più dolorante declina l’invito e dopo averci provato in tutte le maniere da lì a poco deciderà di appendere le scarpe al chiodo. A me non resta altro che raccoglierne sia le lacrime versate per il dolore fisico provato sia quelle, virtuali, legate all’addio forzato dal parquet di uno dei più forti giocatori italiani di sempre. Forse il più forte in assoluto. Poi, a conclusione di questa chiacchierata, dico che nella  logica del contrappasso dantesco, sono felicissimo che Andrea nel prosieguo del suo cammino abbia avuto la gioia di una bellissima famiglia. Andrea adora la sua Cecilia e le sue stupende figlie e, insomma, proprio perchè gli voglio un gran bene sono contento che la vita gli abbia restituito quello che la pallacanestro, in forma subdola e un po’ troppo presto, gli aveva tolto>” 

CRISTIANO ZANUS FORTES, compagno di squadra Pallacanestro Varese

“Mi considero un giocatore fortunato. Molto fortunato. Per due motivi. Il primo, ovvio, è quello di essere approdato nel posto giusto, a Varese, nel momento giusto, l’anno della conquista della “Stella”, circondati dagli uomini giusti, tutti i miei compagni di quella fantastica avventura, e, infine, nel periodo giusto, anzi, perfetto per godermi fino in fondo una sensazione unica e specialissima: vedere all’opera colui che in quegli anni era considerato il più forte giocatore d’Europa: Andrea Meneghin. Quanto fosse straordinario Andrea come giocatore penso l’abbiano già sottolineato tutti quanti, ma io vorrei accodarmi al parere generale e confermare: sì, Andrea, è stato un giocatore pazzesco. L’unico che io abbia conosciuto in grado di vincere una partita pur facendo “virgola”, quindi zero punti a referto. Il perché di questa mia affermazione è semplicissimo: il “Menego” aveva tutte le qualità per vincere una partita prendendo rimbalzi, facendo assist, leggendo il gioco alla perfezioni oppure, è successo in tantissime occasioni, difendendo come una “bestia” sul più pericoloso giocatore avversario. Però, quello che forse tanti tifosi non sanno è che Andrea era sensazionale in campo quanto era favoloso in spogliatoio. Il Menego è sempre stato il compagno di squadra ideale, quello che tutti vorrebbero sempre avere per le sue doti naturali di leader. Andrea aveva un parola e un pensiero positivo per tutti e, aspetto determinante, sapeva cogliere il momento perfetto per ascoltarti, darti un consiglio, fare una battuta divertente, dire la cazzata giusta per stemperare la tensione e, ancora più importante, regalare al gruppo una delle sue risate trascinanti oppure uno dei suoi temutissimi e stritolanti abbracci ai quali facevi fatica a sottrarti. Così come facevi tantissima fatica per evitare i suoi terribili scherzi perché, questo particolare forse lo conoscono in pochi, il vero pazzo della nostra squadra era proprio il Menego e non, come si usava dire, Gianmarco Pozzecco. E, aggiungo, quando ti prendeva di mira erano dolori. Veri. Poi, ogni tanto, capitava che qualche scherzone gli si ritorcesse contro. Per esempio ricordo quella volta in cui, in sede di preparazione atletica estiva Andrea che in moto precedeva la comitiva, nel tragitto dal palazzetto al Palace, fece finta di aver avuto un incidente. Noi lo trovammo vicino all’oratorio di Masnago steso per terra apparentemente senza vita con il casco lontano qualche metro e la moto ribaltata per strada. Tutti spaventati scendemmo in fretta dalle macchine per dargli aiuto e soccorso e quando arrivammo a trenta centimetri il Menego si alzò di scatto facendo un serie di risate, urla senza senso e divertendosi come un matto. Solo che nel frattempo il Menego, tutto preso dall’adrenalina, non si era accorto che il polpaccio destro, ustionato dalla marmitta, gli stava praticamente andando a fuoco e le urla diventarono in fretta quelle di un uomo colpito davvero da dolori lancinanti. Sorvolo sulle prese in giro delle tre settimane successive quando, infilandosi i pantaloncini per fare allenamento, gli vedevamo la vistosa fasciatura che gli copriva gran  parte della gamba ferita e immediatamente partiva il coro “Menego? Pirla!”. Era davvero il minimo “.

Carissimo “Zus”, in seguito il Menego lo ritrovi, di ritorno dalla Fortitudo, nella stagione in cui appende le scarpe al chiodo: che ricordo ne hai?
“Porto con me, incancellabili, le immagini di un giocatore, ma soprattutto di un caro amico in grandissima difficoltà. Un’immagine amara, davvero triste perché Andrea, pur manifestando in tutti i modi la sua voglia di essere utile alla squadra, non riesce proprio ad allenarsi e a stare bene fisicamente. Andrea, in accordo con Cecco Lenotti e con lo staff medico, prova davvero tutte le strade ma, alla fine,  sopraffatto e, purtroppo, vinto dal dolore è costretto a smettere con la pallacanestro giocata ad alto livello. Ricordo quando in spogliatoio, con un filo di voce, mi disse “Zus, per me è finita. Sono arrivato al capolinea. Fine della mia corsa. Mi tocca scendere. Però, tu che ancora puoi, continua questo viaggio perché giocare è bellissimo…””.

Massimo Turconi

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