Un metodo di formazione calcistica che poggia su quattro pilastri: questo il concetto sviluppato da Ten Training, che dal 2022 offre allenamenti di perfezionamento tecnico individuale, collaborando parallelamente con diverse società del nostro territorio. Quali sono questi quattro componenti? Strettamente correlati tra loro, tecnica adattata, tattica, aspetti motori-coordinativi e aspetti cognitivi costituiscono il paradigma sportivo di Ten. Approfondiremo, uno dopo l’altro, ognuno dei quattro fattori, in una rubrica che ci porterà alla scoperta non solo dell’operato di questa realtà, ma anche e soprattutto di tutti quegli elementi spesso sottovalutati o trascurati, e che invece sono il segreto per una pratica sportiva costruttiva, volta al miglioramento complessivo dell’atleta e della persona. Ne parliamo insieme a Fabio Mascetti, trainer e coordinatore tecnico dell’associazione, nonché allenatore con un’esperienza più che ventennale in club italiani e svizzeri.

Cominciamo dall’inizio: cosa ti ha portato, insieme ai soci, alla fondazione di Ten Training?
“Innanzitutto devo dire che sono molto orgoglioso di come ci siamo conosciuti. Federico, uno degli altri soci, è stato un mio giocatore in Svizzera una decina di anni fa e da allora siamo rimasti in ottimi rapporti. A un certo punto del suo percorso di calciatore, gli si è prospettata davanti una scelta, ovvero se restare a giocare in Italia o in Svizzera, oppure andare a fare un master in America, pagando parte della borsa di studio proprio tramite il calcio. Si è confrontato con me, gli ho consigliato di partire e proprio in questa esperienza ha conosciuto l’altro socio, Mattia, che a sua volta ha lavorato insieme a Giovanni per la società che organizza questi viaggi studio. Qualche tempo dopo, nella primavera del 2021, Mattia e Giovanni hanno deciso di organizzare uno showcase nel Canton Ticino; chiedendo contatti a Federico per i suoi trascorsi in Svizzera, sono arrivati a me e da lì a poco è nato il progetto di aprire una nostra attività. La prima è stata avviata in Svizzera e si occupa di consulenza a livello sportivo con società di vari sport del mondo professionistico, mentre un anno dopo abbiamo deciso di aprire una società sportiva in Italia specializzata nella formazione di calciatori (Ten Training, ndr). Abbiamo iniziato con i giocatori di movimento e da quest’anno ci stiamo dedicando anche all’allenamento dei portieri. Vedremo come evolverà la situazione, ma l’idea è di ampliare la nostra offerta anche ad altri sport”.

Il tuo percorso più che ventennale nel mondo del calcio è un valore aggiunto per la vostra società. Cosa puoi raccontarci delle tue esperienze?
“Circa venticinque anni fa giocavo in Italia, ma avevo anche il forte desiderio di allenare. Iniziai in quello che un tempo era il Castiglione Olona e il mio primo maestro è stato il coach Piercarlo Mentasti, con cui ho collaborato a livello di scuola calcio, allenando le annate ’92, ’93 e ’94. Ogni tanto sento ancora alcuni ragazzi, di cui qualcuno è già diventato papà, e penso che la bellezza dello sport risieda proprio nel creare rapporti che rimangono per tutta la vita. Dopo quella prima esperienza, ho preso il patentino e mi sono avvicinato a diverse società: sono stato due anni a Mendrisio, poi sono tornato in Italia e ho trascorso quattro o cinque anni nell’allora Insubria, al Centro Tecnico Milan, uno dei tredici sul territorio italiano. Lì ho avuto la fortuna di conoscere l’allenatore Gigi Romano, una figura che per me è fortemente di riferimento e che considero un padre a livello calcistico. Da lì, ho potuto stringere contatti con il Lugano, dove ho lavorato per sei anni sotto la presidenza di Leonid Novoselskiy, una persona con una mentalità rivoluzionaria che mi ha permesso di ricevere una formazione importante a fianco di coach spagnoli, belgi e olandesi, oltre a girare l’Europa e confrontarmi con tantissime realtà. Attualmente, collaboro a livello di Under 19 e Under 17 a Lugano e alleno la Prima Squadra del Vedeggio, che ha una rosa composta quasi interamente da giocatori di età inferiore ai ventiquattro/venticinque anni. Finora è stato un bellissimo percorso, e a tal proposito vorrei fare una menzione speciale anche per l’allenatore Paolo Malnati, che mi ha portato per la prima volta in Svizzera. È un caro amico – anzi, un fratello – con cui condivido non solo la visione calcistica, ma anche l’idea di come dovrebbe essere lo sport. Ecco, diciamo che queste sono le quattro persone che hanno avuto un ruolo importante nella mia formazione”.

Catapultandoci nel mondo Ten Training, quali sono le tue mansioni in qualità di coordinatore tecnico?
“Sono la figura della società che ha la responsabilità tecnica del gruppo, il che comprende lo sviluppo della metodologia di lavoro, i colloqui con gli aspiranti allenatori e la formazione dei nostri trainer. Sotto di me, ci sono collaboratori tecnici che seguono determinate zone del territorio e mi riportano i feedback sugli allenamenti, sia per quanto riguarda i trainer che gli iscritti. Poi, quando il tempo me lo permette, alleno anch’io”.

Entriamo nello specifico, approfondendo uno dei quattro pilastri su cui si fonda il vostro modus operandi. Cosa si intende per tecnica applicata?
“Insegnare la tecnica applicata significa curare un gesto tecnico che non è fine a se stesso, ma che al contrario ha sempre uno scopo preciso e viene applicato in un contesto di gioco il più realista possibile”.

In percentuale, quanto incide questo componente sul metodo Ten?
“Tutti i componenti della nostra metodologia sono importanti, ma ovviamente incidono in modo diverso in base all’età dell’allievo. All’inizio dell’attività calcistica, nei bambini dai quattro ai sei anni, gli aspetti che hanno un peso maggiore sono quelli motori-coordinativi e cognitivi, perché qualsiasi gestualità tecnica poggia su una base motoria e più questa è solida, più il gesto avrà efficacia. In questa fascia d’età, la tecnica viene inserita sotto forma di gioco, mentre la tattica è un aspetto più marginale, ma comunque presente. In percentuale, possiamo dire che gli allenamenti dei più piccoli prevedano un 30% di aspetti motori, un 30% di aspetti cognitivi, un 30% di tecnica e un 10% di tattica, che verrà incrementata gradualmente nelle fasi successive e solo verso i quattordici/quindi anni arriverà alla pari degli altri componenti”.

Pensi che al giorno d’oggi, tra chi si avvicina per la prima volta al calcio o già lo pratica da tempo, ci sia abbastanza consapevolezza della tecnica applicata e, più in generale, dei quattro componenti? Da parte vostra, come cercate di sensibilizzare al riguardo?
“Secondo noi, il principale problema è che attualmente, a livello di monte ore, c’è un forte divario tra gli sport di squadra come il calcio e quelli individuali come il nuoto o la ginnastica artistica. Nel primo caso, ci si allena veramente poco; oltre al fatto che in Italia scuola e sport sono ancora due realtà separate, al contrario di altre nazioni, dove lo sport porta beneficio alla scuola e la scuola allo sport. La conseguenza è che i nostri ragazzi fanno poche ore di movimento. Un tempo, per lo meno, ci si divertiva nei cortili, negli oratori, per le strade, e in questo modo, senza neanche saperlo, si compievano attività con una forte prevalenza di aspetti cognitivi e sperimentazione. Ora, invece, vengono proprio a mancare ore di gioco e di esperienza motoria a trecentosessanta gradi. È per questo motivo che la nostra metodologia si propone di colmare queste lacune aumentando il carico di lavoro. Chi sceglie i nostri pacchetti lavora un’ora in più alla settimana di quanto succede normalmente ed è seguito molto da vicino, dato che gli allenamenti sono individuali o per piccoli gruppi di un massimo di sei atleti. Il focus sono proprio quegli aspetti motori e cognitivi che, come detto, si stanno perdendo”.

Il tempo dedicato all’attività è un fattore determinante. Cos’altro ispira il vostro metodo?
“Bisogna essere realisti e dire le cose come stanno. Io faccio sempre il paragone tra un ragazzo o una ragazza di dodici anni che gioca a calcio e un ragazzo o una ragazza della stessa età che pratica il nuoto o la ginnastica: stiamo parlando, a settimana, di cinque o sei ore contro nove o dodici. Per non parlare del fatto che tante volte si usa in maniera sbagliata la parola talento, pensando che sia un dono di madre natura per raggiungere traguardi importanti. E al contrario non è solo questo, ma il frutto della costanza e del lavoro, dell’allenarsi per tre ore tutti i giorni. Quando parliamo alle famiglie, spieghiamo molto chiaramente che se il figlio vuole venire ad allenarsi con noi solo perché la sua idea è di diventare un giocatore professionista, allora parte già col piede sbagliato, perché le ore di allenamento con la sua società, più le ore di allenamento con noi, non basteranno. Se invece l’idea è di iniziare un percorso per migliorare gli aspetti motori-coordinativi e tutti quei fattori di cui abbiamo parlato, allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda,

Silvia Alabardi

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