Giuseppe Scavo scalpita per tornare in panchina. Dopo che le strade tra lui e il Club Milano si sono divise lo scorso giugno non è ancora arrivata la chiamata giusta, quella che gli permetterebbe di ripartire dalla categoria che ha conquistato sul campo coi meneghini e che è riuscito a difendere senza troppi patemi l’anno successivo da neopromosso. Perché, dopo aver salutato l’Eccellenza due stagioni fa con la cavalcata trionfale che ha portato la squadra più giovane del campionato a vincere i playoff nazionali, il tecnico vincitore della Panchina d’Oro Varese Sport 2023 vedrebbe il ritorno nel massimo campionato regionale come un passo indietro nella sua carriera.
Sei subentrato sulla panchina del Club Milano a stagione in corso nell’ottobre 2021 e in tre anni l’hai portato in Serie D riuscendo anche a difendere la nuova categoria conquistata. Qual è stato il segreto di questo miracolo sportivo?
“Il segreto è che siamo riusciti a creare un gruppo di lavoro che aveva ben chiaro in mente l’obiettivo e che lavorava da professionista sia fuori che dentro il campo per raggiungerlo, cosa non facile da trovare nei dilettanti. Ogni dettaglio veniva curato nei minimi particolari e questo ha portato molti giocatori a performare meglio rispetto alle loro precedenti esperienze, sintomo di una crescita importante non solo come collettivo ma anche nei singoli. Per questo va reso merito anche a loro per come si sono messi a disposizione, meritando di togliersi queste soddisfazioni. La nostra forza derivava da un progetto chiaro indicato dalla società che ha lavorato insieme a noi giorno dopo giorno scommettendo sugli uomini giusti, dentro e fuori dal campo. Ha dato il tempo a giocatori dal potenziale importante ma ancora inespresso di poter dimostrare il loro valore senza mettergli troppa pressione. Dall’esterno i nostri risultati possono essere stati visti con sorpresa, ma dentro allo spogliatoio eravamo tutti ben consapevoli di quello che stavamo facendo”.
Dopo aver conquistato la Serie D e aver dimostrato di poterci stare, la tua volontà è quella di giocarti ancora le tue chances in questa categoria?
“Questi mesi fermo mi stanno dando modo di realizzare quello che abbiamo fatto gli anni precedenti, perché vivendoli dall’interno giorno per giorno non riesci a capire bene il valore dei risultati raggiunti. Ora invece riesco a vedere con chiarezza il lavoro che abbiamo fatto e che ci ha permesso prima di arrivare in Serie D e poi di dimostrare che possiamo starci. Se nel calcio c’è meritocrazia mi aspetto di ricevere una chiamata per avere la chance di confermarmi nel massimo campionato dilettantistico, anche se sono ambizioso e spero un domani di poter salire ancora di categoria arrivando in Serie C”.
A proposito di meritocrazia, cosa ne pensi della scelta del Varese di affidare la panchina a Roberto Floris?
“Sono molto contento che hanno puntato su Floris perché non hanno scelto un nome importante ma hanno guardato al suo percorso: ha fatto molto bene a Bra e merita questa occasione, ha vinto la meritocrazia. Tra l’altro ha cominciato subito col piede giusto sia in campionato che in Coppa Italia e, dopo qualche stagione al di sotto delle aspettative, finalmente i biancorossi possono cullare il sogno di tornare dove meritano. Quello di Floris è lo stesso percorso che vorrei fare io: dopo tre anni ottimi al Club Milano mi aspetto che ci sia meritocrazia e che mi venga data un’altra occasione per dimostrare di valere questa categoria”.
Uno dei momenti chiave della tua esperienza al Club è stato nel secondo anno, quando dopo un’ottima partenza c’è stata una flessione ma la società non ti ha messo in discussione, permettendoti di continuare a lavorare in serenità. Scelta che si è rivelata vincente da lì a pochi mesi coronando una strepitosa cavalcata. In categoria però ci sono anche piazze dove si viene messi in discussione dopo ogni partita.
“Spero che la chiamata giusta arrivi da una società come quella del presidente Marrone, che ha un progetto chiaro, sa quello che vuole e dà tempo all’allenatore di entrare nella testa dei ragazzi. Penso che questa ad oggi sia una delle mie caratteristiche migliori, anche grazie allo staff che collabora con me. In Serie D, così come in Eccellenza, è fondamentale trasmettere la mentalità vincente. Credo che il punto di svolta della mia gestione al Club Milano sia stato il lunedì dopo la sconfitta sul campo dell’Accademia Pavese due anni fa, quando stavamo attraversando un momento particolarmente difficile. Lì abbiamo capito che in queste categorie per ottenere certi risultati non puoi dominare tutte le partite, ma che per vincere bisogna essere più umili e affrontare alcuni avversari in un’altra maniera badando più al sodo”.
Sei un grande osservatore di calcio e so che ti stai tenendo costantemente aggiornato sui gironi di Serie D, che è un campionato particolare perché ci sono tante nobili decadute come Varese, Piacenza, Siena, Livorno, ma anche nuove realtà ambiziose come Varesina e Desenzano. Allo stesso tempo ci sono giocatori a fine carriera che negli anni d’oro hanno militato anche in Serie A, come Paloschi, ma anche tanti giovani affamati che vedono questa categoria come un trampolino di lancio per arrivare tra i professionisti. Come si vince in una categoria così tanto eterogenea?
“Innanzitutto va detto che quello di Serie D è il campionato più complicato perché per salire in C bisogna per forza arrivare al primo posto nel girone, mentre nelle altre categorie si può anche passare dai playoff per ottenere la promozione. La chiave per riuscire a vincere è costruire un gruppo compatto che abbia un comune obiettivo, composto sia da giovani con tanta voglia di mettersi in mostra sia da elementi più esperti ma che hanno ancora voglia di lottare su ogni pallone e che vivono per vincere le partite. Troppe volte si vedono squadre che vogliono far vedere di saper giocare bene anteponendo la qualità del gioco ai risultati. Ma chi parte con l’obiettivo di vincere deve innanzitutto pensare ai tre punti, sapendo anche mettere da parte l’estetica quando necessario per pensare prima di tutto a fare risultato. Poi è chiaro che per vincere tante partite serve un gioco collaudato, non si può vivere d’improvvisazione”.
La prima volta che ti ho intervistato allenavi la Primavera della Pro Sesto, quattro anni fa. Com’è cambiato il Beppe Scavo allenatore in questi anni?
“Credo di essere cambiato tantissimo, sia come proposta sul campo sia a livello caratteriale: quando ho smesso di giocare ero molto istintivo. Alla Pro Sesto pensavo ancora troppo come giocatore, il tempo mi ha aiutato a passare dall’altra parte. È un processo continuo che mi sta rendendo un allenatore diversissimo rispetto a quattro anni fa. Anche come proposta di gioco, perché sto imparando a cambiare ogni anno per cercare di valorizzare di volta in volta le caratteristiche dei giocatori che ho a disposizione, restando però sempre fedele ai miei principi che si basano su una forte cultura del lavoro. Una delle mie caratteristiche principali è l’umiltà: ascolto ben volentieri i consigli di tutti, anche da ragazzi più giovani di me: ho sempre voglia di imparare e migliorarmi, non voglio accontentarmi di quello che sono oggi e lavoro costantemente per accrescere le mie competenze. Anche per questo, come dicevo prima, tra dieci anni m’immagino in una categoria superiore alla Serie D”.
Alex Scotti