Perché il portiere?Ci sono finito per caso, e non me ne sono più andato”. Lorenzo Piras è un portiere frutto del destino, ma quello stesso destino se l’è costruito lui con passione, abnegazione e tanta determinazione. Qualità che hanno portato il classe ’06 a diventare il numero uno del Varese in una stagione cruciale per tutto il macrocosmo biancorosso, e Piras ha già dimostrato di essere pronto ad assumersi tutte le responsabilità che il suo ruolo comporta.

“Ho iniziato a giocare nel Marene – prosegue Piras -, la squadra del mio piccolo Paese in provincia di Cuneo. All’epoca, avevo più o meno 6 anni, non c’era il portiere e quindi ci si adattava a rotazione: quando è toccato a me andare in porta me ne sono innamorato e ci sono rimasto. Insieme ai miei compagni ho poi fatto un camp estivo della Juventus, più che altro per divertirmi, ma sono stato notato e a 10 anni sono finito a fare un provino per la Juve: in bianconero ci sono rimasto fino a due anni fa prima di esordire in Serie D con il Bra nella passata stagione”.

Tifosissimo della Juve, cosa ha significato per te quel periodo?
“Sono stati anni meravigliosi a maggior ragione arrivando da una famiglia di juventini sfegatati. Ero un bambino e, venendo riconfermato anno dopo anno, sono cresciuto non solo come calciatore ma soprattutto come persona. Se non ci fossi arrivato così giovane non sarei la persona che sono oggi. Ho avuto modo di girare per mezza Europa giocando tornei internazionali e, avendo i biglietti per la Prima Squadra, sono riuscito a vedere dal vivo partite pazzesche: in Champions League non me ne perdevo una, ho visto la rovesciata di Cristiano Ronaldo, la super vittoria per 3-0 sul Barcellona e il 3-0 sull’Atletico Madrid. Emozioni pazzesche”.

Qual è l’esperienza cui sei più affezionato?
“In un torneo a Dubai, in cui siamo anche arrivati in finale, ci siamo sentiti giocatori veri: colazione a buffet e merenda come i professionisti, poi giocare in un piccolo stadio con le partite trasmesse dalla TV araba e interviste post-partita a 13 anni fa un bell’effetto, anche perché entravamo in campo accompagnati da una musica di sottofondo. Cito anche un torneo fatto a Bruxelles: abbiamo vinto ai rigori e io ho parato l’ultimo. È stata un’emozione pazzesca. In generale, però, ogni anno è stato a suo modo indimenticabile: conservo gelosamente le maglie di ogni annata, e una l’ho portata qui a Varese come portafortuna”.

Vedendo la fede immagino sia una domanda abbastanza scontata: chi è il tuo modello di riferimento?
“Ovviamente non può che essere Gianluigi Buffon, ma posso fare anche altri nomi. Per come interpreta il ruolo mi piace Mike Maignan, mentre per caratteristiche fisiche un po’ simili alle mie dico Yann Sommer e David Raya”.

C’è stata una persona particolarmente importante per la tua crescita personale?
“Pietro Pipolo, oggi preparatore dei portieri della Juventus Next Gen in Serie C, che mi ha allenato in U15. Era l’anno del Covid, io facevo il secondo, ed era da sei mesi che non andavo in porta: era come se avessi paura di tuffarmi. Rispetto ai miei compagni ero meno sviluppato a livello fisico, ma lui ha visto qualcosa in me e ogni giorno mi faceva entrare in campo prima degli altri e si fermava con me dopo aiutandomi sotto tutti i punti di vista. Senza di lui sarei oggi un altro tipo di portiere perché è riuscito a darmi enorme fiducia”.

Dopo la Juve, il Bra: come sei arrivato in Serie D?
“La scorsa estate ho fatto il ritiro con la Juve pur sapendo che sarei stato il terzo portiere in Primavera, per cui avevo già maturato la decisione di trovare una squadra in cui giocare. Ero convinto di avere più mercato, ma a fine luglio non mi erano ancora arrivate proposte. Il direttore Montanaro e mister Floris hanno invece creduto in me portandomi a Bra e in giallorosso ho vissuto un’annata straordinaria, anche se alla fine è sfumato l’obiettivo playoff. Se fossi rimasto alla Juve probabilmente quest’estate non avrei ricevuto tutte le offerte che mi sono arrivate, tra cui quella di Varese che non ho potuto non accettare: oltre a ritrovare mister, ds e alcuni compagni, qui c’è l’ambizione di fare qualcosa di davvero importante”.

Com’è stato il primo impatto in biancorosso?
“Spettacolare. Il primo giorno di ritiro il mister ci ha detto di aver scelto gli uomini prima dei giocatori e mi sono bastati pochi minuti per rendermi conto che non era una frase fatta, ma la pura verità: questo Varese è un gruppo di persone vere, sempre lucide e pronte a dare un consiglio. I veterani sono semplicemente pazzeschi e danno sempre una mano a noi giovani sotto tutti i punti di vista: spesso arriviamo al campo prestissimo e passiamo tanto tempo a parlare del più e del meno. Poi, chiaramente, ci sono anche le qualità tecniche e in questa squadra di certo non mancano”.

Per te è la prima esperienza lontana da casa: come ti stai trovando da questo punto di vista a Varese?
“Dopo 15 giorni mi sono aperto la faccia, per cui il primo mese è stato un po’ particolare (ride, ndr). A settembre ci ho messo un po’ ad abituarmi alla routine: uscivo di casa alle 7.00 per andare a scuola e, se andava bene, rientravo alle 18.30, dovendo poi gestire tutte le faccende di casa e organizzarmi il giorno dopo. Finiva che facevo la metà delle cose. Poi ho iniziato a darmi delle priorità gestendo meglio i miei ritmi e adesso la sera ho addirittura del tempo libero (ride ancora, ndr) che passo ovviamente a giocare a carte con Daqoune e Giorgi con cui condivido la casa”.

E la tua famiglia in tal senso è presente?
“Ovviamente sì, mamma Lucia e papà Fabrizio sono i miei primi tifosi in assoluto e non si perdono una partita: penso che da quando ho dieci anni papà ne abbia saltate solo tre. Quest’anno ci saranno sempre. Poi c’è anche mio zio Andrea, che a sua volta ha fatto il portiere: con lui mi confronto molto proprio da un punto di vista tecnico, soprattutto per le situazioni di gioco su cui ho dei dubbi”.

Passiamo ora all’attualità: il Varese subisce troppo?
“Se ci si basa solo sui numeri la situazione potrebbe sembrare disastrosa, ma in realtà stiamo lavorando bene e siamo tranquilli perché tra di noi abbiamo analizzato il modo in cui sono arrivati questi dieci gol: c’è fiducia, non può sempre girar male”.

Quanto è importante, per quel che ti riguarda, saper reagire da un punto di vista mentale? Proprio perché il Varese subisce pochissimo a livello di gioco, e in questo non mancano i tuoi ovvi meriti, il numero dei gol subìti appare ancor più evidente.
“È frustrante prendere gol sull’unico tiro pulito che riescono a farti. Poi magari vinci, ma per un portiere non è mai facile perché sai di aver giocato bene eppure c’è quel gol al passivo. È importante quindi saper vivere il momento, esser consapevole di non poterci far più nulla e di concentrarti per non prenderne altri. È un aspetto che si allena, mister Abaterusso è fenomenale da questo punto di vista perché con lui puoi parlare apertamente di qualsiasi cosa, e anche i compagni mi danno una grossa mano scherzando con me negli spogliatoi. Quando mi dicono che il Varese gioca senza portiere riescono sempre a strapparmi un sorriso, anche perché sanno che con una difesa così forte spesso il mio lavoro passa inosservato, quando invece sono proprio io a guidare i compagni e a chiamare le posizioni”.

Qual è il tuo rapporto con Ferrari?
“Il gruppo portieri è un mondo a parte ed è davvero piacevole allenarsi con Ferro e con il mister. Il suo non è un ruolo facile, io ho faticato molto a fare il vice perché sai di giocare poco e di doverti metterti a disposizione del tuo compagno per supportarlo: lui in questo è eccezionale perché quando sbaglio sa sempre dire la cosa giusta. Quando toccherà a lui, e accadrà presto perché se lo merita ed è davvero forte, voglio ricambiare. Credo che il nostro abbraccio al triplice fischio di Borgaro valga più di mille parole”.

Qual è la miglior qualità del Varese?
“Non siamo una rosa lunga, ma chiunque va in campo dà l’anima: non importa se giochi questa partita, quella dopo o quella dopo ancora. Penso a un Gubellini che, dopo la splendida partita con il Fossano, è rimasto in panchina a Borgaro o, viceversa, a un Malinverno che appena lanciato titolare ha subito segnato; tra l’altro ne ero certo al punto che in rifinitura, mentre provavano le punizioni, avevo detto a Priola che Mali avrebbe segnato a Borgaro. Tutti sono ben consapevoli della loro importanza e ognuno è pronto a dare ogni briciola di energia per i compagni”.

E, infine, qual è la tua ambizione per quest’anno?
“Voglio in primis crescere come persona perché comunque vivere un’esperienza del genere lontano da casa è davvero formativa. A livello sportivo devo solo rubare e apprendere il più possibile dai grandi che ho davanti, gente che non c’entra nulla con questa categoria. Per quel che mi riguarda è importante poi allenare la personalità: gioco con ragazzi che hanno vent’anni più di me, ma se sbagliano devo essere io a cazziarli. Sono contento del percorso che sto facendo e sono felicissimo di poterlo fare qui a Varese”.

Matteo Carraro

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