E’ l’uomo del momento in casa Pallacanestro Varese. Matteo Librizzi si è preso la scena del mondo biancorosso a suon di punti e giocate, quelle messe in mostra nella sfida della scorsa settimana contro Trapani, in una partita chiusa con 18 punti e 8 assist dal numero 13 in maglia Openjobmetis.

Una partita figlia del lavoro, tanto, che Libro ogni giorno fa in palestra per quello che è il suo amore da sempre, fin da quando suo zio lo porto per la prima volta a Masnago.

Si ricorda la sua prima volta al palazzetto?
“Sì, assolutamente. Era l’anno dell’A2, nel 2008 ed ero con mio zio. Non mi ricordo molto bene la partita ma ciò che mi rimase impresso furono i capelli di Nikagbatse”.

Cos’è per lei Varese?
“Varese è casa. Sia la città in sé che la squadra sono una famiglia, ci sono cresciuto ed ho vissuto questo in ogni ambito: come tifoso prima e come giocatore ora. E’ la squadra e la città per cui voglio dare tutto ed è anche facile fare questo, perché mi sento spinto da un’amore davvero incondizionato per questi colori”.

Il fatto di essere ormai da diversi anni in pianta stabile con la Prima Squadra ha influenzato i suoi rapporti con gli altri coetanei nella vita al di fuori del basket?
“Da quando ho iniziato a giocare davvero con Roijakkers, tanta gente che non conoscevo, dal ragazzo della mia età al tifoso o al bambino, hanno iniziato a chiedermi un confronto o a incitarmi quando mi vedevano in giro. Per me era strano perché finché giochi a livello giovanile nessuno ti mostra questo interesse fuori dal campo. Ho sempre vissuto tutto, però, in maniera positiva, anche quando leggevo delle critiche. Non mi sono mai fasciato la testa per i commenti positivi o negativi, anzi, ho sempre cercato di mantenere grande equilibrio mentale”.

Perché sceglie sempre il numero 13?
“Devo ringraziare quello che all’ora, stiamo parlando degli anni della Robur, era il mio allenatore: Gianfranco Pinelli. Lui, per tradizione, dava il numero 13 di maglia al giocatore che considerava più forte in squadra; me lo diede e da quel momento me lo sono sempre portato dietro”.

Il compagno delle giovanili più forte con cui ha giocato?
“Te ne dico due: Maruca e Marotta”.

C’è un Librizzi prima di Roijakkers ed uno dopo: in cosa l’ha cresciuta quell’esperienza?
“Mi ha portato tanta determinazione ma mi ha dato anche la spinta per crescere e capire che questo poteva essere il mio lavoro. Da quei mesi ho capito di poter diventare un giocatore di Serie A, fino a quel momento pensavo anche ad un piano B alla pallacanestro come poteva essere dove proseguire gli studi o quale squadra, magari di Serie B, cercare per andare a giocare l’anno dopo”.

Questa determinazione l’è servita poi soprattutto l’anno scorso per superare il periodo più difficile della sua carriera…
“Sì, assolutamente. Sono sempre stato un tipo determinato in ogni cosa che faccio, dalla scuola allo sport, è una mia dote innata. Devo ringraziare coach Bizzozi per la mentalità e la dedizione al lavoro che mi ha insegnato: per raggiungere qualcosa non basta fare il compitino ma devi sudare ogni giorno”.

Andiamo all’attualità: come state vivendo questo momento così complicato?
“Non c’è più la spensieratezza del precampionato. Siamo un gruppo che ci tiene tanto a fare bene e parlo di tutti, da noi giocatori alla dirigenza. E’ una situazione che non ci aspettavamo di vivere ma nella quale ci siamo messi noi, perché i risultati dipendono da quello che facciamo noi in campo. Abbiamo grande voglia di riscatto fin da Pistoia. Vanno bene le parole ma adesso servono i risultati”.

Domenica tornerà a vestire la maglia biancorossa anche Jaron Johnson, quanto è felice del suo ritorno?
“Tanto. Oltre che essere un grande giocatore che ci darà una grossa mano dal punto di vista tecnico e fisico è anche una grande persona con cui due anni fa andavo molto d’accordo anche dal di fuori del campo e non vedo l’ora di riabbracciarlo”.

Dopo la sua performance di domenica scorsa le aspettative su di lei si sono alzate: è pronto per questo?
“Certo, come sempre.”

Alessandro Burin

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